La Notte Delle Mille Lacrime - Fine Parte I
Se c'è una notte buia abbastanza
da nascondermi,
se c'è una luce, una speranza,
sole magnifico che splendi...
Dammi la gioia di vivere
che ancora non c'è.
Miserere, miserere
Quella gioia di vivere
che forse ancora non c'è.
Miserere - Zucchero
Ermes è serrato in un silenzio initerrotto da questa mattina alle 11:50, ora in cui Santiago ci ha lasciati. Ad Ahmed è toccato il compito di avvertire Nicole e Mike per telefono: non arriveranno prima dell'ora di pranzo di domani. A questo punto non c'è più fretta, non ce l'hanno fatta a essere qui in tempo. La loro certezza, e in qualche modo consolazione, è che il loro padre è stato circondato di tutto l'affetto e la cura possibili fino all'ultimo momento. Non ce lo aspettavamo: i parametri erano compromessi ma stabili, c'è stato un tracollo improvviso; molte volte succede proprio così purtroppo. Benchè a pochi minuti di macchina, nemmeno i fratelli del dottor Hernandez sono giunti in tempo. Come dico sempre, tuttavia, le persone si onorano in vita, e Santiago è stato un uomo molto amato e grandemente onorato, tanto più lo sarà ora la sua memoria e il lascito morale di cui una persona di cotanto spessore dona in eredità ai posteri.
Da stamattina, alla villa, è stato un viavai di fattorini che recapitavano fiori, telegrammi di condoglianze e poi è stata la volta di vicini, amici, dei parenti, e sono francamente esausta come anche Ahmed e Carmen. Sono le sette, e solo da poco sono riuscita a convincere zia Ana, zio Enrique e zio Guille a tornare a casa loro e che qui ce la caviamo; tutto sommato stiamo bene, Santiago non ha sofferto nel passaggio, non ha affannato, si è addormentato tra le braccia amorevoli di suo figlio, che gli parlava dei suoi ricordi di bambino. Credo non potesse esserci un modo più dolce... il suo viso buono è rimasto ridente e sereno, la mano stretta in quella di Ermes che la teneva sul suo cuore.
Restare qui, stanotte, non avrebbe avuto senso per i suoi cari: la salma è stata trasportata quasi subito al Pulmonary Physician South di Miami, dove Santiago era in cura dal collega primario, subentrato quando lui è andato in pensione, il dottor Asif Khan. La camera ardente verrà allestita da domani mattina presto.
La notte cala il suo manto cupo prima che possa rendermene conto e un silenzio gravoso aleggia tra noi. Carmen è insolitamente disponibile e gentile e ha avuto la saggia idea di ordinare della pizza per cena. Matias è in gita ad Atlanta in visita all'acquario più grande del mondo, al museo della Coca Cola e tanti altri luoghi interessanti. Non ho avuto il coraggio di dirgli nulla per telefono, prima, non volevo rattristarlo. Gli dirò titto domani sera, al suo ritorno.
Le chiamate si susseguono ancora, Ahmed continua a parlare pazientemente con tutti, da stamattina. In un primo momento anche Ermes si è dato molto da fare per tutto quello che concerne i documenti da firmare in ospedale, fino a chiedere ad Ahmed di aiutarlo nel difficile compito di scegliere gli abiti per la commemorazione che si terrà domani pomeriggio.
Poi non l'abbiamo più visto. Io mi sono occupata di pulire a fondo la stanza di Santiago, insieme a Carmen. Ci è dispiaciuto gettare le lenzuola e le coperte, ma ormai il povero dottor Hernandez aveva delle grosse piaghe infette, dietro la schiena, dovute all'accumulo di liquidi; tutto questo a causa dello scompenso cardiaco insorto come ulteriore conseguenza della fase terminale della malattia. Il siero maleodorante prodotto non ci ha lasciato scelta; anche il letto sarà smantellato e un'impresa di ristrutturazioni carteggerà le pareti, per privarle di eventuali spore, prima di imbiancare, nonostante non sia proprio la stagione adatta. Santiago aveva pianificato tutto, nella sua meticolosità, e mi ha lasciato tutti i numeri da chiamare.
Ci muoviamo come automi privi di energia, questo sì. È così che ci si sente, ogni volta che una persona cara ci lascia. Storditi, i sensi ovattati e il dolore che anestetizza i muscoli. Chi mi preoccupa veramente è Ermes. Si è chiuso in camera sua da moltissime ore e, nonostante abbia mugugnato da dietro la porta, ad Ahmed, che la pizza andava bene, è rimasta intatta sul tavolino in soggiorno.
