La Ghiandaia Azzurra

«Mira... per favore, passami un po' d'acqua...» sussurra appena Santiago. Lo aiuto a bere, ne ha bisogno spesso; la grande quantità di farmaci che assume gli provoca una terribile secchezza, infatti ha le labbra tanto screpolate e, durante i nostri turni accanto a lui, cerchiamo di alleviare l'arsura con un unguento e tamponando la bocca con un fazzoletto inumidito, che viene cambiato di frequente.

«Grazie, Mira...» cerca la mia mano, che stringo dolcemente. «C'è il sole stamattina?» chiede, perché ha gli occhi chiusi e non riesce quasi più ad aprirli «mi sembra che ci sia più luce nella stanza.»

«Sì, Santiago, c'è un bel sole stamattina, non ti sbagli. Sei sempre attento.»

«Ah, è mattina? Che ora è? Non riesco più a distinguere il passare del tempo, da quando sono sempre a letto.»

«Sono le nove e hai fatto colazione un'ora fa.» Gli accarezzo la mano che stringe la mia debolmente.

«È vero... oramai non ricordo più bene le cose... scusami...»

«Stai tranquillo.»

«Quindi ha smesso di nevicare, visto che c'è il sole?»

«Vedi quanto sei bravo? Ti rendi benissimo conto di ciò che accade. È normale perdere un po' la cognizione del tempo, a volte» cerco di rincuorarlo e faccio per lasciargli la mano per riprendere a fare un po' d'ordine in camera e controllare il calendario con gli orari delle terapie.

«Mira...» la presa, seppur debole, stringe per richiamare la mia attenzione «lo so che hai tante cose da fare in questa grande casa, ma ora mi leggeresti qualcuna delle tue poesie? Ti ricordi? Me l'avevi promesso... C'è tempo per pulire, adesso siediti qua accanto a me. Io non mi alzerò più da questo letto ormai, ma prima di andarmene voglio ascoltare la tua voce... e per favore, non piangere, non voglio che tu pianga. Ti sento, anche se non posso vederti, sai. Ho già dato disposizioni a Ermes per tutti voi, Mira. Non ti devi preoccupare, nessuno perderà il lavoro e la casa. Adesso leggimi qualcosa.»

«Ma figurati, Santiago, che vai a pensare? Il lavoro e la casa mi preoccupano, non lo nego, ma non è per questo che piango... io-io... ti devo moltissimo e... ti voglio bene, non voglio che tu vada via... anche Matias tiene tanto a te. Lo sai? La sera diciamo sempre una preghiera per la tua salute.»

«E Dio vi ascolta, Mira, perché anche se sento le forze venir meno, ringraziando il cielo, non sto soffrendo tanto come avevo paura... e spero di non peggiorare proprio all'ultimo. Io sono pronto a incontrare il mio Creatore, mi dispiace lasciarvi, ma non dovete essere tristi. Ci rivedremo, noi crediamo questo, Mira.»

«Sì, io ci credo Santiago, come ci credeva mia madre e spero anche mio figlio...»

«Quel ragazzo non potrebbe essere più in gamba... Matias... dono di Dio è il significato del suo nome. Cresce forte e si prende cura di te. Tra poco sarete finalmente liberi di andarvene lontani dai problemi. E non ti devi preoccupare del tuo ex marito. Ahmed ci ha detto tutto, ho raccomandato a Ermes il miglior avvocato in città. I prepotenti non vinceranno e nessuno di voi sarà lasciato solo. E, a proposito», mi stringe la mano traendomi più vicino «Ermes, il mio ragazzo, ti vuole un gran bene... lo so che hai paura degli uomini, ma Ermes non è un farabutto, dagli una possibilità...»

Sono un fiume in piena, non riesco a trattenermi. Ho sempre cercato di alleggerire, con una spensieratezza che non possiedo, ogni suo momento difficile, ma di fronte alla sua schiettezza cedo. Mi sento in colpa per quello che è successo con suo figlio solo poche mattine fa. Terribilmente sporca per aver ceduto a istinti tanto infimi mentre suo padre, il mio benefattore, l'uomo che ha dato una vita dignitosa a me e a mio figlio, l'uomo che, per me, è più di colui con cui condivido il sangue, la persona che mi ha fatto scoprire che gli uomini non sono solo violenti, la persona che mi ha insegnato che le mani servono per accarezzare e non per picchiare... la persona più buona di questa Terra... sta morendo. Porto la sua mano diafana al volto e la bacio e ribacio. Poi mi alzo e gli bacio ancora la fronte e il volto. «Ti voglio bene, Santiago, tanto... adesso vado nella dependance a prendere il mio quaderno, torno subito, non ti addormentare, aspettami.»

