Collisioni

È un mattino livido, di quelli in cui la luce fatica a venir fuori dalla cortina plumbea e carica di ghiaccio che ammanta le notti di gennaio. Dalle vetrate, uno spesso strato di brina fa sembrare il prato e gli alberi da frutto che circondano la villa un'illustrazione tratta da Le Cronache di Narnia. Il freddo che sta spazzando il nord del mondo, in queste settimane, riverbera le sue sferzate severe fino al sud degli Stati Uniti. La neve si è depositata copiosa nel vicino Tennessee e negli stati confinanti, come riporta il quotidiano locale cui lancio un'occhiata pigra da dietro le lenti da vicinanza – il tempo scorre impietoso pure per le mie diottrie in diminuzione. Qui, tutto sommato, l'effetto salino dell'oceano profonde i suoi benefici, perché il manto nevoso si è dissolto presto.

Non c'è nessuno a colazione, stamattina; ci dovrò fare l'abitudine a vedere apparecchiato per una persona sola. Ugualmente mi sono dovuto abituare a trovare vuoto l'appartamento in cui vivo a New York, dal lunedì al venerdi. Mi sono dovuto adattare lì, tanto più dovrò farlo qui.

Nicholas che salta sul letto reclamando a tutta voce i pancakes di babbo, credo sia la routine più dolce e a cui ho dovuto rinunciare con più dolore. Mi manca ritrovarmi davanti quel musetto macchiato di sciroppo d'acero e zucchero a velo, gli occhietti furbi e sorridenti da autentico birbante che ti ruba il cuore in un istante: la carica per farti scendere dal letto.

È tutto pronto dalle otto, come di consueto, ma papà è a letto, qualche linea di febbre lo rende particolarmente fiacco. Penso che Mira sia di sopra con lui. Andrò a sincerarmene a breve perché avrà bisogno di una mano per aiutarlo ad alzarsi. Sta cedendo piano piano, le forze lo abbandonano, si ammala con sempre più facilità e infatti oramai indossiamo mascherine chirurgiche quando siamo con lui. Ha accusato il colpo dopo la partenza dei bambini. Una mazzata che lo ha piegato, nonostante questa volta sia riuscito a farli restare qualche giorno in più; non possono assentarsi da scuola, specie Eugene che frequenta la prima elementare e sta imparando a leggere e a scrivere.

Ieri sera, per quel poco che abbiamo parlato, Mira sembrava sulle spine: si martoriava un lembo della manica del maglione con le dita nervose che tiravano verso il basso ed è andata via quasi subito. A un certo punto ha silenziato il cellulare a causa dell'insistenza delle notifiche, forse dei messaggi.

Tutta questa calma mi mette angoscia: è la quiete che precede la tempesta. La solitudine è gradevole quando cercata. Nel mio caso amplifica ogni sensazione all'ennesima potenza, come il fatto che papà, ormai, non esce da camera sua. Si alza a malapena per muovere due passi verso il bagno. Resta tutto il giorno in poltrona e a nulla sono valsi i tentativi di convincerlo a scendere con l'ausilio di una sedia a rotelle, utilizzando il montacarichi. Il bastone ha ceduto il posto al deambulatore e a me toglie l'anima vederlo così. Trascorriamo tutto il tempo con lui; ci alterniamo, leggendogli qualcosa, chiacchierando, per quello che riesce - parlare attiva il diaframma, quindi stizzisce i ricettori della tosse e non può sforzarsi, nemmeno ce la fa. Pranzo e ceno in camera con lui. A volte è così debole che lo imbocco e mi fa una tenerezza incredibile, fragile com'è diventato. Leggo nei suoi occhi mesti la rassegnazione e l'imbarazzo per doversi far assistere finanche nelle minime cose. Non parla ma il suo sguardo dice tutto.

Allora mi sdraio nel letto e lo tengo sul mio petto leggendogli i suoi libri preferiti. Lui mi stringe la mano nei passaggi che più lo emozionano e io gli bacio la fronte. Poi mi tira ancora per la mano e con un dito indica la guancia: vuole che lo baci sulla guancia e io lo accontento, non con uno, ma con mille baci. E lui ricambia felice, sorride. L'affetto e il calore fisico sono l'unica medicina che davvero gli giova.

Ho fatto installare anche la tv, nonostante le sue proteste perché non l'ha mai voluta in camera, e infatti rimane spenta. Lui che ha sempre amato la compagnia dei suoi manuali di scienza, dei classici della filosofia e ora distingue a fatica i contorni delle cose. Le massicce dosi di morfina, per calmare i violenti accessi di tosse, lo rendono soporoso di giorno e insonne e preda delle allucinazioni di notte. Ci si è già passati con la mamma, ma quella volta io non c'ero, non potevo: ero appena diventato padre e mi sono ritrovato completamente assorbito da quella nuova condizione. Ora, però, le cose sono diverse e tu mi manchi già da fiaccare il respiro, papà...
Non sono passate che un paio di settimane da Natale e la situazione è precipitata drasticamente.

