17. Verità
Ero come paralizzato davanti a quelle ultime parole dette dal Master. Girai la testa per portare il mio sguardo su Faith, che si portò una mano sul viso per poi voltarsi dall'altra parte.
Mi alzai fulmineo dalla sedia e mi avventai su Rafael, senza pensare alla morte che mi avrebbe potuto infliggere. Quell'essere aveva già impedito la nascita di nostro figlio e l'avere una vita normale. Perciò era come se ci avesse ucciso lui nel 1876,poteva benissimo rifarlo, poco mi importava di vivere in quel momento, data la rivelazione del Master.
Mi armai di un coltello che era sulla tavola, ma non ebbi il tempo di usarlo perché mi sentii afferrare dal collo. Impattai rovinosamente la schiena sulla dura superficie in mogano, per poi strisciare su tutta la sua lunghezza, facendo cadere i vari oggetti che vi erano posati.
Quando arrivò all'estremità del tavolo, strinse più saldamente la presa e avvicinò il suo volto al mio.
«Non sprecare le tue forze contro di me, utilizza questa rabbia contro il vero nemico», affermò a denti stretti il potente vampiro lasciandomi andare.
Nonostante mi avesse fornito una spiegazione a diverse situazioni, come poteva giustificare il fatto che aveva vampirizzato Faith con in grembo mio figlio?
Era inaccettabile, e una cosa del genere non poteva avere scusanti di alcun tipo.
Le sue parole ricordavano molto ciò che disse al nostro primo incontro in quel vicolo di Firenze nel 1800. Mi misi seduto sul tavolo massaggiandomi la gola, mentre la vampira che un tempo amavo mi guardava con occhi lucidi, ma senza piangere.
«Ho dovuto farlo... solo così tu saresti potuto sopravvivere rimanendo legato al sangue della tua famiglia», dichiarò Rafael spostando lo sguardo dei suoi occhi scuri da me a Faith.
Mi alzai in piedi e gli andai a faccia a faccia con fare di sfida, non sapevo neanche io da dove trovavo quel grande coraggio.
«Voglio tutta la verità, e la voglio ora! Ho capito che non vuoi uccidermi o lo avresti fatto nel 1876, al ristorante o poco fa... perciò che diamine vuoi da me?» interpellai con tono duro, come se avessi messo io il Master sotto interrogatorio.
Rafael mi guardò come se volesse eviscerarmi, poi posò il suo solenne sguardo su Faith e, dopo un lungo respiro, ricominciò a parlare.
«La tua famiglia discende dalla prima stirpe di vampiri che ha avuto origine più di un millennio fa. Quella di Jack, invece, è la famiglia originaria dei nostri nemici naturali, i licantropi», iniziò a spiegare Rafael.
Incrociai le braccia sul petto curioso e attento al suo racconto.
«Per i licantropi ci siamo, ma i vampiri non possono avere figli, come diavolo è possibile avere una discendenza?» chiesi corrugando la fronte.
«Probabilmente non tutti i membri dell'allora famiglia originaria furono coinvolti nella prima trasformazione, ma in loro è stata comunque trasferita una sorta di maledizione», replicò molto confuso Rafael.
Se neanche un Master aveva tutte le risposte, la situazione era davvero critica.
«Ti ascolto», dichiarai semplicemente, facendogli cenno con la mano di andare avanti.
«Abbiamo fatto in modo di avervi insieme in un unico luogo, utilizzando le due gang per far sembrare che si trattasse di una banale coincidenza. Tuttavia, queste bande sono difficilmente gestibili e ci sono state alcune complicazioni, ma siete sopravvissuti entrambi. Questo conferma che tu ora sei pronto a sapere la verità», Rafael fece une breve pausa e poi andò avanti, «ci siamo adoperati anche affinché Jack uscisse vivo dal vostro incontro perché entrambi siete la chiave per un potente rituale», narrò il Master con espressione seria e fredda, sembrava lui stesso spaventato mentre raccontava.
Cosa diavolo poteva spaventare un vampiro potente come Rafael? Mi sedetti e non parlai, rimanendo in scrupoloso ascolto.
«Voi e il vostro sangue siete gli ingredienti per un rito molto antico che potrebbe risvegliare un vampiro morto da mille anni oppure rievocare l'essere che ha trasformato i primi mannari, addirittura anche il demone che diede inizio alla stirpe dei vampiri. In ogni caso, la forza sprigionata da quel rituale avrebbe conseguenze catastrofiche, non importa per quale motivo lo si voglia effettuare», concluse infine Rafael andando ad accomodarsi sulla poltrona che aveva di fronte.
