Capitolo 40
CHLOE
Un compromesso dopo l'altro. Un compromesso con me stessa che nessuna donna dovrebbe mai accettare di mandare avanti. Ma l'amore è una droga a cui difficilmente si riesce a resistere, soprattutto quando si è consapevoli che "tutto sta per finire", che il margine in cui l'amore si muove diventa ogni giorno più piccolo.
Sono scesa a patti con il mio spirito di autoconservazione per godermi Flavio fino alla fine, uno stillicidio d'amore che mi sta consumando, lentamente.
Lo sto perdendo, non che io abbia mai pensato di tenerlo in pugno, ma dovete credermi quando dico che l'innamoramento ti convince di poter fare cose assolutamente irrealizzabili. Ho sperato che magari quell'uno per cento mi sarebbe bastato per invertire la rotta della realtà. Ovviamente mi sbagliavo. Ne pagherò le conseguenze, ma voglio farlo. Le mie relazioni sono state blande, anestetizzate prima di conoscere Flavio.
Cosa si prova a legarsi davvero a un individuo, a desiderarlo come si desidera l'acqua in un deserto sconfinato e arido?
Ci si sente vivi oltre ogni aspettativa. Ci si sente onnipotenti e allo stesso tempo impotenti. Un connubio letale di concetti agli antipodi. Questo si prova.
Io voglio amarlo, ancora. Fino all'ultimo giorno che ci sarà concesso. No, non è una forma di masochismo la mia.
È solo una forma d'amore.
Mi ritrovo a uscire di casa, una sera, dopo aver ricevuto un messaggio da parte sua in cui mi chiedeva di vederci, per parlare. Per un istante lo stomaco si è ristretto a una fessura microscopica, ho provato ciò che forse anche Ethan ha provato tanti mesi fa, quando l'ho mollato.
Flavio sta per mollarmi e io ne sono perfettamente consapevole anche se non so fino a che punto sia pronta ad accettarlo.
Non faccio che mordicchiarmi le cuticole durante il viaggio in taxi che mi porta agli alloggi vicino al campus. Pioviggina. Fisso le goccioline attaccate al finestrino, fingo di toccarle facendo scorrere un dito lungo il vetro. Sono pervasa da un senso di stordimento che mi aiuterà ad attutire il colpo.
Indosso una t-shirt con su scritto "Do something you can be proud of" che non avrò più il coraggio di indossare dopo stasera. Ma se c'è una cosa per cui vado fiera, è la serenità con cui ho deciso di pormi con Flavio. Senza l'egoismo che fa parte dell'amore tanto quanto la passione e il desiderio di possesso.
Quanti giorni mi serviranno per ricompormi dopo la botta?
Picchietto con le dita sul vetro e inizio a contare, prima i giorni, poi le settimane.
Forse mesi?
No, no. Mesi no. Sarebbe un martirio decisamente intollerabile.
Il taxi si ferma. La pioggia è cessata. Pago la corsa e mi precipito davanti alla porta. Sistemo i capelli, passo le mani sulla gonna lunga che indosso come a dover togliere della polvere dalla stoffa. Suono.
Flavio apre. Sembra più bello del solito, con un'aria tormentata che credo di non avergli mai visto in viso. Indossa un completo grigio scuro e prova ad allentare con la mano la cravatta ancora legata al collo, lo aiuto scansandogli il braccio e facendolo al posto suo. Sfilo via la striscia di tessuto e la poso sopra una sedia, in cucina. Mi siedo. Il silenzio è intriso di elettricità, una tensione che potremmo quasi riuscire a toccare.
«Birra?» propone.
«Ok.»
Posa due bottiglie di Tennent's sul tavolo, ne afferro una e bevo con ingordigia staccandomi solo quando anche lui si è seduto davanti a me. Subito dopo, inizia a parlare col savoire faire che lo differenzia da tutti gli uomini che ho incontrato nella mia vita.
«Chloe, volevo dirti che ho preso una decisione, lascio Londra. Io e te...»
Le sue parole lanciate così, a freddo.
Lo interrompo alzandomi di scatto. Poso l'indice sulla sua bocca per zittirlo definitivamente.
«Non dirlo. Lo so. Ti chiedo solo una cosa, fino a quel giorno, fino al giorno della tua partenza, trattami come se mi avessi amata come ti amo io. Come se questo distacco non dovesse arrivare davvero. Regalami la possibilità di viverti fino alla fine, ti scongiuro.»
Chiudo gli occhi per trattenere la voglia di scoppiare in lacrime, non ci riesco del tutto. Una goccia sfugge via dal mio controllo. Lui la raccoglie con il pollice, la spalma verso le labbra, mi guarda, poi mi bacia.
Ci vediamo altre tre volte. Facciamo l'amore altre tre volte. Finge di considerarmi importante per altre tre, straordinarie, indimenticabili volte. E in una di quelle tre volte lui mi racconta di Giuditta, io resto ferma ad ascoltare la storia, accettando stoicamente la pugnalata che mi avrebbe, prima o poi, trafitto il cuore.
