Capitolo 28
Buon anno a tutte!!!!
Questo capitoli sarà per voi veleno, lo so.
Perdonatemi.
CHLOE
Afferro il telefono con l'intenzione di inviare un messaggio a Flavio, ma mia madre interrompe rovinosamente il tentativo di fare al Doc una simpatica proposta.
«Non credo sia una saggia decisione tornare al tuo appartamento, potresti aspettare la fine delle feste natalizie.» Ecco l'ennesima manovra di mia madre volta a convincermi a rimandare il trasloco.
Alzo gli occhi al cielo stanca di dover dare le solite spiegazioni.
«Ma perché hai tutta questa fretta? Di cosa hai bisogno?» continua lei.
«Della mia indipendenza, mamma!»
Dopo questa affermazione non chiede più nulla, accetta sommessamente la mia decisione, almeno per il momento, china il capo ed esce dalla stanza. Stranamente oggi il suo tentativo di persuasione non raggiunge livelli esasperanti.
Torno così al mio messaggio...
Chloe
Torni in Italia per Halloween?
Flavio
Non saprei, sto valutando.
Chloe
Ti va di passarlo con... me?
Flavio
Mi stai invitando a cena fuori?
Chloe
No, ti sto invitando al luna park!
Flavio
Non sei un po' troppo cresciuta per le giostre?
Chloe
E tu non sei un po' troppo giovane per ragionare da vecchio?
Flavio
Ok
Chloe
Ok per il fatto che sei vecchio, o perché accetti il mio invito?
Flavio
Non farmi pentire di aver accettato il tuo invito.
Sorrido soddisfatta. È da un po' che desideravo portarlo in un posto diametralmente opposto al suo modo essere così, come dire, compìto.
***
Mi preparo con cura, come se stessi per andare a un appuntamento. Sì, è vero, sto uscendo con un uomo, ma questo non è propriamente il genere di rendez-vous che presupponga una scelta accurata in tema di abbigliamento. Flavio non mi sta corteggiando, di questo ne sono certa. Io, però, ci sto prendendo gusto alla sua presenza nella mia vita; negli ultimi tempi ho conosciuto un uomo decisamente più interessante di quello pre-incidente e questo dettaglio mi rende dannatamente e inspiegabilmente euforica.
Scelgo un abitino corto lavorato a maglia, ha le maniche a sbuffo e una sottanina leggera sotto. Ci abbino delle calze coprenti e un paio di stivaletti rasoterra. Mi trucco un po' più del solito allungando la linea degli occhi con dell'eyeliner, sulle labbra un rossetto corallo sbiadito.
Quando sento Lady Mary Anne chiamarmi ad alta voce, capisco che Flavio è arrivato. Perdo un istante in più a gironzolare per la stanza, ignorando il tremolio delle gambe che mi ha colta all'improvviso. Di sicuro, se fossi un po' più onesta con me stessa, prenderei in considerazione la possibilità che il tenue vacillare dei miei arti non sia attribuibile alla sola debolezza muscolare.
Lentamente raggiungo il salone, mia madre sta salutando Flavio e quando lui gira la testa nella mia direzione, rimane immobile a studiare la mia figura come fossi una creatura dall'aspetto singolare.
«Sembra che qualcuno qui abbia imparato a camminare...» esordisce avvicinandosi. Mi dà un bacio sulla guancia e sussurra: «Sei inaspettatamente elegante, ho qualche speranza che tu abbia optato per il cinema?»
«No. Mi dispiace per te» pronuncio con finta arroganza.
Mi allontano e con la coda dell'occhio sorprendo mia madre a spiarci. Quando Lady Mary Anne si accorge di essere stata scoperta, ci saluta frettolosamente e con un'espressione vagamente imbarazzata, si chiuse in cucina.
