La Fata Madrina

A broken heart is all that's left
I'm still fixing all the cracks
I'm afraid of all I am
my mind feels like a foreign land
Silence ringing inside my head
Small-town boy in a big arcade
I got addicted to a losing game.

Arcade – Duncan Lawrence


«Ehi Mira» Ahmed mi raggiunge trafelato alla fine del suo turno di lavoro, mentre sono di ritorno dalla lavanderia con l'ultimo carico di bucato asciutto.

«Dimmi!»

«Per domani sera, secondo il nostro piano, andremo in città tutti insieme per un aperitivo e poi faremo credere a Ermes che andiamo a cena all'All You Can Eat di Indian River Shores. Non immagina che sappiamo del suo compleanno, visto che l'ho invitato giorni fa proprio per non destare sospetti. Lui poi non ne ha fatto parola; si tratterà dunque di un'uscita qualsiasi tra amici.»

«Ricevuto. Sei un genio, Ahmed! Io dopo l'aperitivo fingerò un contrattempo, del tipo che Matias ha mal di pancia, così avremo la scusa per tornare a casa.»

«Ottimo! Tra che arriveremo in centro, parcheggeremo e ordineremo qualcosa da stuzzicare, molto lontani da qui, i camerieri del catering avranno tempo di sistemare il buffet e Santiago accoglierà gli ospiti. Vedrai, Ermes non sospetterà niente.»

Saluto Ahmed con un sorriso e l'angoscia mi assale: ci siamo! Tre settimane sono volate e ho organizzato tutto come richiesto dal dottor Hernandez. Fisso inerme il guardaroba aperto, seduta sul letto, nella speranza che dal fondo emerga la fata Madrina e tiri fuori dal grigiore informe dei miei abiti da lavoro, non dico il vestito di Cenerentola, ma qualcosa che non mi faccia sfigurare in mezzo a un mucchio di gente in tiro. Oh, avessi pur lavorato: la divisa da governante non sarebbe stata inopportuna ma a Santiago è balenata la bizzarra idea di invitare anche i dipendenti al compleanno di suo figlio, perché siamo di famiglia, dice.

Beh, non succederà: dall'armadio non emergerà Smemorina, perché nella vita reale non esistono le fate, e le governanti non vanno alle feste, piuttosto servono da bere e da mangiare agli invitati. Mi butto all'indietro sul materasso, occhi al soffitto, provando ad alta voce il discorso con il quale, domani, fingerò un pretesto per sfuggire a questa tortura. Non ho abiti adatti alle feste, io. Le donne di servizio non ne hanno bisogno! Beh, Carmen ne ha. Lei ha un mucchio di abiti, borse, scarpe... Il punto non è essere una cameriera. Il punto è essere Mira! Le Mira, cioè quelle come me, non hanno vita sociale, quindi non vanno alle feste, questione chiusa. Fino a poco tempo fa non andavo nemmeno, ogni tanto, a bere e mangiare qualcosa nei pub in città, ma per i pub vanno bene i miei abiti anonimi, al cocktail per il compleanno di un attore ci saranno invece persone importanti, oltre che i familiari... e io? Mi presento in ballerine e pantaloni Capri neri? Sembrerò un beccamorto in piena estate in mezzo a chiffon, sete e rasi variopinti e lucenti. La nota stonata. Il brutto anatroccolo. Devo trovare il modo di dare buca anche se a Santiago dispiacerà.
Bussano alla porta e, con mia sorpresa, parli del diavolo...

«Santiago, che fai qui?» ha sempre voluto che gli dessi del tu. È stato difficile abituarmi, ma dopo qualche mese ho imparato.

«Mira, lo so che sei stanca, ma verresti con me un momento, per favore?»

«Certo.» Mi richiudo l'uscio di casa alle spalle e lo seguo verso la villa.

«Scusa se ti sto facendo tornare da me, ma volevo aspettare che Ermes fosse uscito perché non fiutasse qualcosa vedendoci insieme dopo l'orario di lavoro. Siete stati bravi tu e Ahmed; sarà una bella festa, quella di domani. Vieni, vieni.»

