Capitolo 36

CHLOE

Sono stata così stupida da dirgli due cose delle quali mi sto pentendo amaramente.

Perché non torni da lei?

Questa frase mi rimbomba in testa come una cantilena ripetuta con sfiancante lentezza.

Ti amo.

Gli ho ammesso anche questo, di amarlo, il che mi sembra un'assurdità, e non per il sentimento d'amore in sé, ma per il fatto che questo stesso attaccamento a Flavio mi faccia sentire piena di determinazione e buoni propositi. Da quando le nostre esistenze si sono fuse, in qualche modo, io mi sento una persona migliore.

«Zuccherino, ti ha dato di volta il cervello?» Alex mi guarda sconvolto. «Non si parla mai con un uomo delle ex di quell'uomo

Inclino la testa di lato avvolta dall'avvilimento, le braccia smorte lungo il busto, gli occhi arrossati dal pianto. Ho appena dato libero sfogo alle mie frustrazioni.

Un cameriere si avvicina al nostro tavolo e Alex ordina altri due drink.

«L'alcol mi renderà ancora più depressa» piagnucolo.

«Ah, non è vero! Per le delusioni d'amore hai solo due possibilità: berci sopra o andare a letto con un rimpiazzo!»

Questa volta scoppio a ridere.

«Mi sembra assurdo anche solo parlarne con te, Chloe! Tu sei una che potrebbe fare del proprio stile di vita un insegnamento diretto a femminucce rammollite!» sentenzia il mio amico alla fine.

«Alex, lo sai perché gliel'ho detto?»

«Perché il tuo Doc a letto, oltre alle doti fisiche, riesce a sfoderare anche quelle del plagio psicologico?»

«Perché per quanto io possa sperare che sceglierà me, che amerà me, che resterà con me, non riuscirò a renderlo una persona diversa. Alex, non si può obbligare qualcuno ad amare qualcun altro.»

«E ora, che hai intenzione di fare? Dovresti lasciarlo stare.»

Faccio spallucce. «Non voglio lasciarlo. Aspetterò che accada qualcosa, qualsiasi cosa.»


***


E qualcosa accade davvero, quella stessa sera, al mio ritorno dalla chiacchierata salvavita con il mio amico Alex.

Ho ripreso a guidare la moto da pochi giorni, dopo aver aspettato l'ok del medico e, arrivata sotto casa, parcheggio che sta per cominciare a piovere. Corro per raggiungere l'entrata e salvarmi dall'imminente acquazzone, spingo il cancelletto e salgo le scale; nella penombra della notte scorgo un movimento che mi fa sobbalzare, mi immobilizzo sotto il lento scrosciare della pioggia. Dal buio sbuca Flavio. Si avvicina e, come ogni scena d'amore caratteristica dei film melensi, dove il lieto fine si conosce ancor prima di capire chi siano i protagonisti della storia, affonda le dita tra i miei capelli bagnati e mi bacia. Un bacio che ha tutto il sapore della disperazione, un grido urlato nel bel mezzo di un silenzio angosciante.

Entriamo in casa zuppi d'acqua e intrisi del solo e unico desiderio di consolarci a vicenda. Flavio mi toglie i vestiti bagnati e mi trascina in bagno. Mi adagia nella vasca, apre il rubinetto e in quella conca di acqua calda e ceramica, ci ritroviamo. Ancora una volta.


***


La mattina dopo, il temporale è passato. Dalle finestre filtra la tiepida luce del sole, Flavio è accanto a me che dorme ancora. Mi alzo e vado a preparare la colazione all'italiana, come qualche volta gli ho visto fare.

