Capitolo 32
CHLOE
Non pensavo che bastasse tanto poco per regalare un momento di felicità. Fino a oggi non mi sono mai chiesta a cosa si aggrappasse la mia di felicità, quali fossero le ragioni in grado di tenerla stabile dentro di me. Pensavo che la felicità fosse una cosa complicata da sentire e ancor più difficile da perpetuare nel tempo. Le gioie che ho provato nel corso dei miei ventotto anni sono copie simili alla felicità, ma non felicità vera. Non felicità che ti entra dentro come un respiro profondo dopo ripetuti debiti di ossigeno, non felicità che scioglie vecchi depositi di ghiaccio nascosti in qualche parte dell'anima.
Mi sbagliavo.
La felicità è qualcosa di semplice, e si può toccare con mano. Questo Natale, ecco, credo di star lì a un passo dall'afferrarla tutta la felicità che mi serve. Questo Natale sto facendo cose che faccio ogni anno, da sempre, eppure è diverso.
In questa casa siamo tutti sereni.
Siamo tutti intrisi di buoni propositi. Giuro che la mia famiglia sembra una di quelle che si vedono in tv e che sprizzano armonia da tutti i pori. Non armonia finta e di facciata. Armonia vera, l'armonia che si percepisce mentre aleggia nell'aria come un profumo leggero. L'armonia dei gesti semplici, dei "grazie" sussurrati a bassa voce, delle risate spontanee.
Mio padre ha il volto rilassato che non gli vedevo dipinto in faccia da tanti, troppi anni.
Mia madre sembra una vera mamma. Riesco a leggere nei suoi occhi qualcosa di simile alla gratitudine, una riconoscenza silenziosa che mi arriva sotto forma di gesti amorevoli, sorrisi concessi e una stretta di mano. Una stretta di mano nel bel mezzo dei preparativi per la cena della Vigilia. Il mio busto è leggermente inclinato in avanti, un braccio teso per sistemare il centrotavola e l'altro poggiato sul bordo del tavolo. La mia mano è aperta sull'elegante tovaglia, quella di Lady Mary Anne si poggia piano sulla mia concedendomi un tocco gentile accompagnato a una frase pronunciata con dolcezza: «Lascia, faccio io, Chloe». Alzo lo sguardo e incrocio il suo, un leggero fremito di incredulità mi fa sussultare il cuore, seguito subito dopo dal timore che questo gesto, tanto spontaneo quanto amorevole, sia dettato solo dalle circostanze che stiamo condividendo. Ma mia madre non molla la presa, la sua stretta avvolge le mie dita, poi mi sorride senza dire nulla
Questa è la mia felicità.
Poco dopo, mentre sono in cucina tutta avviluppata in un gaudio inaspettato, canticchiando Last Christmas dei Wham!, sento suonare alla porta. Quando raggiungo l'entrata di casa, mio fratello ha appena congedato un corriere e tiene stretti in mano due bouquet. Ecco, in questo preciso istante, la leggiadria viene totalmente spazzata via dalla consapevolezza che qualcuno, la cui identità mi è chiara ancor prima di leggere il biglietto allegato ai fiori, ha architettato la consegna del bouquet per apparire migliore di quanto non sia. Un secondo dopo arriva mia madre, tutta sorpresa, che non perde tempo a scoprire l'identità dell'ideatore di tanta inutile galanteria.
«Oh, Chloe, Flavio è un vero gentleman» mormora allungando lo sguardo verso il mio profumatissimo bouquet.
«Oh, certo, un vero gentleman esperto in improvvise sparizioni, un po' come fanno i prestigiatori con i coniglietti nel cilindro.»
