Di Nuvole e Vento
Guardo il mio ragazzo specchiarsi e pettinare con cura i capelli come non ha mai fatto prima, attento che non perdano la loro naturale piega mossa e qualche boccolo biondo, motivo d'orgoglio e omaggio al suo beniamino: Paolo Maldini, ex capitano della nazionale azzurra, nonché guida del Milan Associazione Calcio durante i gloriosi anni delle vittorie consecutive in Champions League; una leggenda vivente tra i difensori più forti. E il ruolo di terzino sinistro è proprio quello che ricopre mio figlio. Una spruzzata di profumo maschile in spray e inforca gli occhiali tondi dalla montatura in metallo sottile che gli conferiscono un'aria da intellettuale, – e terribilmente adulta, per me – scomparendo alla velocità di un razzo verso l'ingresso. Sento appena un «Ciao ma'» ovattato dal rumore della porta di casa che si richiude alle sue spalle, a cui non faccio in tempo a rispondere. Riapro l'uscio, con la scusa di dovermi occupare del bucato, per guardarlo ancora qualche momento mentre si avvia in bici verso una nuova tappa della sua vita: il liceo! È un giovanotto, e mi ha superata in statura di qualche centimetro da un po'. I tratti ancora infantili e le guance glabre e rosee stanno lasciando posto a una schiena larga e ai primi baffetti che spuntano sul labbro superiore. Il tempo trascorso con me si dirada sempre di più in favore di quello passato con i coetanei, qualche ragazzina compresa, entrata a far parte del gruppetto di amici dallo scorso inverno.
Finiti di ritirare e sistemare i panni asciutti, mi dirigo verso la villa per iniziare la giornata, e mi accingo ad apparecchiare per la colazione che Carmen sta preparando di là in cucina. Mentre prendo il necessario, la mia collega non manca di punzecchiarmi «Il tuo bello è già partito, non serve che sporchi per due, che oggi tocca a me pulire!» La forza dell'abitudine di questi ultimi mesi e l'essere soprappensiero a causa di mio figlio non mi hanno fatto ponderare le mie azioni e ho preso piatti e posate anche per Ermes. «E poi dovresti saperlo bene che è partito prima dell'alba... stavate sempre appiccicati...» precisa sarcastica.
Ora che Ermes non c'è, Carmen è tornata la solita di sempre: non deve più fare colpo su nessuno. Mi incenerisce con uno sguardo, ma io mi lascio scivolare le sue insinuazioni e bado a ciò che devo fare e prima di darle il tempo di redarguirmi ancora sono già di sopra. Santiago di solito scende da solo con l'aiuto del suo fedele bastone ma, essendo in anticipo e non volendo subire le angherie della mia collega, decido di andargli incontro. Il suo sorriso benevolo dissipa velocemente le nebbie del malumore che Carmen ha addensato sul mio capo poco prima.
«Mira, per piacere, più tardi mi devi dare una mano: nel pomeriggio, verso le cinque, Ermes mi vuol fare una videochiamata sul tablet» biascica con voce flebile. Mi avvicino e gli offro il braccio e lui, con gli occhi stanchi, accetta di buon grado. Mi soffermo a osservare con minuzia le somiglianze con il figlio maggiore e, per la prima volta, noto come anche i particolari in apparenza più trascurabili sono uguali in modo impressionante: le rughe attorno agli occhi piegati in un sorriso, le fossette sulle guance, sebbene non più floride, subito sopra la folta barba e gli occhi tondi dall'espressione dolce. «Certo che ti aiuterò, Santiago!» gli prometto, posando una mano sulla sua tremante.
«Devi scaricare Zoom su quel coso; con il cellulare mi ha insegnato Ermes, ma la mia vista non è più quella di una volta, brutta bestia la vecchiaia! Mio figlio dice che sul tablet vedrei meglio lui e i bambini, e anche i tasti, non rischiando di pigiarne a caso senza rendermene conto.»
«Alle quattro e tre quarti sarò da te, farò presto» gli assicuro mentre scendiamo piano piano gli ultimi gradini.
«Beata gioventù! Io tra le mani che tremano e la vista debole ci metterei un'eternità.»