Sento una fitta continua tra le costole; gastrite da stress, dice il medico e nemmeno i farmaci la calmano. E ho freddo... Un freddo che non ho mai sofferto e rode le ossa.
Sparecchio e, serrati i palmi nelle tasche dei calzoni della tuta, imbocco le scale in direzione di camera di papà. Mira è in corridoio che trasporta alcuni prodotti per le pulizie in camera di mia sorella, dove la seguo, restando sull'uscio.

«Buongiorno, Mira, scusa, volevo chiederti se sei già passata da papà, stamattina.»

«Buongiorno, Ermes» mi saluta, mentre apre le imposte. «Tuo papà riposa ancora, visto che stanotte non ha dormito molto a causa della febbre. Gliel'ho misurata mezz'ora fa ed è scesa per fortuna, ma meglio lasciarlo tranquillo, secondo me. Prenderà le medicine appena si sveglia.»

«Certo. E... anzi, non so come ringraziarti di aver voluto occupare la stanza di Nicole per restare durante le notti, in caso di necessità.»

«Hai bisogno di un cambio. Lo so che vuoi stare con lui il più possibile, ma devi riposare, ricaricare le forze. Lo faccio volentieri, davvero.»

Forze? Quali forze? Non ne possiedo più. Il sonno fugge, la stanchezza aumenta fino al punto che credo le allucinazioni stiano per venire a me, dal momento che non riesco minimamente a concentrarmi e che il trillo della sveglia è un nemico armato, una sentinella di sventure che scandisce l'inizio di un nuovo giorno di combattimenti, tra solleciti alle sanitarie per i dispositivi medici che spettano a un malato terminale e le chiamate all'oncologo, perché le condizioni peggiorano di ora in ora, a volte. Vorrei cadere in un sonno profondo e ristoratore. Risvegliarmi bambino, tra mamma e papà, per scoprire che è tutto un incubo e che loro stanno bene. Che non se ne andranno. Non possono andarsene, perché chi mai mi vorrebbe dopo di loro?
Annuisco e fingo una normalità, nei gesti, che non posseggo. «Matias dorme qui con te, vero? Salutamelo, quando torna da scuola. Lo sfiderò alla Play appena si calmano le acque.»

«Non preoccuparti, Ermes, Matias capisce la situazione e preferisce rimanere a Castello Hernandez.»

«In effetti dormire qui con papà che delira di notte non è il massimo. Non ragiono, scusa, veramente.»

«Ma no! È solo che, a casa, ha tutte le sue comodità: i videogiochi, il materiale scolastico i vestiti di ricambio. È grande, sa badare a sé» precisa. «Molto bene, allora... ci vediamo dopo» mi congeda con un distacco che non le appartiene. Mi mordo internamente una guancia, mentre la vedo socchiudere appena l'uscio della camera di mia sorella. Vorrei avere la prontezza di sgusciare dentro e parlarle apertamente.

Nelle settimane scorse, in cui sono stati qui i bambini è stata eccezionale con loro, li ha fatti divertire un mondo. Li abbiamo portati al cinema, al luna park con papà, e ah... papà era euforico quanto loro! Non lo vedevo così spensierato da non ricordo quanto. «Adesso finisce l'allegria...» ha mormorato la mattina che sono partito per riportarli dalla loro madre. Mi ha spezzato il cuore il modo in cui i suoi occhi sono tornati grigi, perdendo quel guizzo di felicità effimera che, se pur per poco, gli ha fatto dimenticare la condanna che gli grava sul capo.

Matias poi è stato davvero paziente, non si è mai arrabbiato per la vivacità dei pestiferi fratellini, che lo hanno assillato ed eletto loro gamer mentore. Carmen è stata messa a dura prova dall'esuberanza delle piccole pesti e non ha fatto niente per nasconderlo; in molti momenti è stato stressante cercare di tenerli impegnati per più di cinque minuti nella stessa attività, per non fare impazzire tutti, ma ci siamo riusciti.
E ora una cappa fumosa, quasi densa, è calata su villa Hernandez come un sipario logoro. Sono lontane le risate e la spensieratezza.

Il pudore non può impedirmi ciò che sento sia la giusta cosa da fare. Seguo Mira in camera di mia sorella. So delle minacce dell'ex marito e non voglio che me ne tagli fuori; in qualche modo posso aiutarla. Inoltre, sebbene non lo dica per ovvie ragioni, è preoccupata di perdere il lavoro a breve. La preoccupazione gliela leggo stampata in viso, oltre al profondo rammarico per la salute di mio padre.