Mio fratello resta a guardarmi sconvolto per il modo in cui mi sono sbottonata tanto davanti a Lady Mary Anne, mia madre, al contrario, non perde tempo e sistema i fiori in un vaso, finendo poi per occuparsi anche dei miei. Per il resto della serata, indugio più volte in direzione del bouquet e ammettendo a me stessa che, dopotutto, la composizione scelta da Flavio non solo è bella, ma un po' mi somiglia anche. Ciò non toglie il fatto che sia sparito dalla circolazione da giorni, avanzando scuse che potrebbero funzionare giusto con una quindicenne alle prime armi, ma non con me. Questo suo inaspettato regalo non sortisce l'effetto voluto, non placa la stizza che mi ribolle dentro. Avrei preferito una telefonata o quantomeno una spiegazione, tanto più che è un uomo adulto e, si presuppone, maturo. Ma a ben vedere la maturità va a farsi benedire quando di mezzo ci sono donne per le quali, probabilmente, non si ha poi molta considerazione. Quest'ultima riflessione mi strappa un gemito silenzioso, mi sto innamorando di un uomo che ha iniziato a snobbarmi.
Le giornate successive trascorrono mosse da una malinconia particolarmente accentuata, i ripetuti silenzi di Flavio mi lasciano un retrogusto in bocca che trovo sgradevole. E pur sapendo che la mia felicità non deve dipendere dalla sua presenza, sento il bisogno di capire cosa gli sia scattato dentro per farmene una ragione.
Passo molte serate sul divano a valutare i possibili motivi del suo comportamento e ogni riflessione silenziosa mi porta a una donna. C'è una donna di mezzo, ne sono sicura, e temo che lui sia da quella donna e che la mia confessione gli abbia fatto scattare un pulsante dentro.
Corre via anche Capodanno in un lento andirivieni di vestiti luccicanti, flute colmi di Champagne e lustrini, come nelle migliori tradizioni. La mia vita ricomincia a scorrere con gli impegni di sempre e, finalmente, dopo tanta estenuante attesa, torno al lavoro. Non partecipo più al dottorato nel team del dottor Solina ma a breve rientrerò in qualche nuovo progetto di ricerca. In questi giorni di astinenza da Flavio, mi butto a capofitto nelle attività al dipartimento di genetica, trascorrendo molto tempo in laboratorio con i vecchi colleghi di corso ed esercitandomi nella pratica clinica in ospedale.
È una gelida mattina di gennaio quando busso all'ufficio del professor Milligan e chiedo di Flavio. Non so che fine abbia fatto e ho bisogno di parlargli, come mi ha consigliato il dottor Prince durante l'ultima seduta.
«Chloe, buongiorno! Ti trovo in perfetta forma! Bentornata tra noi, cara» pronuncia il professore venendomi incontro e stringendomi le spalle.
«Oh, grazie. Devo ammettere di sentirmi davvero bene. Senta... avrei bisogno di chiederle dove posso trovare il dottor Solina» sputo alla fine.
«È ancora in Italia, rientrerà lunedì» mi risponde.
***
Qualche sera dopo, galvanizzata dalla birra bevuta a cena in compagnia di Alex, piombo a casa del Doc.
Suono.
Flavio mi apre mentre io me ne sto in piedi davanti alla porta, tutta raggomitolata in un abbraccio a causa del freddo, muovendo freneticamente le gambe in preda a un'agitazione ingiustificata.
«Chloe...» esordisce appiccicando le sue iridi glaciali nelle mie.
«Posso entrare?» chiedo con un tono che, più che una domanda, suona come un'affermazione.
Lui si sposta più a destra spalancando la porta e lasciandomi libera di varcare la soglia. La casa è calda, sul fornello una moka gorgoglia mentre l'aroma del caffè si spande nella stanza. Più in là, in un angolo, due casse liberano la musica dei Beatles, Here comes the sun.
«Non ti facevo fan dei Beatles» mormoro strusciando la mano sopra la spalliera del divano.
«Ah, no?»
Mimo una smorfia. «Mi sembri più tipo da James Blunt o Mika» dico.
«Sono un tipo eclettico io» pronuncia lui mentre spegne il fornello. «Vuoi un caffè?»
