3. Conoscenze

Prima che abbandonasse il suo appartamento, Arthur mi disse dove trovare il raduno dei lupi mannari, in modo che potessi intercettare Rob. Provai a chiamarlo al cellulare una decina di volte, ma non rispondeva e questo non fece che confermare i miei sospetti sul fatto che qualcosa fosse andato storto.

Uscii dalla casa e mi diressi a passo svelto verso la berlina nera di Cassidy.

«Mani in alto! Allontanati dal veicolo!» sentii gridare nella mia direzione.

Mi voltai lentamente e vidi due poliziotti che mi puntavano contro le loro nove millimetri d'ordinanza.

Uno era un uomo di colore, sulla trentina, alto all'incirca quanto me, con una corporatura abbastanza massiccia e occhi marroni, capelli corti e scuri.
Dalla sua posizione di tiro e da come si comportava, sembrava a proprio agio nella sua uniforme e nello svolgere la propria mansione.

L'altro agente era più basso e magro, con i capelli biondi e gli occhi chiari. Non gli prestai molta attenzione, perché sembrava più impacciato e imitava semplicemente ciò che faceva il tizio di colore, probabilmente era un novellino.

«Metti le mani dietro la testa e inginocchiati», m'intimarono i due tutori della legge.

Io, lentamente, eseguii i loro ordini senza parlare.

«Sei in arresto per il furto di questa vettura e per l'aggressione del signor Bruce Kible!» affermò l'agente di colore, avvicinandosi a me con le manette in mano.

Molto probabilmente Bruce era il palestrato, amico di Cassidy, quello che avevo fatto volare contro la macchina gialla: doveva aver dato il numero di targa alla polizia.

Non avevo tempo per quelle stronzate!

«Inoltre, dovrai rispondere della scomparsa di Cassidy Taylor», aggiunse minaccioso il poliziotto esperto mentre l'altro stava in silenzio e si limitava a restare in allerta, con la sua pistola puntata contro di me.

Quando l'agente di colore tentò di ammanettarmi, mi liberai velocemente dalla sua presa emi portai dietro di lui. Con una mano gli tenni fermo il polso, gli feci cadere a terra le manette e con l'altro braccio lo bloccai saldamente per il collo.

Fissai il novellino con espressione glaciale. Continuava a mirare nella mia direzione, tremava e mi fissava con i suoi occhi azzurri impauriti. Non potevo dargli torto: avevo impiegato meno di mezzo secondo per mettere fuorigioco il suo collega e immobilizzarlo.

Osservai di sottecchi l'uomo di colore, ignorando le richieste della recluta di lasciare il poliziotto che avevo in ostaggio.

Dopo alcuni istanti di tensione me ne liberai, ma forse non nel modo in cui intendeva il biondo. Infatti, rafforzai la presa del mio avambraccio sulla gola del poliziotto e afferrai la sua fronte con la mano libera; successivamente gli spezzai il collo con un gesto fulmineo mentre lanciavo un'occhiata al novellino.

Notai l'espressione di panico sul suo viso, ma prima che questi potesse fare fuoco, gli gettai addosso il corpo inerme del suo compagno. Il biondo cadde rovinosamente con la schiena sul pavimento, schiacciato dal cadavere del collega mentre la sua pistola volò diversi metri più in là.

Con un movimento secco, il ragazzo, ormai in preda al terrore, spostò il corpo e cercò la nove millimetri. Una volta trovata, inchiodò lo sguardo sull'arma, senza preoccuparsi se io fossi fuggito o no.

Mentre si rialzava lentamente, mettendosi a carponi per dirigersi verso il suo obiettivo, presi la rincorsa e gli sferrai un calcio sulla tempia col collo del piede.
La potenza del colpo fu impressionante, tanto da spezzargli il collo e ucciderlo all'istante.

Mi presi qualche momento per analizzare la situazione: Arthur era terrorizzato e ferito in casa sua, e probabilmente i vicini erano a qualche festa di capodanno o troppo ubriachi per accorgersi di qualcosa.