«Sono qua per questo» gli sorrido, dandogli delle lievi pacche sul dorso della mano che sento aggrapparsi con più vigore al mio braccio mentre si accomoda a capotavola. «Non buttarti giù, curare le persone come hai fatto per tutta la vita, e ancora fai grazie alla tua esperienza, non è cosa da tutti» lo rincuoro, passandogli il caffè «io non saprei farlo in una vita intera! Sono sempre stata negata per la matematica e le scienze in genere.»
«Mi risulta che scrivi delle bellissime poesie però... me l'ha detto un uccellino...» ride, un uccellino dal becco molto largo, mi verrebbe da rispondere, ma non oso tanta confidenza trattandosi di suo figlio. «Beh, scribacchio qualcosa ogni tanto, niente di speciale...»
«Una volta mi fai leggere le tue creazioni?»
«Certo, Santiago, certo». Eludo il discorso, recandomi subito in cucina, verso la credenza, a prendere un'altra delle ciotole che il dottor Hernandez mi ha domandato e Carmen subito torna all'attacco: «Quello è il servizio buono, non lo spaiare! Usa i giornalieri» sbuffa a sottolineare che non ho alcun rispetto della sua fatica. Mi mordo la lingua per non mandarla a quel paese «Mi ha chiesto espressamente una scodella di questo servizio perché riesce meglio a mescolarci il porridge, essendo della giusta capienza adatta alla quantità che consuma di solito». A quel punto tace e finalmente posso dirigermi alle camere, sbarazzandomi della sua presenza asfissiante.
Una volta di sopra mi affaccendo dapprima in camera del dottore, poi mi dirigo verso quella di Ermes e mentre sto per entrare, esito. Un groppo nodoso mi attraversa la gola, presa da un momento esitazione. Mi fa strano realizzare che riordinerò per l'ultima volta lì dentro fino a nuovo ordine. Infine raccolgo il coraggio e abbasso la maniglia. Regna sempre un terribile disordine che normalmente mi fa innervosire e mi dà proprio l'idea della classica persona ricca e viziata, abituata a farsi servire, che non si sforza nemmeno di ammucchiare i vestiti dismessi sulla poltrona, ma li lancia sul pavimento una volta tolti.
Oggi non ci sono abiti sul parquet. Devo dire che, in questi mesi, sono passati rapidamente dal letto alla sedia della scrivania. I primi giorni Ermes lasciava in giro anche la biancheria intima usata, dopo le prime mattine non l'ho più trovata in terra in bagno ma di sotto, in lavanderia, nella cesta del bucato.
Osservo le lenzuola appallottolate attraverso il chiarore soffuso che filtra dalle persiane. Mi dirigo ad aprire le imposte, avanzando tra il pulviscolo dorato che danza tra le fenditure di luce. Spalancate le ante, il bagliore delle nove del mattino mi investe e mi riparo all'interno dove inizio a tirare via la biancheria da letto. Un effluvio dolciastro e acre mi sale alle narici. È un misto tra il sandalo e la mirra, le profumazioni della colonia e del docciaschiuma che usa Ermes, mescolate al naturale odore che la sua pelle sprigiona. Mentre libero i cuscini dalle federe, affondo istintivamente il viso in uno di essi e mi perdo in quel sentore familiare che mi riporta alla mente la notte che abbiamo dormito insieme, dopo il mio disastroso attacco di panico.
Premo il viso con maggiore enfasi. Sono una sciocca, penso, ma mi pare di sentire ancora impressa la tiepidezza del suo viso. Abbraccio il guanciale e, girando su me stessa, mi lascio cadere sul letto. Ho ancora il prezioso cimelio sul viso e ne respiro l'essenza perdendomi in sciocche romanticherie... oh, fossi pure ricca, colta e bella solo un decimo della sua ex, o delle sue colleghe... sognerei di indossare un lungo abito a sirena – e bisognerebbe che avessi anche il fisico adatto oltre a bellezza, fortuna e classe. Magari calcherei i corridoi di un' elegante galleria d'arte, sottobraccio a un uomo distinto come lui. Immagino che mi presenterebbe come una scrittrice affermata, un'intellettuale figlia d'arte e magari... e non come la signora nessuno che sono nella realtà. Sarebbe bello che avesse un motivo per essere orgoglioso di avermi al suo fianco. Non credo nessuno lo sia mai stato, chissà che sensazione si prova.