Spiegare la sensazione provata in questo istante è alquanto difficile, semplicemente perché ciò che provo è paragonabile a ciò che sentirebbe un'adolescente al suo primo, ufficiale appuntamento con un ragazzo. Percepisco un lento eppur tenace brusio sulla bocca dello stomaco per la soddisfazione di aver visto mia madre gratificata. Lady Mary Anne, in questo brevissimo frangente, mi è sembrata fiera di una scelta fatta da me: la sua figlia pestifera e piena di difetti. E seppur tra me e il Doc non ci sia nulla di vagamente ufficiale o importante, io, Chloe McLean, sono riuscita a compiacere indirettamente mia madre. Questo, benché suoni come una contraddizione, mi rende felice.
Il taxi ci porta, su mia richiesta, nella zona tra il ponte di Westminster e Hungerford Bridge, dove, a poca distanza da noi, si erge il London Eye.
«Se farai il bravo, più tardi, ho intenzione di farti fare un giro lì» mormoro indicando con la testa la ruota panoramica.
Dopo aver incastrato il mio braccio sotto quello di Flavio, ci incamminiamo all'interno del Luna Park che, questa sera, pullula di streghe, spettri e scheletri.
Girovaghiamo per le attrazioni, entrando nella Sala degli Specchi e nel Tunnel della Morte e qui, tra zombie che spuntano in ogni dove, vampiri e creature grottesche, scopro che Flavio è in grado di provare reazioni di terrore e ridere per più di tre secondi e mezzo. Questo mi dimostra che, al di là del suo essere insopportabilmente acido e stucchevole, in alcune circostanze è anche in grado di dimostrare emozioni come qualsiasi altro essere umano.
Sotto mia insistente richiesta, giochiamo a sparare contro file di lattine vuote con la speranza di vincere un orsacchiotto, ma mi ritrovo, alla fine, con una girandola colorata in mano. Quando passiamo accanto alla bancarella dello zucchero filato, non riesco a resistere al suo dolce richiamo.
Con il viso nascosto dietro la nuvola bianca, raggiungiamo una panchina sopra la quale crollo esausta. Sono stanca e Flavio se ne accorge. Mi guarda di sbieco reprimendo il desiderio di rimproverarmi, senza riuscire, tuttavia, a dominare la sua indole polemica.
«Non avresti dovuto strapazzarti così» dice col suo cipiglio da Mister-so-tutto-io.
«Potrei darti ragione se non mi fossi divertita tanto» replico. «Ne vuoi un po'?» chiedo subito dopo avvicinando lo zucchero filato al viso di Flavio. Lui si scosta e io insisto.
«Sei sempre il solito gne gne gne!» lo scimmiotto alla fine.
Lui mi lancia un'occhiataccia. «Solo per farti contenta, sia chiaro!» E dà una specie di morso.
Poggio la testa sulla sua spalla e una scossa elettrica mi attraversa la schiena, inaspettatamente. È una forma viscerale di emozione questa che sto provando e mi rendo conto che per rendermi felice basta davvero poco: un uomo duro fuori ma morbido dentro, una panchina sotto il cielo notturno, una girandola mossa dal vento e del soffice, dolcissimo zucchero filato.
«Andiamo sul London Eye?» chiedo mettendomi in piedi, ma un istante dopo percepisco una fitta alle gambe che mi costringe a tornare seduta.
«Un'altra volta, Chloe. Hai camminato più di quanto avresti dovuto.»
Mi arrendo all'evidenza, sono sfinita, anche se devo ammettere che la gioia sortisce lo stesso effetto euforizzante delle amfetamine. Lancio lo stecchino dello zucchero filato nel secchio a lato della panchina, ho le mani appiccicose, lo sguardo stanco e l'incontenibile allegria di una bambina. Mi allungo verso l'orecchio di Flavio.
«Grazie» gli sussurro.
Lui si gira di scatto, i nasi si sfiorano e la sua bocca si apre per mormorare: «Di niente, Chloe».
Poi una tenera, impalpabile collisione di labbra. Un bacio al sapore dello zucchero. Un bacio caldo dato sotto un manto di stelle luccicanti.
Nell'aria calma echeggia il rintocco delle campane di una chiesa.
«È mezzanotte, Cenerentola» mormora Flavio con la bocca poggiata sulla mia.
«Lasciache la carrozza si trasformi in zucca e baciami ancora» gli dico.
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