«Riscaldo da mangiare per Ermes e vado a vedere come sta, e se se la sente di mettere qualcosa sotto i denti. Non so nemmeno se abbia fatto colazione, da stamattina» comunico ai miei colleghi, che accennano appena col capo, e si scambiano un'occhiata in una espressione mesta. Anche le nostre pizze sono ancora nei cartoni rimasti aperti, appena spiluccate per mero istinto di sopravvivenza.
Un tremito mi percorre, giunta dietro la porta di camera di Ermes, dopo essere passata per quella ormai vuota di Santiago. Il vuoto morde alla bocca dello stomaco completamente annodato. Picchio appena le nocche sull'uscio, torna indietro solo il silenzio. Ritento, nella speranza di udire qualche suono, ma tutto intorno l'oscurità sembra ingoiarmi, insieme all'angoscia, in una dimensione extratemporale. Grazie a Dio, la luce proveniente dalle scale rischiara il lungo corridoio attraverso cui si diramano le porte delle molte camere ormai svuotate, una ad una. Solo quella di Ermes è ancora occupata. Mi si stringe il cuore più forte, mentre accelera la sua corsa, quando ruoto la maniglia e faccio per entrare.
Tra le ombre di pece il riflesso del lampione, che entra dalle tende non tirate, illumina la sua sagoma distesa sul letto. È fermo, immobile. Ne osservo le spalle ricurve in cui tiene il capo incassato. Le braccia convergono nel mezzo delle ginocchia dove nasconde le mani.
Poso il vassoio sul comò; non so se stia dormendo. Essendomi spostata, riesco a vederlo in viso: ha gli occhi chiusi ed è coricato in posizione fetale. Indossa la stessa maglietta da stamattina e i pantaloni della tuta, che di solito utilizza come pigiama. È andato così anche in ospedale, prima. Mi auguro che la stanchezza lo abbia vinto, alla fine. Prendo una coperta dall'armadio, attenta a non fare rumore, non mi perdonerei mai di svegliarlo. Riposare è così difficile in questi momenti. Faccio per posargliela addosso, muovendomi leggera ma lui si volta e sussurra appena: «Grazie...»
«Ermes, credevo dormissi... ti ho portato un po' di pizza. Hai bisogno di mangiare.» Non dice niente, ma persino nel buio la tristezza dei suoi occhi mi annienta. Biascica qualcosa che non riesco a capire, talmente parla sottovoce. Mi prende una mano tra le sue e siedo sul letto accanto lui. Senza pensare mi sdraio dietro di lui e lo abbraccio. Poso la fronte tra le sue scapole e lascio il mio corpo aderire al suo. Gli cingo il torace e intreccio le dita delle mani a quelle della sua, mentre gli poso i palmi al centro del petto, dove il cuore in tumulto pulsa furioso. Lo accarezzo piano, sperando di calmare i suoi battiti.
La fronte poggiata sulla schiena ampia, inalo il suo odore mascolino e acre, misto a quello un po' pungente del sudore. Lui si rigira e mi guarda... mi accarezza il viso pianissimo. Le dita contornano le mie labbra, che ne baciano i polpastrelli. Sento il pizzicore del pianto affacciarsi dietro le ciglia.
Non penso. Spengo la mente e mi lascio trasportare dall'istinto. Lo sospingo supino sul materasso e lo copro con il mio corpo, lo avvolgo con l'interezza del mio essere. Gli tengo il viso tra le mani e lo bacio. Gli bacio tutto il viso. Ogni centimetro di pelle: i capelli, la fronte, gli occhi, le ciglia salate di lacrime di fiele che lo hanno consumato. La bocca riarsa che lambisco, sperando che dalle mie labbra possano trarre sollievo le sue. Scendo lungo il collo e risalgo al lobo di un orecchio, nutrendomi del sapore della sua pelle. Lo sento irrigidirsi sotto di me e inspirare intensamente. Gli accarezzo le spalle ampie e le dita tracciano il percorso delle vene in evidenza lungo le braccia.
Lo rigiro di fianco, trasportandolo, sempre stretto a me, in un bacio lento, profondo, infinito, che scava l'anima - la mia, che lo aspetta da sempre come un condannato brama la grazia nell'ultim'ora della sua vita.
Mira... tesoro mio... non sto sognando mentre le mani risalgono il pendio che dai tuoi fianchi corre lungo le scapole e la curva tenera della nuca? Dove l'attaccatura dei capelli ha un'odore più intenso e dolce di mandorle e frutta.
Mira, la tua bocca è l'accesso al paradiso in cui non credo, perché mai labbra tanto pure avrei creduto potessero posarsi su un'anima di pece come la mia.