«Sì che ti aspetto, mia dolce Mira, sì che ti aspetto...» sussurra sottovoce. Mi dirigo più in fretta che riesco verso fortino Hernandez, quando mi trovo davanti Ermes, all'improvviso, sull'uscio della villa.

«Mira!» fa per fermarmi.

«Buongiorno, Ermes, scusa ma sono di fretta, devo portare a tuo padre delle cose che mi ha chiesto.»

«È da due giorni che mi eviti, Mira, per favore...» mi ferma per un braccio, vedendomi risoluta a non concedergli spazio.

«Ermes, la priorità è tuo padre ora, perciò scusami ma devo andare da lui.»

«Lo stai dicendo veramente a me? Non ci posso credere! Dunque scappare è la tua soluzione? Perfetto!» allarga le braccia in segno di una resa stizzita, facendole ricadere inerti lungo i fianchi. «Lasciami almeno dire che io-io... non volevo fare niente che potesse ferirti e mi dispiace se ti ho creato disagio. Mira... quello che è successo l'altra mattina è stato-»

«È stato un momento di debolezza! Un errore! E mi dispiace, Ermes.» Lo interrompo, prima che torni al fattaccio che non doveva accadere.

«U-un... momento di debolezza? Errore dici?...» la voce rotta e una mano sul fianco, l'altra spinge indietro energicamente il ciuffo di ricci scomposti che gli ricade sugli occhiali. «Debolezza...» rimarca, scandendo le lettere.

«Perdonami, io adesso devo andare...» seppellisco il viso dietro i capelli, gli occhi pizzicano in maniera prepotente, ma non cederò come prima, in camera di Santiago. «I-io... ho sbagliato... mi dispiace se in qualche modo ti ho ferito... Non avrei mai voluto, specialmente con tuo papà in queste condizioni» faccio una fatica immensa a pronunciare ogni singola sillaba, annaspo, l'aria è polvere da sparo che si addensa nei polmoni.

Lo osservo passare una mano sul volto privato degli occhiali tondi dalla montatura in metallo sottile. Fa male, non mi guarda, fissa un punto indefinito come in cerca di parole che non arriveranno, non da me almeno, e di sicuro non quelle che lui vorrebbe.

«Mira perché fuggi da me? Che cosa ti impedisce di lasciarti andare? E non mettere in mezzo mio padre, lui non c'entra. Questa... cosa tra me e te... Mira... c'è fin dall'inizio...»

«Ermes, questa cosa tra me e te, come la chiami tu, è vicinanza, empatia in un momento di grande sofferenza. È normale che ci siamo avvicinati, non mi sono opposta a questo, però ti prego, non complichiamo le cose.»

«E in che modo le staremmo complicando? Spiegamelo, perché io davvero non ci arrivo.» Fa male il suo sguardo severo, la voce carica di un'amarezza che non maschera.

«Ermes... che razza di persona sarei, se approfittassi di te in un momento tanto difficile per tutti voi? Soffri moltissimo e, te lo giuro, io so quanto la disperazione sia una belva affamata e arrivi a divorarti dall'interno fino a strapparti l'anima e svuotarti di ogni sensazione. È una fitta in pieno petto che fa mancare l'aria, io lo so... e cercare calore è normalissimo, e io, credimi, sono qui, e ci tengo a te. Voglio ascoltarti quando hai bisogno di sfogarti. Voglio esserti accanto, anche senza parlare, come tu hai fatto con me tante volte, ma non può succedere altro perché... in caso contrario, non
riuscirei più guardarti. Non ce la farei. Io lavoro per la tua famiglia. Santiago mi è più caro del mio stesso sangue.»

«Così è questo?» m'interrompe «è perché lavori per noi? Perché papà sta male? Credi che cercassi della semplice compagnia?»

Ogni parola tra noi è simile a un proiettile che fende l'aria e si schianta al suolo, che rimbomba nell'assordante silenzio ovattato della quiete del giardino ancora coperto di brina.

«Secondo te, se cercassi una distrazione, non basterebbe dare un'occhiata alla rubrica del mio cellulare? O potrei andare in un locale? Ci sono così tante donne che non vogliono impegni e, guarda caso, io mi metto a cercare madri single con i loro carico di problemi sulle spalle? Se fosse come dici tu, potrei provarci con Carmen visto che è sempre così disponibile e non lo nasconde...» le braccia si allargano nuovamente in segno di protesta. «Lo sai, Mira? Hai detto che non volevi ferirmi? L'hai appena fatto!»