Santiago mi conduce in una camera che di solito tiene chiusa a chiave e nella quale non entro mai, dal momento che nessuno la occupa. Il mobilio è interamente ricoperto di teli chiari. Santiago ne tira via un paio da un armadio e da una cassettiera e, poco dopo, apre entrambi.

«Qui ci sono molti bei vestiti lasciati da Nicole, mia figlia. Non è mai passata a riprenderli dopo essersi trasferita. Dice che non le vanno più ormai. Devo darli via ma, se non ti offende, vorrei che prendessi tutto quello che ti piace, prima. Il resto lo doneremo alla parrocchia del Cristo Redentore. Io vado; qui ci sono un paio di borse di tela. Prendi pure tutto quello che vuoi e, se non trovi niente di tuo gusto, come non detto. Ho chiesto prima a te, poi chiederò a Carmen, ma tu sei più simile a Nicole fisicamente. Credo portiate la stessa taglia e avete su per giù la stessa altezza. Ci sono anche borse, scarpe. Tutto ciò che desideri è tuo.»

Rimango a fissarlo un po' interdetta, nel salutarlo, mentre richiude la porta dietro di sé. Quest'uomo buono e così gentile e generoso non finirà mai di stupirmi. E io mi sento immensamente fuori luogo... Osservo la stanza intorno a me, illuminata dalle luci delle lampade. Mi sembra di violare qualcosa che non mi appartiene. Con riverenza inizio a spostare gli abiti di Nicole, attenta a non gualcirli. Alcuni sono ancora riposti nelle confezioni della lavanderia, alcuni hanno persino l'etichetta. Sono molto belli ma devo provarli. Mi imbarazza farlo in questa stanza che non è mia, ma mi faccio coraggio.

Svesto il pantalone e la casacca e inizio a indossare qualcuno dei modelli che mi piacciono di più. In effetti si adattano bene al mio fisico tutt'altro che filiforme. Ce ne sono di mille colori, dalle tinte più sgargianti a quelle pastello. Ce n'è di ogni tessuto dal gabardin, al raso, alla seta, al cashmere di quelli invernali. Un guardaroba degno di una principessa. Non posso esimermi dal pensare che la mia fata Madrina, a questo punto, sia Santiago. Certo che poi che figura ci faccio davanti al festeggiato con un abito di sua sorella, mi chiedo. La figura della pezzente che sono! Con buona pace della mia coscienza, riempio due sporte di juta in men che non si dica. Non sono mai stata vanitosa e non credo mi basterà una vita per avere occasioni adatte a questi abiti, ma se proprio devono andar persi tanto vale prenderli. Potrò sempre giocare a essere Cenerentola nella dependance, quando nessuno mi vede.

Sono rientrato prima del previsto e, posteggiata l'auto nel vialetto, noto subito la luce accesa in camera di Nicole, dal momento che il resto della villa è al buio. Lì non ci entra mai nessuno. È abbastanza tardi, stasera abbiamo fatto un po' di baldoria al bowling con degli amici dei tempi del liceo. Per fortuna non hanno aperto l'argomento più tabù in assoluto: Amanda. Guardo verso camera di papà e lì la luce spenta, dovrebbe dormire di già, viste le medicine. Mi dirigo di sopra e immagino che forse non riesca a prendere sonno e stia rovistando in camera di mia sorella alla ricerca di chissà cosa.

Sono così sudato che i vestiti mi si scollano di dosso a fatica, e corro a rinfrescarmi. Indugio al piacevole refrigerio che la doccia mi regala insieme alle luci soffuse della cromoterapia. Piano piano la tensione di ogni muscolo si allenta. Dopo essermi asciugato in maniera frugale, indosso i boxer ma prima di coricarmi, faccio un salto in terrazza a fumare. La brezza notturna riverbera piacevolmente la sua carezza sulla pelle umida e, seduto sulla balaustra, schiena a una colonna, accendo l'agognata sigaretta. Guardo distratto la luna e il cielo di Miami punteggiato di stelle. Qui le luci della città sono lontane e non possono impedirne la splendida vista. Risollevo gli occhi dall'accendino e lo sguardo cade di fronte a me, verso la porta finestra di camera di mia sorella, che è adiacente alla mia. Le vetrate sono aperte dal momento che vedo le tende spostarsi lievemente, mosse dal vento.

