Capitolo 31


FLAVIO

Non volevo si innamorasse di me. Non lo volevo, davvero. Il motivo per cui ho cominciato la relazione con Chloe sfugge anche a me. Riflettendoci, però, l'unica ragione valida è che anche io ho bisogno di una donna che mi faccia stare bene, che soverchi le prospettive troppo intransigenti che mi sono imposto pur di non cadere preda delle debolezze della vita, in altre parole, dei sentimenti. E Chloe, a dire il vero, fino a ora, ci è riuscita.

Questa sera, tuttavia, la consapevolezza che in lei stia nascendo un sentimento nettamente più intenso, mi spaventa a morte. Già le ho causato qualche problema con la storia delle dimissioni e l'incidente, non ho intenzione di girare ancora il dito nella piaga. Non vorrei mai che un giorno Chloe venisse da me a rinfacciarmi il fatto di averla sedotta e poi abbandonata. Siamo due adulti e la cosa migliore da fare è essere chiari.

«Non innamorarti di me, Chloe. Credimi, ti farei solo del male» le dico.

Noto la sua espressione mutare repentinamente, lo sguardo si indurisce e i denti mordono le labbra più volte. Chloe sta assorbendo il colpo e, nonostante mi sembri chiaro che ci sia rimasta male, sembra quasi che la mia constatazione, a un certo punto, le rimbalzi addosso come se la sua anima fosse fatta di gommapiuma. È piuttosto brava a controllare le emozioni, o magari si è resa conto di aver esagerato, scambiando una sciocca infatuazione per qualcosa di più profondo.

Ci teniamo a distanza d sicurezza persino quando giunge il momento di uscire dal suo appartamento. Non un bacio, non un tocco, nessuna interazione fisica. Sembra quasi che a entrambi serva "distanza" per preservare noi stessi e la nostra incolumità emotiva.

Una volta sotto le coperte del mio letto, capisco che devo darci un taglio e staccarmi un po' per evitare che le cose progrediscano troppo, lasciando spiacevoli strascichi.

La mattina seguente chiedo al professor Milligan la possibilità di scontare le ferie e i permessi accumulati dall'inizio del mio contratto di lavoro. Accorperò alle vacanze natalizie qualche giorno in più, e lo farò col solo intento di allontanarmi da Chloe.

Dopo la famosa cena della "confessione", non la vedo più, accampando scuse plausibili che hanno a che fare con il lavoro e con la mia imminente partenza.

Ordino, in un noto fioraio di Londra, due bouquet da recapitare, la sera della Vigilia, a Lady Mary Anne e a Chloe. Questo pensiero rappresenta nei riguardi della signora McLean una sorta di riconoscimento per la disponibilità e la gentilezza mostrate nei miei confronti, quello per Chloe, invece, ha il compito di rendere meno cinica la mia inaspettata "sparizione".

Per Mary scelgo una composizione di rose, alstroemeria e hiperium. Quando è il turno di sua figlia, opto per un bouquet dal sapore bohémien che trovo particolarmente adatto a lei. Una combinazione di ortensie, perpetuini e garofani.

La sera successiva, salgo sull'aereo che mi porterà in Italia.


***


Non sono un fanatico delle feste di Natale, non lo sono mai stato. Tuttavia, nel corso degli anni e per merito della relazione con Giuditta, qualcosa nel mio atteggiamento anti-natalizio è cambiato, catapultandomi nel circolo vizioso di chi il Natale lo vive non solo come una festa, ma come un vero e proprio stato d'animo. Col passare del tempo sono riuscito ad apprezzare l'effetto benefico di Santa Claus, degli alberi addobbati, delle ghirlande appese alle porte e dei baci dati sotto il vischio, anche se la scelta dei regali resta il tasto più dolente di tutti.

Quest'anno, avendo zero motivi per cui rallegrarmi, sto riducendo l'essenza stessa del Natale alla cena e al pranzo in famiglia, e la giovialità forzata di tutti non solo la trovo irritante, ma decisamente fuori luogo.

La sera della Vigilia scartiamo i regali alle dieci di sera fingendo, per la gioia di mio nipote che ancora non sa leggere l'orologio, che sia passata la mezzanotte. Affogo le mie frustrazioni in un numero indefinito di fette di Pandoro ricoperto di crema al mascarpone, che mi costano una bustina di Biochetasi per vincere la nausea e un'altra di Gaviscon per domare il lanciafiamme nello stomaco.