In pochi secondi, mentre fissavo i corpi dei due agenti di polizia distesi sull'asfalto, decisi come agire: lessi il nome di quello più esperto sulla targhetta sul suo petto e feci lo stesso con l'altro; infine li caricai velocemente nel bagagliaio dell'auto di pattuglia.

Poi mi misi alla guida e chiamai la centrale con la radio posta nella macchina.

«Sono l'agente Hellis, sto portando il sospettato alla stazione più vicina. L'agente Park sta provvedendo a condurre l'auto incriminata al deposito delle vetture rubate», dissi con tono freddo e professionale alla trasmittente.

«Ricevuto, agente Hellis», replicò una voce femminile dall'altro capo dell'apparecchio.

Subito dopo spensi la radio, presi il mio telefono e composi il numero di un amico, che rispose al quarto squillo.

«Ehi, Henry, dove sei? Amico, qua sono a una festa e non capisco più dove mi trovo, forse ho bevuto un pochino»

Alzai gli occhi al cielo, sbuffando mentre mi allontanavo da casa di Arthur con l'auto di servizio dei due agenti ormai deceduti.

«Ma voi fottuti vampiri festeggiate il capodanno?» biascicò il mio interlocutore.

«Cristo, Simon, sei ubriaco marcio e sono appena le due e mezza! Pensa a come sarai ridotto verso le cinque del mattino. Ma è capodanno e te lo concedo. Riguardo alla tua stupida domanda, io no! Dopo centocinquant'anni mi sono rotto i coglioni», risposi ironicamente.

«In ogni caso devi farmi un favore, amico», cambiai tono nella parte finale del discorso.

«Che diavolo, Henry, vuoi farmi lavorare pure oggi?!Friggiti al sole!» sbottò contrariato, sempre parlando a fatica.

In sottofondo potevo sentire rumori di ogni tipo, grazie al mio udito potenziato da vampiro.

A volte odiavo averlo.

«Si tratta di una bella auto tutta per te», lo stuzzicai, tentando di convincerlo.

«Ho capito, devi disfarti delle prove perché hai combinato una delle tue stronzate vampiriche!
Va bene, ma solo perché si tratta di macchine, eh», replicò interessato.

Gli diedi l'indirizzo dove avevo lasciato il veicolo di Cassidy.

«Ti amo, Simon, grazie», scherzai prendendomi gioco di lui.

«Impalettati!» rispose burbero lui, mettendo fine alla chiamata.

Simon Lawson era il nostro informatore personale ed era grazie a lui se, a metà degli anni '90, iniziammo a fare furti vari e guadagnarci da vivere in modo non del tutto legale.

Aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva tutto di tutti; si occupava di rapine, truffe, contrabbando e, oltretutto, ci vendeva informazioni in cambio di denaro.

Miami, Florida

20 maggio 1995

Erano ormai cinque anni che io e Rob vivevamo alla giornata: furtarelli in negozi, al mercato, nei supermarket e a poche persone, nulla di più, ma si sopravviveva grazie alle nostre "abilità".

Non bisognava mai dare troppo nell'occhio: era sempre stata la nostra prima regola.

Rob era venuto a conoscenza di un pub "speciale" in cui vampiri, lupi mannari, streghe e altre entità sovrannaturali erano i clienti abituali. Il locale era situato nel sottoscala di un vicolo sconosciuto, ma dentro era un bel posto: si chiamava semplicemente "Da Doyle".

L'odore forte di fumo e alcool mi investì le narici non appena varcai la soglia di quel luogo. Le luci erano soffuse e l'arredamento spartano poteva sembrare la versione moderna di un saloon con tanto di tavolini, sgabelli un po' rozzi e bancone interamente di legno massiccio.

Qua e là, giovani cameriere in abitini succinti si affaccendavano per servire ai tavoli qualche avventore.

Dentro avvenivano commerci di sangue, gioco d'azzardo, prostituzione e quant'altro. Era la prima volta che ci andavo e mi recai al bancone per sorseggiare dell'ottimo sangue ben conservato visto che era quello che il locale prometteva di offrire.

