Capitolo 26

CHLOE

Sono di spalle alla porta, gli occhi rivolti oltre la finestra a guardare il prato e a chiedermi quando arriverà il giorno in cui potrò di nuovo affondarci i piedi nudi sopra, sdraiarmi a guardare il cielo, rotolarmi nell'erba fresca.

D'un tratto sento un cigolio, faccio retromarcia e ruoto la sedia a rotelle in direzione dell'entrata. Mia madre è sul ciglio della stanza con un sorrisino soddisfatto stampato in faccia.

«Che vuoi?» le domando seccata.

«C'è una persona per te.» Si avvicina e mi sistema un ciuffo ribelle.

Tiro indietro la testa per sottrarmi dal suo tocco, pur sforzandomi non riuscirei a essere gentile con lei. Ho il terrore che la sua improvvisa affabilità sia solo una farsa, che io possa convincermi che c'è davvero del buono in questa donna, abbandonarmi al piacere di amare incondizionatamente una madre e poi scoprire che è tutto un bluff. Un modo per circuirmi.

«Chi è?»

«Lo vedrai.» Fa un giro intorno a me e spinge la carrozzella in direzione della porta, io blocco le ruote con la mano.

«Elizabeth, che c'è?» chiede lei sorpresa.

«Quando smetterai di chiamarmi Elizabeth?»

Emette un sospiro di resa, poi si inginocchia davanti a me. «Chloe, per favore, puoi evitare di essere così scontrosa?»

«Scontrosa? Da che pulpito viene la predica! E dimmi, cara mamma, tu per quanti anni lo sei stata con me, eh? Credi che bastino due moine per redimerti da tutto quello che ho visto, sentito e sopportato di te?»

«Per favore, abbassa la voce.»

Spalanco gli occhi piena di soddisfazione, eccola uscire fuori la vera Mary Anne, quella che si vergogna di apparire per ciò che realmente è.

«E perché dovrei, non mi sono mai vergognata di dire quello che penso.»

«Andiamo, forza.» Tenta di spronarmi tornando a spingere la carrozzella.

«No. Non andrò da nessuna parte! Non voglio vedere nessuno, non voglio parlare con nessuno, lasciami in pace» urlo.

Lady Mary Anne si blocca, ora è di nuovo davanti a me con gli occhi severi e il cipiglio di chi sta perdendo la pazienza. Io resto a guardarla fiera, non mi piegherò mai a lei. Mai.

Mi tira uno schiaffo. Uno schiocco di pelle contro pelle, un dolore mentale non fisico, un colpo assestato nell'anima che ha quasi il sapore della rivincita. La sua, però.

«Smettila di trattarmi come se fossi niente. Cresci, ragazzina. Cresci! Qui sono tutti preoccupati per te, ci stiamo prodigando per rendere più leggera la tua guarigione, io stessa sto cercando di migliorare ciò che di me ti ha fatto soffrire, tutti stanno facendo la loro parte. Tu cerca di fare la tua. Se non vuoi scendere, resta pure qui» pronuncia con una fermezza che mi raggela. Esce fuori, sbatte la porta con rabbia e in quel gesto noto un atteggiamento che mai avevo visto prima in lei: la perdita di controllo.

Resto in mezzo alla stanza con la mano sulla guancia colpita, sento pizzicare gli occhi ma non cedo al dolce richiamo della nostalgia; quando alzo lo sguardo, un attimo dopo, vedo Flavio dinanzi a me che mi osserva timoroso come se la ragazza che ha davanti fosse un oggetto in grado di cadere e frantumarsi in mille pezzi. Ed è vero, sto per crollare, e li sento i miei occhi arrossarsi e velarsi di lacrime calde. Scoppio a piangere, così, miseramente.

«Chloe, mi dispiace.» Si china davanti a me e mi abbraccia. Mi aggrappo alle sue spalle e affondo il viso nell'incavo del suo collo sperando di trovarci del conforto. Mi sento sola, mi sento arresa e sconfitta e queste sono le stesse sensazioni che aveva provato la Chloe bambina, quella che metteva le mani sulle orecchie per non ascoltare i litigi dei propri genitori. Quella che aveva fatto del senso di colpa una costante della propria vita. Quella che aveva deciso di combattere con la propria madre per non rimanere soffocata. Ora, però, sto asfissiando comunque, nonostante tutto.