«Ermes!» esclama sorpresa, assorta com'era nelle faccende. Lo so che le prende un accidenti, quando non mi annuncio, ma è l'unico modo per far sì che non mi eviti.

«Scusa, non ti volevo spaventare, io-io...» Esito, e tutta la mia sicurezza di poc'anzi va a farsi benedire in un gesto che mi spiazza, quando la vedo indietreggiare, bloccata tra il letto e la cassettiera alle sue spalle, come a doversi difendere... Non so come proseguire. La tensione è palpabile, ma mi faccio coraggio e mi avvicino a lei, ferma immobile a deglutire inquietudine.

«Mira, non ci giro intorno. So che tuo marito ti minaccia, non ti toglierà Matias. Non glielo permetterò.» Le poso le mani sulle braccia, poco più in basso delle spalle, in un gesto di conforto. Chiusa in un silenzio ermetico, quasi non respira. «Puoi fidarti di me, troveremo una soluzione...»

«È solo stanchezza, Ermes... non è come pensi...» svicola in un rantolo sottile, mentre le sollevo piano il viso dal mento, tra le dita, in un gesto pericolosamente intimo, portando i suoi occhi nei miei. La tristezza delle sue iridi mi ingoia, lascio correre i pollici sulle guance di pesca e lei serra forte gli occhi in una smorfia. Resto a fissarla, continuando ad accarezzarle il viso fino a che, vinto da un istinto atavico, le mie labbra si poggiano sulle sue in un contatto casto.

Restiamo immobili. Le mie dita, smaniose, lasciano il viso per correre a intrecciare quelle esili di lei, che ricambia, artigliandole alle mie in una presa convulsa. Le labbra a chiedere il permesso, è con le mani che accarezzo le sue nello stesso modo in cui la lingua vorrebbe saggiare ogni centimetro della sua pelle.

Un'erezione dolorosa preme, costretta dai joggers. Non posso né mi preoccupo di nasconderla al contatto con il bassoventre femminile. Avverto suo respiro farsi pesante. Le sue falangi delicate si posano su uno zigomo, mentre inizio un percorso di piccoli baci che, dalle labbra, si sposta a intervalli sulle gote e via via sulle palpebre, dove indugio sulla cortina setosa delle ciglia. Socchiudo gli occhi estasiato alla visione delle guance arrossate e della bocca che colgo schiusa in un'inequivocabile espressione di piacere.

Il pollice si sposta a percorrere il contorno delle labbra, a tastarne morbidezza, mentre ardito, discendo a baciarle il lobo di un orecchio fino alla linea delicata del collo. Non può nascondersi: reclina il capo in cerca d'aria, arresa a un gemito che fugge tra i respiri spezzati.

Carne contro carne voglio arrivare all'anima pura e imprigionata da una paura di cui non ha ragione, con me, e che la rende così diversa da chiunque sia venuto prima di lei. Carne brama carne, il sesso per me è un ricordo lontano perché, da quando l'ho conosciuta, mi tocco pensando a lei. Soltanto a lei... Non riesco più a placare i sensi nell'anomimo sfogo consumato su un corpo di cui non ricordo il viso, un attimo dopo.

«Mira...» ansimo pesantemente mentre le labbra imprimono di passione il collo. Sono così eccitato che penso di essere sul punto di venire solo sfiorandola. Risalgo verso la bocca che aderisce nuovamente alla mia in un'unione perfetta. Resto immobile con l'aria rarefatta nei polmoni, bloccato nel limbo surreale di un desiderio incontenibile, negato e agognato per troppo tempo. Le mani risalgono dalla schiena tra i capelli. Assaporo ora il labbro superiore, ora quello inferiore, mentre Mira mi allaccia le braccia al collo ed è lei a intrecciare la propria lingua alla mia, rendendomi pazzo. Le sue dita scorrono tra miei capelli per poi scivolare fino alla barba e a uno zigomo, mentre sugge appena l'arco di Cupido, strappandomi un gemito che voglio oda, perché sappia quanto la desidero. Una tempesta elettrica si irradia dalle sinapsi a ogni terminazione nervosa, facendomi fremere di un piacere irruente, che mi squassa il ventre, che drena l'aria dalla trachea. Resto con la fronte contro la sua a occhi chiusi. Il petto di entrambi si alza e abbassa freneticamente a guisa di due affamati voraci e sazi dopo un lungo digiuno forzato.
Non riesco a dirle niente se non a respirare il fiato fruttato e afrodisiaco della sua bocca.