Lo vedo allontanarsi a passo svelto verso la sala da pranzo che inghiotte velocemente la sua figura di spalle. Vorrei rincorrerlo, fermarlo e abbracciarlo. Riempirgli tutto il viso di baci, soprattutto gli occhi, quegli occhi così grandi, dolci, ormai vacui, segnati dall'indicibile tristezza che li oscura. Poi discendere sulle palpebre stanche e sulle lunghe ciglia di seta scura. Quello che avrei voluto fare l'altra mattina, prima che la ragione mi riportasse in me! Troppo presto per poterlo amare. Abbastanza tardi da avergli concesso sufficiente accesso al mio corpo da fargli comprendere quanto mi brama il desiderio di lui.

In camera mia, lo specchio sulla madia mi restituisce l'immagine di una donna con gli occhi gonfi. Stringo il quadernetto con la copertina blu tra le mani. Mi reco in bagno: prima di tornare da Santiago a leggergli le poesie, voglio sciacquare il viso che arde.

La voce nella mia testa urla: Puttana, ti ho vista con l'attore, l'altra mattina, mentre ti volevi far scopare! Ho guastato il festino, troia! Digli di girare a largo, perché gli rovino la carriera e pure quel bel faccino che si ritrova. Aspetta che crepi il vecchio e nessuno ti proteggerà più! Una fitta mi lacera la nuca dove Nicholas mi ha tirato i capelli.

Puttana! Urla mentre mi prende con violenza da dietro e tira, tira forte i capelli. Schiaccia i polsi dietro la schiena e mi preme contro un muro del vicolo dietro il supermercato. La parete grezza graffia forte contro il viso e il seno a ogni spinta, che produce fitte lancinanti. Gli occhi si riempiono di lacrime al ricordo. Il sesso è sempre stato solo l'ennesima violenza che Nicholas D'Onofrio, erede unico di una delle famiglie più facoltose e influenti di Miami, nonché mio ex marito, non mi risparmiava in nessuna occasione.

Da quell'immagine mostruosa del passato emergono le mani di Ermes che sanno accarezzare piano, toccare dolcemente. La sua bocca è fatta per baciare. La lingua sa pronunciare parole gentili e lenire ferite antiche, è miele che sa farmi risvegliare memorie di un desiderio che credevo impossibile tornare.

Un uomo, la cui vita è appesa a un filo, mi aspetta mentre io fantastico di commettere ogni genere di impudicizia con suo figlio. Di inarcarmi contro il suo bacino per appagare il desiderio di entrambi. Nicholas D'Onofrio ha ragione: sono una puttana. Aveva ragione anche la mia famiglia a dirmi che ero una svergognata, che non conoscevo e non conosco il timore di Dio.

Un pianto silenzioso, colpevole e ipocrita mi riconduce verso camera di Santiago. Stavolta presto la massima attenzione a non incappare in Ermes, conscia del fatto che posso trovarlo in camera con suo padre, ma anche forte del fatto che quello è terreno neutrale e non può essere teatro di scontro. Entro, cercando di non fare rumore per non destare il dottor Hernandez nel suo costante dormiveglia, ma lui avverte subito la mia presenza perché mi chiama.

«Eccomi, Santiago, sono qui...» mi siedo accanto a lui, apro il taccuino dalla copertina blu e inizio a leggere. Lui muove una mano in cerca della mia e subito gli vado incontro. L'occhio va sul pulsossimetro posizionato all'indice. I respiri si sono fatti più lenti e sporadici, a volte mi sembra di non vedere per troppo tempo il suo corpo sollevarsi, dopo aver inalato l'aria. Il saturimetro segna trentaquattro battiti al minuto contro i trentasei di stamattina alle otto.

«Santiago, ascoltami... aspetta solo un attimino» gli dico, accertandomi che abbia compreso. È pallido e lo stato di torpore in cui versa sembra più intenso. Mando un messaggio a Ermes e, nel frattempo, appena fuori la porta della camera, chiamo lo specialista della terapia del dolore per chiedere se è normale questa diminuzione di frequenza cardiaca così repentina. Poco dopo vedo Ermes accorrere trafelato al capezzale di suo padre. È stravolto, ha gli occhi rossi e trema...

«Mira...» sussurra in un rantolo strozzato «i battiti che crollano vogliono dire una cosa soltanto... e... i-io... ho paura... non ce la faccio, non sono pronto... per favore, chiama tu gli altri...» annaspa, gli prendo le mani tra le mie e gli assicuro che mi occuperò di tutto e che non deve preoccuparsi, ma pensare solo a suo padre. Detto fatto, e devastata a mia volta, raccolgo il poco sangue freddo che mi resta e chiamo Nicole e Mike con il cellulare di Ermes. Prenderanno il primo volo disponibile. Corro a cercare Ahmed e Carmen che mi raggiungono in camera velocemente, dove Ermes è semicoricato accanto a suo padre e lo stringe in un abbraccio delicato.