Il giorno dopo ricevo la telefonata della signora McLean che mi ringrazia almeno dieci volte del pensiero che ho avuto per lei. Anche Chloe tenta di chiamarmi, ma io non rispondo. E mi sento un vigliacco. Dopo svariati tentativi di mettersi in contatto con me, mi invia un messaggio.

Chloe

Non so che cosa ti sia successo e sarebbe buona cosa rispondermi. Non mi sarei mai aspettata un comportamento tanto infantile da parte tua. Ad ogni modo, ti auguro Buon Natale e grazie dei fiori.

Ci è riuscita. Chloe è riuscita a farmi sentire un minuscolo pezzetto di cacca putrefatta con questo messaggio.

Allora, quella parte di me coscienziosa e responsabile rinsavisce, costringendomi a prendere il cellulare per inviarle un patetico e altrettanto inutile messaggio di scuse.

Flavio

Ciao Chloe, scusami ma non posso risponderti al telefono. Buon Natale a te.

Empatia zero. Ne sono consapevole, ma non voglio ingannarla, né illuderla.

Due giorni prima della fine dell'anno, il mio amico Carlo pensa bene di vessarmi di messaggi e telefonate con l'intenzione di convincermi ad andare a Milano e passare il Capodanno con lui a casa di amici.

«Sarà una bella situazione, Flavio. Fidati di me, magari troverai qualche piacevole diversivo» mi dice.

So bene che i "piacevoli diversivi" di Carlo sono sinonimo di donne. Quello che il mio amico ignora, però, è che la mia misoginia, parentesi di Chloe a parte, non ha ancora abbandonato il mio essere.

Dopo un tira e molla di messaggi e telefonate snervanti, alla fine, accetto.

Mi trattengo da Carlo più di una notte e mi lascio convincere a restare da lui fino al termine delle ferie: organizzeremo qualche escursione in moto, il che mi sembra l'unica idea davvero bella per inaugurare decentemente l'inizio di questo nuovo anno.

Una sera decidiamo di andare a cena in un noto locale al centro, ordiniamo piatti a base di pesce accompagnati da una dose dannatamente esagerata di vino. Gli effetti sul mio amico si possono descrivere con una sola parola: allegria. Quelli su di me, l'esatto opposto.

«L'hai più vista?» chiedo a Carlo nel bel mezzo di una conversazione che ha a che fare con temi legati alle ristrutturazioni edilizie in certi quartieri milanesi.

«Eh?» Lui sgrana gli occhi, si tocca la barba e sospira. «Parli di Giuditta?» continua.

Annuisco serrando ancora di più le labbra.

Ma come mi è venuta in mente una domanda del genere?

«Dopo la volta che sono andato a riprendere la tua moto, a dire il vero, no. Non l'ho più vista.»

La curiosità mi avvolge come un boa, non riuscirei a trattenere un'altra domanda neanche se me lo imponessi con la forza.

Quindi, infierisco. «Come ti è sembrata?»

Triste?

Felice?

Appagata?

Disperata?

Sto pensando a lei nonostante siano passati nove mesi. Sto pensando a lei nonostante abbia giurato che no, non lo avrei più fatto, perché Giuditta non merita neppure un microscopico secondo di attenzione nei miei pensieri.

Volete sapere qual è la verità?

Be' la verità è che la rabbia è uno stato d'animo subdolo, che quando lo provi, inizialmente, pensi di poter spaccare il mondo, pensi di non riuscire a provare niente altro che collera per l'individuo che ti ha fatto del male. Ma quasi mai si fanno i conti con la fine della rabbia. Perché sì, a un certo punto, com'è venuta, la rabbia va via lasciandoti solo un senso di vuoto incolmabile. E io non ho ben capito in quale momento, in questi lunghi nove mesi, io abbia lasciato scivolare via la rabbia. Eppure, ha abbandonato il mio essere e se ancora non lo ha fatto del tutto, be', manca poco. Davvero molto poco.

«Mi è sembrata come una che ha appena finito una storia importante. Zero trucco, occhi scavati, sorriso finto.»

Afferro la testa tra le mani, abbasso lo sguardo verso il tavolo, fisso con insistenza la ceramica bianca del piatto.

«Ehi, ci pensi ancora?» domanda il mio amico.

«No,» rispondo risoluto, «era solo curiosità.»

«Mah, io avrei qualche dubbio...»