Siedo sul letto e mi soffermo con lo sguardo oltre la finestra: il vento tra gli alberi, come la musica di un quartetto d'archi, uggiola in una folata decisa tra foglie e rami, vorticando tra le tende e i miei capelli. Immagino che scompigli anche i suoi o che il suo sibilo sia una sirena che imita la voce di Ermes che suadente mi invita a ballare. Sciocchezze! Ermes è stato un caro amico e ha lasciato un dolce ricordo di questa estate appena trascorsa.
Riprendendo le faccende, è la volta della scrivania dove un biglietto ripiegato con il mio nome fa bella mostra: che mi venga un colpo! Lo apro velocemente e inizio a scorrerne il contenuto:
Mira, ancora grazie! Per tutto ciò che fai per papà e per tutti noi. Scriverò a Matias presto e, se le condizioni di mio padre lo consentono, spero che per fine ottobre, tu e tuo figlio siate miei ospiti a New York per il lungo fine settimana di Ognissanti. Non dovrai preoccuparti di niente, ti manderò i biglietti, ma tu non dire niente al tuo ragazzo: sarà una sorpresa! Qui c'è un grosso Comicon in quel periodo e voglio portarcelo, sai quanti gamer ci saranno?! Fino ad allora, buon lavoro, e non esitare a chiamarmi per papà... o... anche solo per chiacchierare, verso sera... Ho passato una bella estate con voi, non voglio che ci perdiamo di vista.
A presto,
Ermes.
Come una scolaretta ho gli occhi che pizzicano e il cuore che corre all'impazzata per la gioia e la sorpresa di trovare ancora un pensiero per noi, soprattutto per Matias. Come farò a tenere il segreto per quasi due mesi? Scrivergli di sera?... So già che non lo disturberò o distoglierò dai suoi figli. Ermes non li ha visti per tre mesi ma, dalle fotografie sparse ovunque in camera, posso solo immaginare quanto debbano essergli mancati. Io già soffro del solo allontanamento fisiologico con il mio, sempre più alla ricerca dei suoi spazi, sebbene viviamo ancora sotto lo stesso tetto.
I bimbi di Ermes sono in quella età dove, come cuccioli, cercano spasmodicamente la figura genitoriale fino a diventarne un'appendice. Quanto mi manca quella fase simbiotica, il dormire abbracciati, le manine che ti cercano il viso anche al buio e nel sonno. Li vizi! Tuonava sempre mia suocera, ma io me ne infischiavo. Ho sempre saputo che quel periodo sarebbe stato un ricordo in un batter d'occhi e i miei figli mi facevano sentire amata e capace di amare, prigioniera com'ero in quel castello di vanità mascherata sotto l'opulenta ricchezza disonesta della famiglia Tucci, a cui mi ritrovavo legata mio malgrado.
I miei figli... già... la prima, Ilaria, persa troppo presto, così simile a suo padre e alla famiglia di lui. Che dolore pensare a lei come a un'estranea lontana. Proprio colei che mi ha fatto dono della scoperta di una dote che non sapevo di possedere: l'istinto materno. Ho sempre creduto che non sarei mai diventata madre perché, poco paziente quale sono, non mi sentivo portata a tale missione. Poi lei è arrivata in un mattino di nuvole e di vento, in un mattino come questo... e con quei suoi sorrisi ruffiani mi ha insegnato l'amore più grande che possa esistere e del quale non mi ritenevo capace. Poi come è arrivata, se n'è anche andata... ma l'amore di una madre no! Quello resta. E insieme a esso l'amarezza.
Cerco di riavermi dai pensieri e concentrarmi sul dovere, dunque porto il biglietto di Ermes al viso, sulla carta c'è il sentore di sandalo e mirra. Lo poso al centro del petto... non sono mai stata a New York, mi spaventa solo l'idea... forse è bene che ci vada Matias. Nei prossimi giorni scriverò a Ermes e glielo proporrò, penso che mio figlio si divertirebbe di più senza di me.
Angolo Autrice:
Chiedo scusa per l'attesa di questo che è un capitolo di passaggio ma le priorità della vita prendono il sopravvento. Come sempre sono contenta se mi farete sapere cosa ne pensate nei commenti.
A presto (prometto e manterrò!),
Nives ❤️.
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