Vigile fino all'ultimo, Santiago chiama «Ma Mira dov'è andata? Non legge più le poesie? Sono tanto belle. Ermes, valla a chiamare.»

Con gli occhi pieni di lacrime, mi siedo accanto a lui e gli prendo la mano... la voce trema mentre leggo, ma lui mi accarezza il dorso della mano, poi si rivolge a Ermes «I Blue Jays che hanno fatto? Hanno vinto il campionato invernale?» con una mano, il maggiore degli Hernandez caccia via dagli occhi le lacrime, si schiarisce la voce e risponde fiero a suo padre «Certo, hanno stravinto papà, avevi qualche dubbio? Guerrero in prima base è stato decisivo. Hanno giocato l'andata a Toronto, in casa, e a metà del nono inning avevano già tanti punti che non hanno giocato la seconda parte. I Rangers se ne sono tornati a Dallas senza gloria. Che poi non ho mai capito perché tifi per i Blue Jays» tira su col naso.

«Mira, per piacere... continua a leggere...» chiede, tornando a me. Mi vergogno di farlo davanti a Ermes, Carmen e Ahmed, ma continuo. Anche i miei colleghi sono molto provati, Carmen singhiozza sommessamente alle mie spalle mentre Ahmed cerca di ricuorarla: posizionato accanto a lei, le tiene le mani sulle spalle. M'interrompo saltuariamente, c'è troppa emozione. Aspettiamo che il dottor Reyes venga a somministrare l'iniezione di morfina per accompagnare Santiago in un oblio dolce, perché non vada in sofferenza respiratoria. Siamo tutti estremamente provati. Nelle pause si fa udire il canto di qualche uccellino che sfida le temperature rigide dell'inverno.

«È la ghiandaia azzurra» chioccia appena Santiago con il viso rivolto verso la finestra. Mi avvicino ai vetri e sul davanzale ancora ghiacciato scorgo il piccolo passero blu, dall'inconfondibile cresta, beccare nella mangiatoia lasciata lì apposta per loro. Spiega un volo proprio dinanzi ai vetri, sembra volersi accomodare all'interno, infine si allontana verso i rami spogli degli alberi da frutto del giardino.

«Papà... papà...» singhiozza Ermes in maniera più acuta. Mi volto e lo vedo stringere Santiago convulsamente mentre soffoca un lamento stridulo e straziante. Ahmed e Carmen gli corrono accanto, piangono anche loro. Mi volto e la ghiandaia azzurra vola fino a scomparire nel sole che inonda la stanza fino al letto del dottor Hernandez.

Addio, anzi no, arrivederci, Santiago. Te ne sei andato tra le braccia robuste del tuo bambino. Nell'avvicendarsi della vita è lui che ha cullato il tuo ultimo respiro, in questo mondo, come tu cullasti il suo primo vagito.
Arrivederci, dottor Hernandez, bacia la mamma per me. Mi mancano già da morire la tua voce e il tuo sorriso, le nostre chiacchierate sui libri.

Angolo Autrice:

Cari lettori, andiamo verso la fine della prima parte di questa storia che presenta già un congruo numero di capitoli. Manca veramente poco alla chiusura della prima parte di questa storia.

Santiago ci saluta ed è stato molto difficile scrivere questo capitolo di commiato e separarmi da un personaggio tanto saggio, carismatico, il padre, l'amico che tutti vorremmo avere.

Il dottor Hernandez esce di scena fisicamente ma non il suo retaggio né il lascito morale e materiale che nemmeno l'assenza fisica può cancellare.

Ho voluto salutarlo, associando alla ghiandaia azzurra perché questo uccello 🐦 è molto tenace, forte e impavido. Simboleggia la forza e la fedeltà in quanto si accoppia sempre con lo stesso partner fino alla fine della vita. È inoltre dotato di grazia e bellezza. Protegge la sua famiglia a qualunque costo, sfidando i predatori anche più grandi. Sopravvive alle basse temperature, è tipico delle aree nordamericane, specie quelle a est. Dà il nome alla squadra di baseball Toronto Blue Jays (ghiandaie azzurre, appunto).

Grazie di essere arrivati fin qui, come sempre mi farà piacere sapere cosa ne pensate.

A presto Nives. 🩵

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