22. Il soldato fantasma ( Parte II )
Fronte Italiano
10 giugno 1915
La Grande Guerra imperversava da qualche mese, ma in Italia era arrivata ufficialmente da poco. Io ero lì a difendere la mia patria, imbracciando il fucile e vestendo la divisa dell'esercito.
Salvo che una granata mi staccasse la testa o un colpo di cannone o mortai o mi smembrasse, ero duro a morire. Proiettili, coltellate e armi usuali non potevano spedirmi all'altro mondo, ma con un lanciafiamme o nel caso avessi perso il mio anello incantato alla luce del sole ero spacciato.
A ogni modo, non avevo quasi mai rischiato di venire ammazzato in quel conflitto, perciò fare la guerra per me era una partita truccata in partenza. Ero nascosto in trincea e rispondevo al fuoco di quei porci austriaci. Sbucai fuori dal riparo e ne freddai due per poi ricaricare il mio fucile.
Guardai in direzione del mio amico e compagno di battaglione: Massimiliano Malchetti, ma per noi era semplicemente Max.
Fisicamente era molto simile a me, stessa altezza e stessa corporatura atletica, sembravamo fatti con lo stampino. Lui aveva i capelli castani e aveva due grandi occhi color nocciola. I suoi lineamenti lo facevano apparire un giovanotto innocuo e gentile, il naso piccolo e le labbra sottili.
«Avanti, ti sfido a fare di meglio e non farti ammazzare da quelli alla tua destra», lo provocai con un sorrisetto mentre mi sistemavo l'elmetto in testa.
«Mh, sfida accettata!» rispose con tono divertito il ragazzo.
Si addossò alla trincea e lanciò una granata verso i due uomini riparati dietro a un muretto, facendoli saltare in aria. Successivamente uscì dal nascondiglio e sparò con una sventagliata di mitragliatrice a tre uomini che correvano verso di lui, atterrandoli tutti.
Si girò verso di me mostrandomi il pollice sollevato e io uscii dal riparo per raggiungerlo. Intanto, un nostro commilitone arrivò urlando che i nostri avversari erano ormai nella nostra fossa e che dovevamo prepararci al corpo a corpo. Poco dopo, venne trafitto da un austriaco e cadde in terra.
Successivamente il nemico si scagliò su di me, io lasciai il mio fucile e parai il colpo, feci volare il soldato a diversi metri fuori dalla trincea, strappandogli l'arma di mano. Max mi guardò sbalordito.
«Secondo me tu hai qualche superpotere, sei un fottuto uomo immortale!» affermò divertito il mio compagno d'armi, non notando un soldato che avanzava verso di lui con la baionetta spianata.
«Max, attento!» urlai passandogli il fucile del militare che avevo atterrato poco prima.
Con un movimento fulmineo, il ragazzo lasciò cadere la mitraglietta e prese al volo l'arma per poi trafiggere l'austriaco ostile e successivamente usare il calcio della baionetta per stenderne un altro.
Poi respirò affannosamente per qualche istante nella mia direzione.
«Dobbiamo andarcene, sono in troppi!» gridò indicandomi la trincea che ci avrebbe condotto verso il nostro accampamento più vicino.
Annuii e iniziammo a correre verso la direzione designata ma notammo diversi nostri alleati venire uccisi dai nemici. Allora ci nascondemmo in una nicchia sperando che si disperdessero.
«Nel caso io non dovessi farcela, quando tornerai al campo, fai in modo che arrivi questo ciondolo a Vanessa e dille che la amo», mi disse Max cacciandomi in tasca un qualcosa che non vidi molto bene.
«Non dire stronzate, rientreremo entrambi!» lo ripresi scuotendolo con una mano.
Da quando era iniziata la guerra, avevo passato la maggior parte delle mie giornate con quel ragazzo, avevamo combattuto e ci eravamo addestrati insieme, eravamo stati di guardia e ci eravamo sempre guardati le spalle. Dopo Roberto era stato il mio unico vero amico.
Decidemmo velocemente una strategia e, quando i soldati nemici si separarono, uscimmo agilmente dal riparo uccidendone alcuni di soppiatto, con movimenti sincronizzati e puliti. La nostra fortuna non durò a lungo, perché al secondo gruppo di nemici venimmo circondati e fatti prigionieri.
«Avrei preferito farmi sparare in battaglia piuttosto che venire giustiziato», affermò con amarezza Max mentre, insieme ai pochi sopravvissuti, stavamo marciando verso fine certa, legati e disarmati.
«Non morirai, amico mio», cercai di rassicurarlo. Io sapevo che sarei sopravvissuto, un paio di fucilate al petto non erano sufficienti per uccidermi. Fortunatamente il sole stava calando, perciò non sarei arso vivo, anche se avessi perso l'anello.
«Mi mancherai, figlio di puttana. È stato un onore battermi con te», mi confidò Max trattenendo le lacrime.
«Smettila con queste scenate patetiche, o quando usciremo di qui ti farò rimpiangere che non ci abbiamo ammazzati!» gli risposi con sarcasmo.
I nemici non erano in grande superiorità, eravamo in rapporto di uno a due, perciò le possibilità di fuga erano discrete.