«Sì, grazie.»
In realtà non ho affatto voglia di caffè, ma ho lo stomaco sottosopra per l'agitazione e sento la necessità di rinvigorirmi un po' prima di attaccare Flavio. Perché io sono venuta fin qui per attaccarlo brutalmente, ovvio.
«Sei un ragazzino viziato, Flavio» sentenzio un attimo prima di cadere a peso morto su una delle sedie in cucina.
Lui si gira con una tazzina vuota in mano.
«Eh?» domanda aggrottando la fronte.
«Sei. Un. Ragazzino. Viziato.» ripeto ancora.
Flavio si volta e versa il caffè, poi mi raggiunge vicino al tavolo con le tazzine fumanti, dei cucchiaini e una confezione di zucchero posati sopra un vassoio da bar con il logo della Coca Cola.
«Sei venuta fin qui, alle nove di sera, per dirmi questa cosa?»
Rimango in silenzio per qualche secondo, non riesco a staccare gli occhi da quelli di lui, è come se quel blu abbia il potere di soggiogare chi incappi nel suo sguardo.
«Sono venuta fin qui perché sei sparito dalla circolazione come un fuorilegge.»
«Ho avuto da fare, e poi sono tornato dall'Italia solo ieri.»
«Non mi riferisco a quello. Parlo del fatto che non rispondi alle telefonate, non richiami e mi hai inviato quel mazzo di fiori per spolverare la tua stupida coscienza.»
Inizia a sorseggiare il caffè con cautela. Lo stereo passa alla traccia successiva, Hey Jude.
Flavio alza un sopracciglio e blatera qualcosa di incomprensibile prima di dire a voce leggermente più alta: «La mia stupida coscienza, eh?»
Lo sfido con lo sguardo e replico: «Sì, la tua stupida, stupida, stupida coscienza.»
Si sente il rumore di un tuono provenire dal cielo buio e poco dopo la pioggia inizia a picchiettare contro la finestra con una tale violenza da sembrare che il mondo stia per finire da un momento all'altro.
Non capisco in quale istante il battito del mio cuore comincia a sbattere nel petto in maniera spropositata, di certo accade non appena Flavio mi si para davanti con il busto chino in avanti e il viso a pochi centimetri dal mio. Le sue mani sono poggiate sullo schienale della mia sedia e le voluttuose labbra del Doc sussurrano: «She says she loves you, and you know that can't be bad. Yes, she loves you and you know you should be glad.»
Resto letteralmente senza parole, con un mucchio di deduzioni folli in testa. Se non conoscessi abbastanza Flavio, dedurrei che la sua reazione sia additabile all'uso di qualche fungo psicogeno. Invece no, Flavio è solo sotto effetto di caffeina e testosterone.
Ragiono per i restanti dieci secondi che ho a disposizione prima di cadere preda di facili istinti, deduco che la canzone canticchiata a fior di labbra si riferisca a me.
Dice che ti ama, e sai che non può essere un male.
Sì, lei ti ama e sai che dovresti essere contento.
Io lo amavo e lui doveva esserne contento?
Non finisco il ragionamento perché le labbra di Flavio mi spiazzano con un bacio. Nel sapore della sua bocca non c'è traccia di alcol, Flavio è lucido e pericolosamente convincente.
Questa sera mi accorgo di essere sull'orlo del baratro, sto lentamente, e altrettanto inesorabilmente, perdendo l'abilità di resistere alle tentazioni dell'anima, quei sani principi che ogni donna si impone per discernere con lucidità il sesso dall'amore.
Questa sera, venderei la mia anima al diavolo se quello stesso diavolo mi promettesse di poter rivivere in loop certe emozioni. Un circuito senza fine di scariche elettriche, brividi ed eccitazione. Qualcosa di nuovo e inebriante per una come me che ha assaggiato l'amore più con i sensi che con il cuore e che da sempre è stata campionessa di "sesso travestito da amore".
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