È il tocco delle sue dita sulla mia coscia a svegliarmi. Un sottile raggio di luce mi colpisce in pieno viso. Il giorno è arrivato. Non posso evitarlo in alcun modo.
«Scusami, non volevo svegliarti» mi sussurra.
Lo avevo capito ieri sera che la partenza era immediata, quando entrando in casa di Flavio avevo visto i bagagli accanto alla porta.
D'istinto gli afferro la mano, la porto alle labbra, ne assorbo il profumo e la bacio. Vorrei tanto non dovermi separare da lui.
«Torni in Italia...» La mia non è una domanda. Scivolo con le gambe a terra e mi metto in piedi.
«Sì» dice.
Avvolgo una coperta sul corpo nudo e faccio qualche passo verso Flavio che sta chiudendo la zip dell'ultimo trolley, mi fermo a pochi centimetri da lui e senza pensarci lascio cadere il plaid che mi copre.
Rimango nuda e non me ne curo. Il senso del pudore con Flavio non ha motivo di esistere.
«È un colpo basso questo...» mormora posando gli occhi su di me.
«Lo sai che non demordo facilmente, ma so anche che se è questo quello che vuoi, quello che ti renderà felice, sono disposta ad accettarlo.»
Mi alzo in punta di piedi e gli sfioro le labbra con il naso, chiudo gli occhi desiderando di imprimere nella memoria quanti più dettagli possibili: l'odore, il sapore, la sensazione di stordimento che sento quando i nostri corpi sono a distanza ravvicinata.
Le sue dita sul mio ventre, e un fremito che mi percorre la schiena e che non intende sparire.
Li odierò questi ricordi. Per ora, però, va bene così. Io ho bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi quando Flavio chiuderà la porta dietro di sé.
«Non posso più restare, Chloe.»
Nonostante tutto, nonostante io sia consapevole che Flavio sta tornando da lei, non riesco a provare astio.
Ci allontaniamo dal fugace contatto dopo qualche istante, desidero baciarlo eppure c'è qualcosa dentro di me che mi impone di mantenere una minima distanza, la minima distanza necessaria affinché io non ceda alla disperazione nel giro di pochi minuti.
Flavio afferra il trolley e si volta a guardarmi. «Davvero te la senti di riconsegnare le chiavi di casa al posto mio?»
Annuisco reprimendo le lacrime, poi sorrido e aggiungo: «Sì, tranquillo. Il tempo di rivestirmi e le riconsegnerò io. Tu vai... vai.» Ormai la mia voce è un sussurro forzato.
«Aspetta, solo un istante» dico alla fine. Corro da lui. Lo bacio. Un bacio leggero, un bacio d'addio. «Ti amo, Flavio.»
«Sei speciale» mormora lui. Poggia la mia mano sul suo petto, all'altezza del cuore. «Resterai qui dentro, te lo giuro.»
Quando la porta si richiude dietro di lui, mille parti di me si infrangono come un vaso caduto a terra. Mi abbandono sul pavimento e resto lì, diversi minuti, finché non capisco che è davvero finita.
Tutto passa nella vita. Le cose belle, come quelle brutte. Le delusioni quanto le gioie. L'amore come l'odio. Mi rinchiudo in casa come una specie di vampiro refrattario alla società, al sole e alla pioggia, alla vita e alla morte, un momento di totale alienazione dalla realtà necessario per superare la "convalescenza". Mia madre mi viene a trovare e senza che io le spieghi nulla, mi porge la sua spalla per piangere quel tanto che basta a farmi comprendere che i miei dotti lacrimali sono pozzi senza fondo.
Alex mi trascina nei locali convinto che troverò un rimpiazzo alla stessa velocità con cui il "vecchio amore" ha deciso di darsela a gambe.
Qualche volta rido. Molto spesso resto indifferente.
Una sera, non so neanche io perché, decido di chiamare Flavio per sapere come sta, sperando fino alla fine che lui mi dica "l'ho trovata, ma non mi vuole più. Torno a Londra."
Ci avrei pensato io a cauterizzare la sua ferita.
Invece, mi liquida velocemente e io sprofondo in un antro di angoscia e desolazione.
Solo il giorno dopo, inaspettatamente, il mio cellulare squilla e la sua foto compare sul display. Rispondo con il cuore in gola e il fiato spezzato.
«Ehi, Chloe. Scusami per ieri sera, scusami tanto...» si affretta a dire.
«Non preoccuparti, come stai?»
Come sta?! No, io non voglio sapere come sta. Io voglio sapere cosa fa e se ha trovato quello che cerca.
«Bene, sono in Sicilia. Giuditta vive qui ora.»
«L'hai trovata?»
«Sì, è un po' complicato... ma ho fatto la cosa giusta.»
Una tranvata tra capo e collo.
«Mi fa piacere. Be', allora... ti lascio alle tue cose e... buona vita, Flavio» lo liquido.
«Grazie, Chloe. Ti auguro il meglio e sono sicuro che lo troverai. Un bacio.»
Poi il tuu-tuu della linea che cade.
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