Ciò che non mi aspetto invece è una sagoma femminile muoversi dietro di esse. Che Nicole sia qui mi sembra improbabile. Scendo dalla balaustra e mi avvicino per osservare più da vicino. Non avrei dovuto, perché la figura che si muove dietro le tende leggere si sta svestendo. Dovrei distogliere lo sguardo, ma la tentazione è troppo forte. In fondo non mi vede nessuno. Sfila i pantaloni, una maglietta e, attraverso la tenda, la luce mi restituisce una silhouette morbida. Prova diversi abiti. Quella non è mia sorella, che mi venga un colpo! La tenda si sposta abbastanza per lasciarmi intravedere lunghi capelli castani e un intimo nude piuttosto castigato che non può nascondere tuttavia delle forme generose. È di schiena e mi soffermo sui fianchi ampi e sulle cosce tornite. Solleva i capelli e si volta di profilo. Ha la vita stretta e una mano posata sull'addome appena arrotondato. Sta infilando un abito che scivola su per le caviglie sottili, risalendo lungo i fianchi fino alle spalle. Si volta per guardarsi allo specchio. La tenda non mi permette una vista nitida. A poche ore dal compimento dei miei trentotto anni, me ne sto qui a spiare una donna dalla finestra, implorando di intravedere qualcosa in più.

Qualcuno deve avermi ascoltato perché una galeotta folata di vento mi regala una visione estatica quando la misteriosa figura, voltata completamente verso le vetrate, quindi inconsapevolmente verso di me, si gira su se stessa per far ruotare la gonna di un abito di raso azzurro che le sta d'incanto. Fa scivolare giù la cerniera e lo sfila dalle spalline, lasciandolo ricadere. Nel suo pudico intimo mi regala una erezione di marmo come non avveniva da tempo. Per gli dèi! Mira. È lei. È così bella, inconsapevole che io – ignobile, lurido bastardo – mi stia eccitando, guardandola. Mi sento in colpa? Sì. Perché mai? Perché non è una sconosciuta e non è consenziente. Andrebbe meglio se lei sapesse che la guardo?... No! O Sì?! Smetto? No! Non posso, non ragiono, non riesco a formulare pensieri sensati. Ho la gola riarsa come un canyon. La osservo voltarsi di profilo e, con piacere estremo, il movimento con il quale si china per raccogliere l'abito le fa ondeggiare i seni facendomene gustare appieno la rotondità che mi provoca pensieri degni un liceale. Sto ancora ansimando come una bestia mentre, sotto una seconda doccia gelida, cerco di calmare i bollori dopo aver spiato la governante di casa mia come mamma l'ha fatta – quasi. Che gli dèi mi perdonino! Ah, io sono ateo. E allora perché mi sento un animale? L'astinenza gioca brutti scherzi. Io sono una brutta persona e andrò all'inferno, anche se dubito della sua esistenza. Ne inventeranno uno apposta per quelli come me: i lussuriosi. Oppure andrò a tenere compagnia a Paolo e Francesca e Caronte ci percuoterà dove non batte il sole per l'eternità. È mezzanotte e ho appena compiuto trentotto anni pensando alla mia cameriera.
Sei un fallito del cazzo, Ermes, un pervertito e un senza palle: ecco cosa sei. Potevi fare l'uomo e palesarti, provarci. Con quale faccia guarderò Mira da domani? Non sei una brava persona e buon compleanno, fallito! Un altro anno perso è iniziato.

Angolo Autrice:

Prossimi ai quaranta gradi, anche da Ermes fa molto caldo a quanto pare. Autrice, ma sei impazzita a propinarci il cliché estivo più antico del mondo? Lo spogliarello inconsapevole degno delle commedie all'italiana quart'ordine? Cari lettori, io vi avevo avvisato che i miei personaggi promettono solo di essere assolutamente imperfetti, umani, e un po' stronzi, perché no?! Non siamo più, del resto, ai tempi del poema cavalleresco e dell'amor cortese 😉.
Ermes, Ermes, mascalzone che non sei altro!
Come sempre sarò contenta se mi lasciaste il vostro parere nei commenti.

A prestissimo con il capitolo della festa.

Nives ❤️.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top