Capitolo 12

Buongiorno readers,

vi ho preparato il regalo di Natale... dopo tanta attesa eccovi impacchettato l'undicesimo capitolo.

Scusate il ritardo, ma è stato un periodo turbolento.

Auguro un sereno e felice Natale a tutte voi che mi seguite con tanto affetto.

Un abbraccio.

Giada


CHLOE


Il Circolo Letterario in cui mi trovo è il luogo in cui Ethan ama trascinarmi quando vengono organizzati eventi che riguardano la letteratura e la poesia. Durante queste serate lui sale sul palco e recita versi famosi dei letterati dai quali trae ispirazione per i suoi componimenti. Io me ne sto in un angolo della sala, affondata in un comodo divanetto ad ascoltarlo, mentre parla al pubblico in uno stato di estasi.

Ammiro questa sua sincera devozione per la poesia e la sua altrettanto sincera passione per le arti letterarie, il lavoro che svolge come giornalista free lance permette a Ethan uno stile di vita piuttosto limitato, ed è proprio questo che mi piace di lui, il suo essere totalmente avulso dalle comuni dipendenze materiali, e riuscire comunque a godere appieno delle meraviglie della vita.

Un applauso scrosciante si libera tra la folla, Ethan si congeda al pubblico con un inchino e in un attimo è accanto a me.

«Ti è piaciuto?» domanda subito dopo avermi baciata.

«Come sempre...» gli sussurro a fior di labbra. Devo ammettere che le nostre interazioni pelle a pelle, negli ultimi tempi, hanno subìto un calo, almeno per me. Il che mi lascia pensare alle continue chiacchierate con il dottor Prince in tema di frequentazioni maschili. Il trillo del cellulare mi strappa via dalle riflessioni che riguardano il rapporto che mi lega a Ethan, l'arrivo di una mail di domenica sera è piuttosto improbabile, a meno che non si tratti di newsletter pubblicitarie. Quando metto a fuoco il mittente, il cuore mi salta letteralmente in gola, ricordandomi del pessimo rapporto lavorativo con il mio responsabile.


L'intera squadra di ricerca è convocata nello studio del Professor Milligan domani mattina, ore 8.00 (in punto), per un briefing.

Cordiali saluti

Dottor Solina


Alzo gli occhi al cielo, un briefing alle otto del mattino è piuttosto insolito, tanto più che il Doc non ha mai accennato a una riunione del genere nei giorni passati. Ero convinta che si trovasse ancora in Italia.

Ethan gira la testa verso di me «Che c'è, Cloe?»

«Ho un briefing domani mattina. Sarà meglio andare.»

«Resti a dormire da me?» domanda con la sua vaga aria maliziosa.

«No, Ethan, devo dormire» sottolineo il verbo con enfasi, tanto più che non ho molta voglia di fare altro stasera.

Lui si avvicina e mi affonda il viso nel collo. «Dai...» insiste.

Mi scosto e incrocio il suo sguardo piccolo e chiarissimo. «Ethan, no! Ieri sera abbiamo fatto l'alba, ho bisogno di riposare per lavorare bene.»

Sul viso gli si disegna una smorfia di disaccordo, gli accarezzo il volto sporco di barba e dentro di me provo il senso di colpa di chi ha appena detto una bugia. Vorrei potermi sbagliare, ma devo prendere coscienza del fatto che, a poco a poco, il mio interesse verso Ethan sta scemando. Accade sempre. Accade con tutti gli uomini che frequento, accade anche quando non lo vorrei. E questo è proprio quel caso: la situazione nella quale mi trovo bene con una persona e poi, all'improvviso, si spegne qualcosa.

Una volta tornata a casa mi butto sul letto sfinita; nonostante la stanchezza passo l'intera nottata rigirandomi senza tregua, cercando di trovare una sola ragione che giustifichi la mia perdita di interesse verso Ethan. 

Anche Ethan. 

Cloe, siamo al tentativo numero?