"I problemi irrisolti, cara Chloe, tendono sempre a manifestarsi nei momenti di maggiore vulnerabilità" mi aveva detto il dottor Prince durante una delle ultime sedute prima dell'incidente. Ed è vero, la mia apparente morte e il successivo ritorno alla vita hanno scatenato dentro di me una guerra.

«Come ti senti?» chiede Flavio senza staccarmisi di dosso.

Il mio petto sussulta; ho bisogno di un abbraccio, di una manifestazione d'affetto. Questo ricongiungimento fisico sembra un atto di fede reciproco, il bisogno di supportarsi a vicenda.

«Male» sussurro.

«Ho provato... io ho cercato di trovare il coraggio di venire prima, ma non ce l'ho fatta. Avevo paura che mi rifiutassi e avresti avuto ragione.» Lentamente si stacca da me, strofina il dorso della sua mano sul mio viso e io mi sento terribilmente vulnerabile. Vorrei scostarlo da me e dimostrargli che posso farcela da sola, che non ho bisogno dell'aiuto e della pietà di nessuno, ma è così terribilmente bello e struggente abbandonarsi tra le braccia di qualcuno che vuole aiutarti, che tenta di sollevarti dall'angoscia, che prova ad alleviare il male che hai dentro.

«Grazie» sussurro. Poi interrompo tutto, quasi dolorosamente. Poso le mani sulle ruote, vado indietro e ci separiamo.

«Sai come ci si sente in punto di morte? Non si ha paura di ciò che c'è dopo, si ha solo il terrore di lasciare le persone che amiamo. E io, non ho provato quella paura. La sentivo, sì, sapevo che il distacco sarebbe stata la parte più dolorosa ma, ecco, l'ombra della morte non è stata esattamente come la immaginavo a livello spirituale. Era come se avessi la consapevolezza che tanto non avrei spezzato il cuore a nessuno, a esclusione di mio padre e mio fratello. Potevo tranquillamente andare oltre; eppure non era il mio momento, evidentemente.» Sembra quasi che sia un'altra me a parlare, la Chloe che avrebbe voluto sperimentare il passaggio finale e che non ci è riuscita, il richiamo alla vita è stato più forte. «Ho ancora molte cose da risolvere qui, una vita da vivere, una specialistica da terminare. Sono motivi sufficienti per tornare a sorridere, eppure mi sento menomata. Voglio dire, la mia è una situazione transitoria, lo so, ma ho comunque perso molto. La mia storia è sulla bocca di tutti. Ho un padre influente e la reputazione di una che non le manda a dire, che ha fatto dell'anticonformismo uno stile di vita. Eppure, il giudizio ora mi pesa sul collo come la spada di Damocle. Cosa dicono di me in giro? Cosa pensi di me, Flavio? Te lo dico io: anche tu mi hai giudicata per l'apparenza, per l'errore di una notte, per il mio essere superficialmente superficiale. La frivolezza è solo appiccicata sulla mia pelle, dentro sono molto più di questo.»

Torno a guardare fuori, fisso un punto del cielo e resto in silenzio.

«Perché parli così?»

«Perché è quello che pensi tu, che pensano in molti. Non ti sei chiesto che cosa c'entri Chloe McLean, quella che hai conosciuto tu, con tutto ciò che mi circonda?» Mentre parlo apro le braccia a indicare il contesto in cui sono immersa.

«La ricchezza, il perbenismo, i vantaggi. Be', io non ne ho sfruttato neppure uno di vantaggio, ed è stata una scelta. Questo per dirti che non voglio farti pena. Non devi sentirti in dovere di aiutare una persona che non stimi fino in fondo, la tua coscienza non si pulirà ulteriormente se mi allungherai la mano. Ti ringrazio per il tuo gesto, per il tuo abbraccio, per la tua consolazione. Ma, sul serio, non è necessario altro» pronuncio fredda.

«Se c'è una cosa che sto imparando, Chloe, è che nessuno si salva da solo.»

Al suono di quella frase, giro la sedia verso di lui. Dalla mia bocca esce un sospiro lieve, le labbra si piegano da un lato, leggermente all'insù.

Poi mia madre entra in camera e serve il tè.


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