Tosto il pane, metto a bollire l'acqua per il "caffè all'inglese" − come lo chiama lui −, che so non preferisce alla tanto decantata moka. In questo contesto di totale benessere e spensieratezza, evito di soffermarmi col pensiero al conto che pagherò nel momento in cui, svegliandomi dal sogno nel quale sguazzo dalla notte appena passata, mi renderò conto che, dopotutto, le cose tra me e Flavio non sono cambiate affatto. Abbiamo fatto l'amore come tante altre volte, abbiamo condiviso attimi di intimità e abbiamo psicanalizzato le nostre esistenze col solo contatto fisico. Mentalmente lui è lontano da me e io non faccio altro che rincorrerlo in una girandola senza fine.

Lo sorprendo, a un certo punto, che mi osserva dalla porta socchiusa della cucina.

«Ops, non volevo svegliarti...» mormoro sentendomi colpevole di aver fatto troppo rumore.

«Non mi hai svegliato.» Si avvicina e mi accarezza la guancia con il dorso della mano. Mi aiuta ad apparecchiare la tavola e nel bel mezzo della colazione mi dice: «Scusami per l'altro giorno».

«Scusami tu. Avrei dovuto farmi gli affari miei» rispondo evitando il suo sguardo.

«Penso ancora a lei, ma non la amo. Non si può amare chi ti ha spezzato il cuore» ammette.

Alzo il viso e torno a guardarlo. Ha i capelli arruffati e gli occhi stanchi, lo sguardo ceruleo è ingrigito da una malinconia che non saprei descrivere a parole.

«Anche mia madre mi ha spezzato il cuore in mille modi diversi, eppure l'amo ancora. Certo, non nel modo in cui si può amare una fidanzata o una moglie, ma ti garantisco che l'intensità è la stessa. Anche l'odio può tornare a essere amore se solo proviamo a dare a noi stessi una possibilità in più di riscatto.» Mi accorgo di sorridere, un sorriso disteso per l'ammissione che ho fatto a Flavio ma soprattutto a me stessa.

«Dovevo passare attraverso un incidente che mi ha quasi uccisa per capire che l'amore va al di là dei principi e delle forzature che ci poniamo.»

«Tua madre ti vuole bene...» pronuncia con la voce flebile.

«Non me lo ha mai dimostrato e ho sempre percepito in lei una freddezza che non ha niente a che fare con il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire con me.»

«Sono felice della tua nuova visione della vita, ma non riesco a capire dove vuoi arrivare con me. Stai cercando di convincermi a tornare dalla mia ex?» sputa tutto d'un fiato senza smettere nemmeno un secondo di accartocciare la salvietta che tiene in mano.

«Ovviamente no. Sto solo cercano di aiutarti a capire cosa vuoi tu, Flavio. Io posso amare un uomo che pensa a un'altra donna, ma tu non potrai mai legarti a nessuno se appartieni a qualcun'altra.»

Arrossisco da sola per l'exploit filosofico appena sfoggiato. In vita mia non avrei mai pensato di poter remare tanto contro me stessa. In fondo, però, è proprio questo quello di cui ho bisogno, liberarmi della bulimia d'amore che mi fa ingozzare e poi vomitare l'affetto in un circolo vizioso continuo. Io faccio abbuffate di relazioni come farebbe una bulimica con il cibo, non riesco neppure più a capire che sapore o che aspetto abbia l'amore nella sua forma più autentica. Sono affascinata dai sentimenti per paura della privazione, per il timore di restare senza nessuno in grado di vedere in me qualcosa di buono. Ho sempre avuto una disperata necessità di accettazione da parte di tutti, accettazione che ho sempre mimetizzato egregiamente con una grande forza d'animo, spesso controcorrente, in tante occasioni spericolata e intrisa di provocazioni.

La chiave sono solo io e il mio rapporto con Lady Mary Anne. Non so come stia facendo la mia mente a partorire questa consapevolezza, so soltanto che improvvisamente mi sento meglio. C'è sempre una seconda opportunità per tutto: per parlare, per assolvere un peccatore, per ritrovare un'amicizia e per amare ancora qualcuno per il quale ci sembra di provare solo patologica indifferenza.


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