Ho perso di contare gli uomini che frequento. Ethan è bello e piuttosto stimolante, ma a quanto sembra non mi basta più. Anche lui ha perso lo smalto che inizialmente lo rendeva irresistibile.

Riesco a prendere sonno che sta quasi per albeggiare, e quando la sveglia del mio cellulare suona implacabile, non me ne curo, trastullandomi tra le coperte ancora per un po'.

Non appena riapro gli occhi, il panico.

«Non è possibile!» piagnucolo guardando il display del telefono. «Cloe, tra mezz'ora hai un cazzo di briefing, con un cazzo di responsabile che ti odia!» grido paonazza precipitandomi in bagno. Lavo i denti e con l'acqua gelata cerco di sciacquare via quella sottile patina violacea che mi scava gli occhi, rendendo nota a chiunque la nottata passata in bianco. Tiro fuori dall'armadio il pantalone più decoroso che ho, senza fronzoli, senza strappi, senza toppe di alcun genere e scelgo una camicia bianca da abbinare. Quando salgo sulla moto mancano dieci minuti alle otto, e sono almeno venti quelli che impiegherò per raggiungere il campus biomedico.

Una volta arrivata davanti alla porta dell'ufficio del professor Milligan, guardo con ansia l'orologio che ho al polso. Sono in ritardo di quindici minuti, nonostante io abbia guidato come una fuorilegge, infrangendo praticamente tutte le regole del codice stradale. Busso cautamente alla porta mentre il cuore mi pompa in petto come un tamburo. Dall'altra parte sento tuonare la voce del Dottor Solina, dice «Avanti» con un tono che non preannuncia buone notizie.

La stanza è avvolta in un silenzio inquietante, stanno guardando tutti me. Tutti. E io non so bene come iniziare il mio discorso di scuse.

«Buongiorno» blatero a malapena. «Chiedo scusa per il ritardo ma...»

Il Doc non mi fa terminare la frase.

«Ma cosa, dottoressa Mac Lean?» la sua voce arriva al mio orecchio affilata come una spada. Chiudo le spalle e mi stringo in un abbraccio. Dire che sono mortificata è poco; se tra me e il dottor Solina non ci fosse già una pregressa situazione sconveniente, probabilmente sarebbe più semplice avanzare con un minimo di insistenza una scusa da parte mia. Ora però, davanti al mio conclamato ritardo, dopo una mail in cui si sottolineava puntualità, be', ecco, credo di non avere neppure un filo di voce per replicare in qualche modo.

«Chiedo scusa» sussurro alzando appena lo sguardo ed evitando abilmente di imbattermi nelle iridi glaciali del Doc. Gli occhi che incrocio inavvertitamente, però, sono della malefica strega Emily, e posso notare con disgusto quanto stia godendo a dismisura nel vedermi in difficoltà.

«Per tua fortuna il Professor Milligan non è ancora arrivato, in ogni caso il tuo comportamento, dottoressa Mac Lean, è da considerarsi assolutamente irrispettoso nei miei confronti e nei confronti di tutti i tuoi colleghi» mi ringhia contro. «Potete lasciarci soli, cortesemente?» continua.

Io tengo gli occhi incollati al pavimento, una paralisi che a stento mi permette di respirare. Sento uno ad uno i miei colleghi passarmi di fianco e lasciare la stanza, quando la porta si chiude dietro di me non so se provare sollievo o paura.

«Avvicinati» mi ordina quasi con disprezzo «e alza gli occhi, non mi piace parlare con chi evita di guardarmi.»

Muovo un passo dopo l'altro e resto impalata a poca distanza da lui, tiro su la testa e quando incontro il viso del Doc inizio a maledirmi in silenzio.

Il dottor Solina poggia una mano sulla scrivania e comincia a ticchettare con i polpastrelli sulla superficie del tavolo, quel suono non fa che acuire la mia ansia. Mi schiarisco la voce nel tentativo di chiedere scusa, ma lui mi anticipa.

