Capitolo 21
FLAVIO
Al mio arrivo questa mattina, il campus è vuoto e l'aria più fresca di quanto mi aspettassi. Mi stringo di più nel trench che indosso e proseguo in direzione del dipartimento. Una volta arrivato, il solito ragazzo alla reception mi rivolge un saluto, poi mi incammino verso il mio ufficio al piano superiore.
La stanza è poco illuminata, con calma estraggo dalla borsa delle cartelline e le dispongo ordinatamente nello scaffale, accendo il computer e dopo aver modulato l'apertura della veneziana sulla finestra, mi dirigo verso la porta con l'intenzione di andarmi a prendere un caffè al distributore. Qualcuno bussa alla porta.
«Dottor Solina, buongiorno.» È la voce di Evelyn, la segretaria del professor Milligan.
«Buongiorno Miss Stone» le rispondo.
«La dottoressa McLean mi ha consegnato questa. Lei non c'era, così le ho detto che gliel'avrei consegnata non appena fosse arrivato.»
«Oh, ha fatto benissimo, Miss Stone. Grazie.»
Afferro la busta con una certa foga, i miei nervi fremono per conoscerne il contenuto. La curiosità è alimentata anche dalla vicenda avvenuta ieri, non mi riferisco solamente alla strigliata che ho fatto a Chloe in laboratorio, ma anche a ciò che ho visto dopo, durante la pausa pranzo.
Prendo un tagliacarte e apro la busta, ne estraggo un foglio che comincio a leggere. Poche righe dopo ho un lieve sussulto nel petto. Non mi aspettavo di certo questa mossa, non da una come Chloe. Una mossa sleale, per giunta.
Una lettera di dimissioni non era contemplata nello scenario che mi ero costruito; avrei preferito riuscire a piegare ed educare il carattere sfrontato di Chloe, non intendevo di certo costringerla a battere in ritirata.
Mi siedo sulla poltrona, piego la testa all'indietro e comincio a riflettere. Forse tra la dottoressa Mc Lean e la dottoressa Moore c'è stato molto più di un battibecco acceso. Forse, la ragione della scelta di Chloe è causata da ragioni a me sconosciute. Tento di ripulirmi la leggera macchia sulla coscienza che mi sta costringendo a considerare me, e solo me, come unico responsabile della cosa.
Dopo svariate elucubrazioni arrivo alla conclusione che dovrò indagare prima di consegnare questo foglio al professor Milligan. La prima cosa che faccio, allora, è proprio quella di consultare il curriculum della dottoressa McLean alla ricerca di un numero di telefono. Lo trovo subito e compongo il numero. Pochi squilli dopo sento rispondere la voce cristallina di Chloe.
«Dottoressa Mc Lean, sono il dottor Solina.» Subito dopo il rumore secco della linea che cade. Chloe mi ha appena agganciato il telefono in faccia.
Trovo estremamente irritante e infantile questa reazione, però non mi arrendo e riprovo ancora, e ancora e ancora. Chloe non risponde più.
Prendo la lettera e la ripongo nel il cassetto della scrivania, aspetterò, magari questa è solo una reazione dettata dall'umiliazione, oppure vuole sentirsi importante e crede che io andrò a pregarla di tornare. Be', si sbaglia di grosso.
Durante la mattinata in laboratorio, i ragazzi del team mi fanno qualche domanda in merito all'assenza di Chloe, interrogativi che metto subito a tacere con la frase: «Alla dottoressa McLean serve qualche giorno di riposo.»
«Sì, per cominciare a lavorare sulle relazioni di laboratorio» blatera Emily con evidente sarcasmo.
«Emily, ti chiedo la cortesia di risparmiarci certe battute infantili. Non siamo all'asilo!» la zittisco.
Da un lato sono convinto che la scelta di Chloe sia una sorta di passaggio obbligato per responsabilizzarla, dall'altro, invece, mi sento colpevole per ciò che sta accadendo, compresa la battuta indelicata di Emily.
Chloe non si presenta al lavoro neppure il giorno successivo. E ora dopo ora mi convinco della possibilità che quella lettera di dimissioni, più che un bluff costruito ad arte, rappresenti la reale decisione della dottoressa. Rientrato in ufficio, nel pomeriggio, dopo la pausa pranzo, trovo sulla scrivania una chiavetta USB. La collego al computer e apro la cartella. Ci sono due file, il primo è il documento con tutte le relazioni di laboratorio. Il secondo è un messaggio.
Buongiorno dottor Solina,
come vede mantengo sempre le promesse date, era necessario solo aspettare che il tecnico provasse a recuperare i dati dal mio pc.
Ma lei non me ne ha dato il tempo, ha preferito screditarmi, umiliarmi e mettermi alla mercé di persone cattive e arriviste come la dottoressa Emily Moore. Be', probabilmente con lei andrà d'accordo visto che siete fatti della stessa pasta.
Le auguro una buona giornata.
Saluti
Chloe McLean
Inizio ad agitarmi, devo parlarne con il professor Miligan, prima però, decido di fare un ultimo tentativo. Dalle informazioni presenti sul curriculum della dottoressa McLean, trovo il suo indirizzo di casa, lo appunto su un post-it.
Andrò a parlarle di persona.
***
Chloe vive in un appartamento non lontano dalla facoltà, quando sono a pochi metri dal numero civico dell'abitazione, la vedo scendere dalle scale esterne alla porta d'entrata. Mi metto a correre per raggiugerla, e proprio un attimo prima che attraversi l'incrocio, la trattengo per il braccio.