Alzo la testa e sorprendo Carlo che mi osserva con un'aria decisamente strafottente.

«È che a volte mi capita di farmi qualche domanda, tutto qui.»

«Se lo dici tu... Della dottoressa, quella dell'incidente, che mi dici? Come sta? Ti eri particolarmente affezionato alla sua situazione» continua poi col chiaro intento di sviare il discorso.

«Sta bene, ora sta bene. In verità ci frequentiamo, cioè, ci frequentavamo...»

Carlo strabuzza gli occhi ancora una volta. «Te la sei portata a letto?»

«No, un rapporto decisamente platonico.»

«E perché?»

«Perché... non lo so. Avrei voluto spingermi oltre, credimi, poi quando ero lì, consapevole che lei si sarebbe concessa, mi bloccavo.»

«Questa è ansia da prestazione, Flavio.»

«Questa è ansia e basta.»

«E perché avresti l'ansia?» detto ciò, il mio amico afferra il calice e butta giù in un solo sorso il vino.

«Perché lei dice di essersi innamorata

Posa il bicchiere e sorride, il suo classico sorriso sornione. Sono assolutamente sicuro che stia per sputare qualche perla di saggezza delle sue.

«Allora, tu hai un grosso problema che non vuoi ammettere: sei ancora innamorato di Giuditta!»

Spalanco gli occhi quasi offeso dalle sue parole.

«La smetti di dire stronzate, Carlo!»

«E allora di cosa hai paura? Senti, se hai voglia di ricominciare a vivere, ma farlo sul serio intendo, dovresti cominciare a porti meno domande e assecondare un po' di più quell'organo che sta al centro del petto e che batte. Questa ragazza ti piace? Se la risposta è sì, che stai aspettando? Non sarà negandoti che lei smetterà di innamorarsi, se vuoi metterla sotto questo punto di vista. E poi scusami, secondo me sei tu ad aver paura di innamorarti. Dannazione, Flavio, ti rendi conto che siamo in un ristorante a fare discorsi da donne?!»

Arriva il cameriere e Carlo ordina un'altra bottiglia di vino. Vengono servite le portate, un sauté di cozze per lui e una spigola in crosta di sale per me con contorno di patate e insalata.

Mangiamo in silenzio, ognuno abbarbicato nei propri pensieri, decidiamo di riprendere a parlare quando i nostri piatti si svuotano.

«Ho paura che una mattina mi sveglierò e non mi piacerà più. Chloe, intendo. Insomma, Carlo, le donne ci mettono poco a perdere la testa e sono delle campionesse a far passare noi come degli aguzzini. Non voglio farlo a Chloe, non dopo tutto quello che ha passato.»

Carlo si passa una mano sul viso, ha la barba più lunga del solito che lo rende ancor meno serio di quanto già non sembri naturalmente.

«Le donne ci mettono poco a perdere la testa e, nel tuo caso in particolare, ci mettono ancor meno a sfancularti in maniera poco elegante. Ora, può darsi che questa Chloe sia come le altre, può essere che invece no, è una povera sfigata in cerca dell'amore. Be', a te, che cosa importa? Se proprio non vuoi passare per stronzo, puoi sempre mettere le cose in chiaro con lei. Ma tu hai necessariamente bisogno di inzuppare il biscotto da qualche parte, fidati di me.»

Eccola qui! L'ha appena sputata la sua perla di saggezza. Delle volte mi chiedo come faccio a stare fermo ad ascoltare le sue farneticazioni. Ma tutte le volte, poi, mi convinco che Carlo non è un pazzo, è un uomo che dice quello che molti evitano di dire.

Tipo me, forse.

«Se volessi inzuppare il biscotto, potrei trovare delle alternative, Carlo. Non si tratta solo di questo e tu lo sai.»

«Oh, sì che lo so. Si tratta del tuo codice deontologico in tema di donne. Puoi scoparti le stronze ma stai attento a quelle deboli di cuore, o il tuo ego rischierà di soffocarle.»

«Non ho un ego gigante.»

«Hm, direi che il tuo ego subisce le stesse variazioni di uno che comincia la dieta e la sospende a fasi alterne. Una specie di effetto yo-yo» pronuncia alla fine, poi scoppia a ridere. Un sorriso contagioso a dire il vero. Così mi lascio andare anche io, soffermandomi per un istante sulle parole del mio amico.

Dovrei osare di più per liberarmi di tutte le mie zavorre, vero?


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