Feci la mia ordinazione al ragazzo che serviva da bere e mi aggiustai la giacca di pelle nera, sistemandomi sullo sgabello. A un certo punto, mentre rilassato e tranquillo degustavo il mio drink, un adolescente mi urtò passando.

Il contenuto rossastro del mio bicchiere macchiò i miei jeans chiari e la maglietta bianca che indossavo.

«Stai attento, moccioso!» gli urlai con sguardo truce e indicandolo con la mano.

«Moccioso?! Ma che cazzo di insulto è? Lo sai fare...» rispose spavaldo ma poi cambiò rapidamente tono, fissò ciò che stavo bevendo e neanche finì la frase.

«Ah, tu sei un v-v-vampiro?! Scusa, ma devo abituarmi a queste stronzate, ho appena scoperto che la mia ragazza è una di voi ed è davvero figo», si corresse il giovane, titubante e spaventato.

Lo guardai con sufficienza da capo a piedi: era alto più o meno un metro e sessantacinque, magro e dalla corporatura smilza, portava i capelli neri e sparati all'insù ,occhi grandi e marroni.

I suoi lineamenti delicati e l'assenza di barba lo facevano apparire più piccolo di quello che era. Indossava una felpa nera, lasciata aperta, e sotto di essa portava una t-shirt con dei disegni particolari e molto sgargianti.

«Ok, sei scusato, ma ora sparisci», ribattei secco, volgendo la mia attenzione altrove.

Mi stette a guardare per qualche istante e poi fece un sorrisetto che non mi convinceva proprio.

«S-senti, io avrei bisogno di un... beh... un v-vampiro per il mio lavoro... sai, furti, contrabbando, truffe, cose di quel genere. Uno con le vostre abilità renderebbe tutto più facile», affermò il ragazzo, iniziando con un tono sicuro che divenne piuttosto imbarazzato e incerto sul finale.

Mi voltai a scrutarlo alzando un sopracciglio: in effetti non aveva tutti i torti sul fatto che potevo ampliare i miei orizzonti. Ma era troppo immaturo, non era importante per me, e un bamboccio come lui non mi ispirava fiducia.

«Non mi interessa. Ora vai, prima che ti stacchi la testa con uno schiaffone», gli ringhiai con fare più aggressivo.

Lui guardò a terra spaventato e poi, timidamente, riportò il suo sguardo verso di me, cercando qualcosa nella tasca dei jeans larghi.

«Ok, questo è il mio numero, se comunque... dovessi ripensarci. Ora vado da... sai, la mia ragazza ha detto che aveva una "sorpresa" per me, che non sarei mai più stato lo stesso, forse è la volta che, sai, io e lei... » si congedò con un tono da furbetto.

Mi alzai e lo afferrai per la felpa.

«Vattene, non mi importa», sbottai scocciato.

Subito fui spinto indietro da una misteriosa forza.

«Qui dentro niente violenza!» affermò freddo un uomo di colore alto e muscoloso, vestito in completo nero da buttafuori: mi guardava da lontano con le braccia conserte.

Visto quello che aveva fatto, probabilmente si trattava di uno stregone. Il ragazzo se ne andò spaventato, e io tornai a bere il mio A positivo.

Passarono cinque minuti e mi venne in mente che "la sorpresa" doveva essere quello che intendevo io, non quella che sospettava lui.

In fondo non me ne fregava veramente, ma non sapevo come mai, dentro di me, non volevo che un'altra persona potesse trasformarsi in ciò che ero diventato io più di un secolo prima. Così mi diressi verso il retro del locale con l'intento di salvare la vita di quel ragazzino.

Mentre uscivo vidi uno sgabello vecchio e rovinato buttato nel ripostiglio degli oggetti in disuso e ne spezzai una gamba di legno. Spalancai la porta che portava ai vicoli e misi il mio udito sovrannaturale all'ascolto.

«Staremo insieme per sempre, questo è l'unico modo», disse una voce femminile.