Tutte le parole del mondo non sono sufficienti a spiegare il modo nel quale lei mi fa sentire. Mira è un bozzolo che mi avviluppa a sé. E l'unica cosa che sono assolutamente sicuro di volere, in questo momento, è dimostrarle con tutto me stesso quanto tenga a lei.

La sento aggrapparsi nuovamente alle mie spalle con vigore e stringermisi contro; Schiuse le labbra, mi lascia ancora l'accesso che desidero. I nostri sapori si fondono, trascinandoci in spire d'irrefernabile ardore che urge di essere assecondato.
Le dita di una mano si avventurano a sollevare un lembo della sua maglietta fino a sfiorare l'addome e lei si irrigidisce. L'accarezzo ancora con l'altra mano, senza mai lasciare le labbra; le dita piano risalgono fino alla base del seno, inerpicandosi a coppa nella parte esterna.
A piccoli passi, la sospingo verso il letto di Nicole, dove la adagio tra le lenzuola ancora sfatte.
I polpastrelli risalgono al merletto del bordo superiore del reggiseno che percorro dallo sterno alla clavicola, con lentezza. L'indice srotola la spallina del balconcino.

Non ragiono più, sento solo il suo corpo caldo contro il mio. Le carezze reclamano di più: la pelle sotto i vestiti. Struscio la mia erezione contro il suo bacino e lei ricambia in una danza sensuale dei suoi fianchi contro i miei. Le dita si avventurano fino ai glutei, che afferro, mentre la lingua penetra la sua bocca anticipando ben altro ingresso. Lei artiglia la mia maglietta sulla schiena, la tira tra le dita che con immensa gioia, immediatamente dopo, sento graffiarmi la schiena dalle scapole fino alle natiche, oltrepassando l'elastico dei calzoni della tuta. La sento afferrarle, venendomi incontro con una poderosa spinta del bacino che muove in maniera circolare.

A un invito così perentorio rispondo intrufolando una mano nei leggins fino a che la punta delle dita fluttua nel nettare delle piccole labbra, massaggiando il centro del suo piacere. Lei mi imita, sorpassando la barriera degli indumenti per imprimere carezze cadenzate sulla mia asta tesa e sul glande che sorga precum al passaggio delle sue dita, pronto a esplodere.
In un gesto solo sollevo la maglietta e sgancio il reggiseno, lanciandolo via. La visione del seno pieno e teso mi travolge mentre timidamente mi chino a lambire quella porzione ancora più stupenda sensibile e del suo corpo. È meravigliosa mentre s'inarca al passaggio della lingua che traccia cerchi umidi e concentrici, ora lenta attorno alle areole, ora rapida guizza sugli apici eretti, che stringo piano tra i denti imprimendovi una suzione energica. La sento stringersi a me spasmodicamente, tirarmi i capelli mentre seppellisce il mio viso sul seno. Le cosce avvinghiate come i tralci fecondi di una vite, attorno al mio bacino. Non posso credere che stia accadendo, non ci credo davvero... mi distacco per sfilarle le mutandine e i leggings e abbattere l'ultimo ostacolo che ci divide, prima di donarle l'interezza del mio essere.

Mi guarda, ha gli occhi lucidi e le pupille completamente dilatate che la rendono ancora più bella. La bocca arrossata dei miei baci. I capezzoli che come fragole mature che fanno capolino tra le ciocche di miele. Il suo corpo mi provoca fantasie accese, ma è delicata... Vorrei farla venire leccandola tra le cosce tonde e rosee e in altri mille modi diversi, ma... devo essere cauto. Ed è forse questo mio esitare che blocca anche lei perchè, a un tratto si copre il seno e s'irrigidisce come marmo, distaccandosi bruscamente e fuggendo, lasciandomi completamente inebetito, stravolto e ancora più pazzo dal desiderio disatteso dell'amore che stavamo per fare... con la paura di averla spaventata tanto che è scappata via da me.

Angolo Autrice:

Carissimi, eccomi a voi. Santiago si è aggravato irrimediabilmente ed Ermes forse sta perdendo del tutto la poca lucidità che gli resta. Questo capitolo, tutto dal suo punto di vista, spero riesca a esprimere appieno quanto sia turbato, al punto forse di aver affrettato troppo i tempi con Mira? Per solitudine, per disperazione? Che ne pensate? In un primo momento anche lei, sempre un piede nell'ombra, pronta a nascondersi da tutti, cede alle pulsioni che una donna ancora giovane è normale avverta. È solo questo, o prova pena per Ermes?
Come sempre mi farà piacere il vostro parere tra i commenti.

A prestissimo,

Nives ❤️.

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