Le tue braccia, le tue gambe, strette intorno ai miei fianchi, sono tralci di una vite feconda che fiorisce sui tuoi seni, premuti contro il mio petto, e produce il suo nettare più prezioso nel tuo grembo immacolato.
Puri sono i tuoi baci, pure le mani incerte di timide carezze. I tuoi capelli sono il manto di seta che mi nasconde al mondo nell'ora più buia del dolore che mi rende cieco, pazzo e paralizzato.
Tocco che scioglie foggia di catene invicibili di ripetuti sbagli e ostinato egoismo. Carezze che restituiscono calore al freddo, perdono a chi non ne è degno, amore all'odio, finanche vita alla morte, perché nell'amore non c'è sconfitta, non c'è perdita, non c'è paura: l'amore vince tutto.
Mi ami, Mira? Non avrò mai il coraggio di chiedertelo, ma se le labbra profane non osano allora supplicano con i baci. Senza vergogna e senza pudore, sì, imploro i tuoi baci come una preghiera che guarisce. Come le orazioni di un santo, assolvono i peccati commessi e quelli che ripeterò.
Il dubbio licenzioso si fa strada tra i pensieri: sei forse un'apparizione ultraterrena che illumina l'anima e riporta il senno?
Se sapessi crederci, penserei che papà ti ha mandata. Sei giunta per consolare, confortare e poi te ne tornerai tra le schiere celesti, lasciandomi qui nuovamente solo e confuso? O forse, mentre ti bacio più intensamente, ti tratterrò e ti convincerò a restare tra le mie braccia, tra noi i comuni mortali. Può forse una creatura così celeste camminare in mezzo a noi? Mischiarsi nel grigiore delle anime che complicano la loro vita dorata per scelta?
Un crepuscolo bluastro bussa dietro le ciglia di piombo. Le schiudo, è ancora buio intorno. Nel torpore del dormiveglia chiamo papà. Dove mi trovo? Penso in purgatorio. Sono solo e ho freddo, non ricordo che è successo. A metà tra sonno e veglia, un odore di mandorle e frutta mi culla. Apro gli occhi, questa volta del tutto, e mi rendo conto di essere tra le sue braccia. A occhi chiusi prendo un respiro per inalarne il profumo. Vorrei spostare le mani sul meraviglioso grembo e nutrirmi di tanta delicata bellezza. Vorrei sentirla gemere mentre ne bacio ogni centimetro latteo.
Resto immobile, rischio di impazzire. Di dolore. Di desiderio. Risalgo fino al suo viso, è bellissima. Mi tiene ancora abbracciato e ha le mani tra i miei capelli. Poso le labbra sulle sue e le schiudo delicato. La guardo, ha ancora gli occhi chiusi ma ricambia e mi stringe a sé, scompigliandomi i capelli. È il momento peggiore e il più bello della mia vita, negli ultimi mesi. Lei sospira, io impazzisco. Muovo il bacino contro il suo corpo disteso sotto il mio e la sua mano tenera e calda mi accarezza attraverso i vestiti. I respiri affannati si spezzano e le bocche si rincorrono in mille baci che non contengono più il desiderio di entrambi, al solo sfiorarci. E gli occhi pieni di lacrime si cercano.
«Perdonami, Mira, ma solo per papà... non per questo...» la guardo per essere certo che comprenda esattamente ciò che intendo «ti desidero con tutto me stesso. E papà non c'entra... lo sai...»
«Ermes... tu non devi chiedermi scusa di niente. Sono io che non dovrei... ma non ci riesco. Io non ci riesco a saperti così solo, specie ora che...» le trema la voce e gli occhi lucidi fuggono i miei.
«E allora resta, Mira... resta, ché ho bisogno di te.» fisso gli occhi nei suoi «sei l'unica che sa fino in fondo ciò che provo. L'unica di cui non sono degno ma che, nonostante tutto, è qui accanto a me...» perché non conosce le zone d'ombra, quelle che non racconto.
Restiamo abbracciati, nel silenzio assoluto di un'altra alba grigia. Bloccati, prima che un'altra giornata inizi la sua inutile corsa dietro al vento. Resta, Mira. Abbracciami ancora, ché il mondo fuori da questa stanza, oggi, è più difficile... ma se mi tieni la mano, allora troverò il coraggio di vivere che, forse, ancora non c'è.
Angolo Autrice:
Cari lettori, questa volta non mi dilungo, rubandovi altro tempo. Se vi va, come sempre sarò felice di raccogliere i vostri pareri.
A presto,
Nives ♥️.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top