Si gira e resta di stucco nel vedermi.
«Ancora lei! Cosa vuole? Non è stata abbastanza chiara la lettera di dimissioni, dottor Solina?»
«Chloe, voglio scusarmi, sono stato precipitoso, lo ammetto...»
La dottoressa si lascia scappare una risata. «Precipitoso? No, direi che brutale è la parola più adatta. Guardi, sono convinta della scelta che ho fatto, se è venuto qui per farmi cambiare idea sta perdendo il suo tempo.» Prova a liberarsi dalla stretta della mia mano, ma io non glielo permetto.
«Senti, non intendevo umiliarti, io non sap...» Non mi lascia terminare la frase.
«Ah, siamo passati dal lei al tu? Non pensavo che una lettera di dimissioni potesse renderti tanto, come dire, socievole. Hai paura di fare una brutta figura con il professor Milligan?»
«Per favore, possiamo parlare con calma? Non sono venuto qui per litigare, ammetto le mie colpe, cos'altro dovrei fare?»
«Toglierti di mezzo, ecco cosa puoi fare.» Scrolla il braccio con più forza, liberandosi.
Quello che avviene un secondo dopo non posso prevederlo, non posso evitarlo. Il semaforo per i pedoni è rosso, Chloe non guarda la strada, semplicemente l'attraversa. Un taxi la travolge.
Sento lo stridere dei freni e le gomme sull'asfalto bruciare, ma l'impatto è inevitabile. Il corpo di Chloe viene colpito in pieno e scaraventato più in là di qualche metro.
Entro in uno stato di choc dal quale mi riprendo solo qualche istante dopo, quando il rumore dei clacson e il vociare della gente mi riportano dritto alla realtà.
Chloe è riversa a terra.
"Cos'è successo?"
"Oh, poverina..."
"Ma è morta?"
"Sto chiamando i soccorsi. Pronto, c'è stato un incidente sulla...".
Commenti, frasi, domande che mi arrivano smorzate mentre mi faccio spazio tra la folla che si è accalcata intorno al corpo della dottoressa Mc Lean.
«Fatemi passare, sono un medico» urlo.
La raggiungo, mi inginocchio a terra, la chiamo avendo cura di non spostarla.
Ha il viso disteso e le labbra appena aperte. C'è del sangue, deve avere un taglio, probabilmente dietro la testa. Non posso muoverla e rischiare di causare dei danni ulteriori.
«Chloe, Chloe, mi senti?» la voce mi esce spezzata. Sembra incosciente. Le do un leggero pizzico nel punto di incontro tra la base del collo e la spalla. Ma lei non reagisce. Intorno a me la calca sembra essersi triplicata. Controllo che respiri, avvicino il mio orecchio al suo naso e con gli occhi resto fisso a osservare il movimento del torace. Il fiato è debole, il petto si alza e si abbassa lentamente.
Resto qualche secondo in più chino su di lei cercando di razionalizzare la paura che mi preme dentro, che vuole uscire fuori e farmi urlare.
Nella mia testa tre parole: è colpa mia. È colpa mia. È colpa mia.
Se non l'avessi trattata in quel modo giorni fa, se non mi fossi accanito contro di lei per sfogare la mia rabbia e la mia frustrazione, se avessi semplicemente accettato le sue dimissioni senza accanirmi per farla ragionare diversamente, adesso lei non sarebbe distesa sull'asfalto a rischiare la vita.
Quando i paramedici ci raggiungono, mi alzo senza scollare lo sguardo da Chloe. La caricano sulla barella, le attaccano una mascherina e misurano i parametri vitali. Continua a essere incosciente, le domande e le risposte degli operatori mi arrivano ovattate, dicono che ha subito un trauma di una certa gravità. Questo, a dire il vero, lo avevo capito anche io.
Chiedo di salire sull'ambulanza con loro.
«È un familiare?» mi chiedono.
«No, sono... sono un amico. Sono un medico, lavoro con lei. La prego, mi faccia salire.»
«No, mi dispiace, sarà più utile qui per stabilire la dinamica dell'incidente.» Questa la risposta di uno di loro.
Prima che la carichino sull'ambulanza, allungo una mano sulla sua sfiorandone le dita fine.
«Ci vediamo dopo, Chloe» sussurro. Poi sento una mano raggiungermi la spalla, quando mi volto vedo un agente di polizia.
Resto per diverso tempo a raccontare la dinamica dei fatti. Non ometto niente.
«La dottoressa Mc Lean stava parlando con me, io la tenevo per un braccio, si era licenziata e volevo farla ragionare, volevo capire il perché di quel gesto. Non me ne ha dato il tempo, si è scrollata dalla mia presa e ha attraversato la strada senza rendersi conto che era scattato il rosso per i pedoni. Il taxi l'ha travolta» ammetto con la voce rotta. L'agente mi chiede gli estremi, dice di tenermi a disposizione qualora vi fosse necessità di altre informazioni, poi si allontana.
Resto solo, sul marciapiede, intontito dal brusio della gente che, lentamente, torna alla propria vita, ai propri impegni.
Il pensiero va a Chloe, in realtà non si è mai spostato da Chloe, il senso di responsabilità nei suoi confronti mi sovrasta, mi schiaccia.
Fermo un taxi e chiedo di portarmi da lei.
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