Sei soldati si sarebbero occupati delle esecuzioni, mentre due sarebbero stati di guardia. L'ultimo gruppetto di quattro sarebbe andato in eventuale esplorazione in cerca di altri superstiti da giustiziare sul posto.
Dopo averci disposti in fila, ci addossarono al muro legati e, mentre uno avrebbe dato l'ordine, gli altri cinque ci avrebbero fucilati.
«Addio», disse fiero Max guardando dritto davanti a sé. Avrebbero iniziato da lui.
Intanto che i soldati caricavano i fucili seppi cosa fare: quando puntarono mi mossi, grazie alla mia velocità sovrannaturale, ponendomi dinanzi a lui mentre gli austriaci facevano fuoco.
Incassai tutti i proiettili, provando un dolore lancinante in più punti del corpo. Quando caddi a terra, portai lo sguardo verso il mio fedele commilitone per vederlo cadere supino sul terreno.
Mi fece un sorriso cercando di ringraziarmi, mentre chiudeva piano gli occhi. Respirai a fondo intanto che i colpi di fucile bruciavano dentro di me. Con l'aiuto del mio demone interiore, la rabbia stava cancellando la sofferenza, le ferite stavano già iniziando a guarire.
Il comandante austriaco ordinò di togliere i rifiuti da terra e, quando due di loro mi alzarono, presi il coltello dalla cintola di uno e glielo piantai in gola, per poi rigirarmi l'arma tra le mani e fare lo stesso con il secondo soldato .
I tre militari rimasti e il loro capo rimasero allibiti, così come i miei compagni sopravvissuti. Mi liberai con forza sovrumana dalle corde che mi legavano e trasformai il mio viso in quello del mostro interiore che nascondevo da decine di anni.
Mi fiondai sulla gola del comandante con una furia e una rabbia che non avevo mai avuto in corpo. Tenni con forzai la sua nuca con entrambe le mani, mentre mi nutrivo con avidità dando strattoni così forti da finire col staccargli la testa dal collo.
Sentii i miei compagni fiondarsi sui soldati rimasti, udii spari e grida. Mi staccai da quel bastardo che aveva condannato a morte il mio amico Max, solo quando mi resi conto di averlo decapitato. Ero pieno di sangue e anche lui, il terreno e tutto intorno odorava di morte.
A quel punto lasciai la sua testa mozzata e la guardai rotolare vicino al suo cadavere.
Poco mi importava della battaglia che imperversava alle mie spalle, mi fiondai sul corpo del mio amico, per poi nasconderlo accanto a un albero che distanziava diversi metri.
«Tornerò per te, amico mio», gli promisi stringendolo e toccandomi il ciondolo in tasca. Lo avrei fatto avere alla sua amata.
I sopravvissuti morirono tutti e non rimasero testimoni della mia trasformazione, perché mi ero occupato di tutti loro senza alcuna pietà. Tuttavia, ero stato costretto alla fuga e non avevo potuto portare con me il cadavere del mio fedele compagno.
Vanessa ottenne il ciondolo che Max mi aveva dato e all'interno vi trovò una lettera. In essa le disse quanto l'amasse e le parlò del nostro legame. Le confidò, inoltre, che sarei stato io a consegnarle la lettera.
Il mio amico era morto credendo in me e non aveva mai abbandonato la speranza.
Qualche giorno dopo, un uomo sporco di sangue e malandato tornò all'accampamento, era quasi in punto di morte. Lo incrociai per caso mentre io stavo lasciando il campo per recarmi altrove, non volevo più combattere.
Non potevo credere ai miei occhi, quell'uomo era Max.
Nella confusione non mi ero accorto che era ancora vivo, neanche con le mie abilità. Lo fissai pietrificato, e lui rimase di stucco, mi aveva visto letteralmente morire crivellato di colpi.
«Ti ho visto morire», esclamò lentamente, quasi come se non fossi reale.
«Quel casino...il massacro... sei stato tu?» mi chiese poi con un filo di voce.
Volevo dirgli tante cose in quel momento, ma non potevo. Aveva visto troppo, stringevo il coltello dietro la schiena, ma non ero in grado di farlo, non volevo.
Allentai la presa dall'arma e gli poggiai una mano sulla spalla.
«Sono morto, Max. Sono passato a salutarti un'ultima volta e dirti di non arrenderti mai. Ti voglio bene, amico mio, addio», dichiarai per poi svanire dalla sua vista con la mia velocità da vampiro.
Sparii dalla sua vita per sempre e non lo vidi mai più. Udii, però, il suo "Addio, Henry". Max era solito chiamarmi sempre così.
Qualche giorno dopo, iniziò a girare la leggenda del "Soldato Fantasma".
Narrava di un giovane militare che, per fedeltà verso il suo compagno creduto morto, mantenne la promessa di portare la lettera da lui assegnatagli alla ragazza che amava, nonostante fosse deceduto in battaglia. Alla fine, si scoprì che l'innamorato si salvò miracolosamente dalla guerra e che, una volta tornato all'accampamento, alle prime ore dell'alba il suo amico gli apparve per pochi istanti, poi non lo rivide mai più.
La storia subì varie modifiche nel corso degli anni, ma tutte le leggende hanno un fondo di verità, no?
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