«No, non posso. Scusa, finisce qua. Mi dispiace... io ti amo, ma...non posso davvero, scusa», rispose spaventato il ragazzo.

Camminai nella direzione da cui provenivano le due voci, qualche vicolo più in là, e, quando udii un urlo, iniziai a correre: li raggiunsi in pochi secondi.

Vidi una ragazza dai capelli neri e lunghi che le ricadevano sulle spalle: indossava un top scuro con le spalline sottili e dei pantaloni aderenti dello stesso colore. Era china sul collo di lui.
Lei si voltò verso di me e lo lasciò cadere a terra: i suoi occhi erano rossi e i suoi canini aguzzi, probabilmente sarebbe stata una bella ragazza se non avesse avuto quell'espressione bramosa e affamata di sangue che rovinava le fattezze delicate del suo viso da fanciulla.

Fece un balzo, saltando oltre la rete metallica che ci separava, e mi piombò alle spalle.

Doveva aver sentito i miei passi grazie al suo udito potenziato. Quando mi voltai, lei mi prese per il collo.

«Seriamente, dolcezza?!Seriamente?! Vuoi lottare? Seriamente?!»le chiesi con arroganza, alzando un sopracciglio e sfoggiando un sorrisetto.

Era debole per combattere contro un vampiro centenario come me, per quel che ne sapevo lei poteva esserlo da circa un anno. Non potevamo percepire la presenza degli altri, ma sentendo la loro forza e battendoci, potevamo capire da quanto l'altro fosse un non-morto.

Mi liberai di scatto e la lanciai contro la rete, facendogliela sfondare con la schiena. Lei si rialzò velocemente e cercò di centrarmi con un paio di pugni, che parai con sufficienza. Dopodiché la colpii al volto facendola volare vicino al ragazzo, che nel mentre si stava riprendendo anche se un po' confuso.

Lei lo guardò per un attimo che parve infinito e poi balzò ancora verso di me.

Questa volta mi abbassai e impugnai con forza la mia arma piuttosto rudimentale.

Mentre era sospesa su di me, con un gesto fulmineo la trafissi al cuore con la gamba di legno dello sgabello, facendola finire alle mie spalle agonizzante e prossima alla morte.

Il ragazzo, scosso e spaventato, guardò il corpo della sua ragazza e si alzò tremante.

«Perché lo hai fatto? Perche?!» urlò in preda alla disperazione e alla rabbia.

Mi sferrò un pugno che bloccai facilmente, lo presi per la felpa e lo alzai da terra.

«Come ti chiami?» gli chiesi brusco, inchiodando lo sguardo dentro i suoi occhi terrorizzati.

«S-S-imon», ribatté lui, quasi soffocando.

Dopo la sua risposta, lo scaraventai con noncuranza contro un cassonetto lì vicino.

«Bene, Simon... questa volta ti ho salvato il culo, ma non succederà mai più. Ora farò pulire questo casino da qualcuno del pub, ma sappi che non ci sarò più io a intervenire per te. Sta' lontano da questa vita, ragazzo», proclamai in tono saggio e severo, puntandogli contro l'indice.

Simon si alzò barcollando e iniziò a singhiozzare abbattuto.

«Voleva che diventassi come lei, ma io non potrei mai vivere così. Era già un anno che era strana... poi mi ha detto la verità pochi mesi fa. Due anni cancellati in pochi istanti.»

«Noi vampiri abbiamo una cognizione del tempo superficiale, ma io ricordo tutti i centoquarant'anni della mia vita. Voi umani dovreste valutarlo meglio e viverne appieno ogni istante, solo così potrete sentirvi veramente vivi. Fai tesoro delle tue esperienze, ragazzo», conclusi infine guardando Simon.

Gli diedi le spalle, lanciandogli un'ultima occhiata, poi scossi la testa e mi allontanai.

Trovai un tizio nel pub che, per cento dollari, fece sparire il corpo della vampira. Qualche tempo dopo, iniziai a frequentare il locale: anche Simon fece lo stesso, ignorando volutamente il mio consiglio e, col passare degli anni, diventammo amici.

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