«Se c'è una cosa che non tollero è la mancanza di puntualità. Trovo che sia un grande segno di immaturità e irresponsabilità.» Ha il collo e le spalle rigide e uno sguardo diverso dal solito, non è solo arrabbiato, sembra che in lui ci sia un atteggiamento di ostilità che mai gli avevo visto prima d'ora.

«Io non volevo mancare di rispetto a nessuno, solo che non è suonata la sveglia e...»

«Non mi interessa. Da oggi in poi dobbiamo ristabilire delle regole, per evitare che tu ti prenda libertà che non ti spettano.»

Per qualche strana ragione trovo il coraggio di replicare, perché sono certa che tutta la sua ostilità non sia solo da additare al mio ritardo, e questa cosa davvero non la sopporto.

«Capisco la tua rabbia, ma sono altrettanto sicura che tu ti stia accanendo contro di me per ragioni che vanno ben oltre un ritardo di quindici minuti. Se sono le mie scuse che cerchi, per via di quello che è accaduto alla festa...»

Mi interrompe, di nuovo. «Tu sei una persona troppo esuberante e troppo sfacciata. Ricorda che sono io a decidere chi resta e chi va via, e ti garantisco che tu sei a un passo dall'essere espulsa. Dovresti ringraziarmi se ancora non l'ho fatto, e sei alla seconda cazzata nel giro di pochi giorni» mi sputa contro abbassando il tono di voce. Sulla sua fronte si è appena gonfiata una vena e nel guardarla ho capito che, probabilmente, la scelta più saggia che io possa fare sia quella di stare zitta.

«Per questa volta te la caverai, ma al prossimo errore, dottoressa Mac Lean, non sarò altrettanto indulgente» dice alla fine, scandendo con innaturale lentezza la frase. Si dirige verso la porta d'entrata e fa cenno agli altri di rientrare. Non ho mai provato in vita mia un tale senso di vergogna, non sono una persona che facilmente si imbarazza, ma sapere di essere al centro dell'attenzione per una mia negligenza, a mio parere neppure così grave, mi da l'impressione di aver commesso il peggiore dei crimini.

«La dottoressa Mac Lean avrà il compito di redigere le vostre relazioni giornaliere per l'intero mese, siete pregati di lasciare a lei i vostri appunti di laboratorio» comunica con tono inespressivo.

Ditemi che non è vero. Cos'è, una punizione per il mio ritardo?

«Dottor Solina, sta scherzando?» domando sbigottita, e a dirla tutta mi viene quasi da ridere, una risata sarcastica, ovviamente.

«Perché? Che cosa ti aspettavi, Cloe? Che te la cavassi senza fare nulla? Hai mancato di rispetto a tutti noi, questa mi sembra la sanzione più opportuna» mi risponde continuando a schivare opportunamente il mio sguardo.

Credo che il colore del mio viso sia virato dal solito pallore che mi contraddistingue, al rosso, o qualche tonalità simile, John si avvicina a me, sento il contatto della sua mano sul mio braccio. Probabilmente sta cercando di incoraggiarmi in qualche maniera; il risultato è, ovviamente, molto lontano da quell'obiettivo.

«Doc, posso offrirmi di aiutare Cloe? Insomma, tirare giù cinque relazioni al giorno per un mese intero mi sembra...»

«No, John! Lo farà da sola» lo interrompe Flavio, e ora inizio a chiedermi se io non debba iniziare a chiamarlo solo Dottor Solina, smettendola di dargli del tu. È abbastanza evidente che tra me e lui non scorra proprio buon sangue.

«Spero che questa spiacevole situazione vi faccia riflettere. Io non sono un vostro amico, io sono il vostro responsabile e se è necessario mettere dei paletti ben definiti tra me e voi, per far funzionare le cose, state pur certi che lo farò.» Gli occhi del Doc ci scrutano con attenzione, uno a uno, ma quello sguardo devia velocemente traiettoria non appena incontra il mio.

Uno a zero per Emily, Cloe. Sono sicura che la sua lingua biforcuta stia valutando con attenzione quali sentenze volgari sputare non appena io me ne sarò andata. E credetemi, vorrei farlo subito. 

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