Ora le mie idee erano più chiare, anche se avevo ancora moltissime domande da porgli.
«Chi vuole usarci e per quale ragione? E se io o Jack morissimo?» chiesi fissando il vampiro.
«Se doveste morire, la maledizione passerebbe al vostro parente più prossimo e così via, non c'è scampo. Nel tuo caso Faith prenderebbe il tuo posto, perché è stata vampirizzata con in circolo il tuo sangue, dato che era incinta di tuo figlio. Ho fatto in modo che tu potessi "mantenere" la tua discendenza e potessi diventare abbastanza forte da proteggerti. Certo, ci vorrebbero ancora secoli per poter solo pensare di essere in grado di affrontare i nemici con cui ti dovresti misurare, ma così sei sufficientemente esperto e furbo da potertela cavare. Se avessero catturato e fatto partorire Federica, vostro figlio sarebbe stato sacrificato», sentenziò con rimorso il potente Master.
Feci un lungo respiro e guardai la vampira dai capelli biondi cenere che puntò i suoi luccicanti occhi verdi dentro i miei.
«Tu sapevi tutto?» le domandai acido inclinando la testa da un lato.
«No, o meglio, ho appreso tutto questo durante la seconda guerra mondiale. In quel periodo incontrai Rafael che mi diede spiegazioni delle sue azioni. Diceva che tu avresti dovuto conoscere la verità dopo due secoli di vita, ma come hai visto, abbiamo dovuto accelerare i tempi», rispose secca Faith.
Marzo 1942 - Roma, Italia
Mi aveva catturato ,ormai ero in quel vicolo allo stremo delle forze e i suoi colpi erano sempre più duri e violenti. Probabilmente Weshner era incazzato per tutte le risorse che aveva dovuto usare per prendermi. Tuttavia, mi preoccupavano più gli esperimenti che avrebbe potuto fare su di me che dal male che mi stava brutalmente provocando.
«Credo che sia il momento che tu ci renda il frutto delle preziose energie che abbiamo perso per trovarti, lurido vampiro», pronunciò freddamente l'alto ufficiale tedesco, una volta che il suo pestaggio disumano aveva avuto fine.
Incaricò due uomini di alzarmi e mettermi dentro una berlina nera, dato che non avevo la forza neanche di reggermi in piedi. Herbert era così forte grazie a varie combinazioni genetiche testate dagli scienziati nazisti su vampiri, licantropi e umani, combinando il loro geni.
Weshner aveva la potenza di un vampiro e l'agilità di un licantropo, poteva uscire alla luce del sole, ma, essendo in parte ancora un comune mortale, poteva essere ammazzato come un semplice essere umano. Questa era la sua più grande debolezza, lo rendeva vulnerabile.
Nonostante tutto, non ero nelle condizioni di fronteggiarlo in quel momento. I suoi uomini mi alzarono e mi trascinarono verso l'auto indicata dal loro superiore. Il solo pensiero di essere una cavia e non poter essere ucciso dal sottopormi a quegli esperimenti mi faceva sentire oppresso e sconfitto, avrei preferito decisamente morire.
I due soldati dell'SS si fermarono e improvvisamente apparve una figura di fronte a Weshner.
«Oh, è lei, signora. Credo che il nostro accordo sia concluso. Ha ricevuto la sua ricompensa per averci fornito il nome di questo prezioso candidato», si rivolse elegantemente l'ufficiale alla donna che stava davanti a lui, ma che non riconobbi subito, dato lo stordimento dovute alle botte che Herbert mi aveva inferto.
«Lieta di averla aiutata, Her Weshner. Sapevo che lo avrebbe trovato, sarà un ottimo soggetto per i vostri esperimenti», rispose una voce davvero familiare.
Non poteva essere lei!
Cercai di osservare meglio chi fosse alzando il capo che era a penzoloni, ma i miei sospetti, purtroppo, si rivelarono fondati... era Federica Marchese.
Mi aveva venduto come cavia da laboratorio a quei porci nazisti!
Credo fosse un modo per farmela pagare per essere partito per la prima Guerra Mondiale nel 1914,senza mai fare ritorno da lei.
Mi sentivo già a pezzi per il fatto che avrei passato lunghi anni sotto le torture e i ferri di quegli psicopatici, e ora avrei dovuto convivere anche con la consapevolezza che a condannarmi a tutto questo era stata la persona che avevo amato per tanto tempo.
«Ero venuta solo a vedere se avevate in custodia il soggetto, ci tengo che gli affari finiscano come d'accordo e che la mia parte sia rispettata», affermò soddisfatta la vampira.
Weshner non ebbe possibilità di rispondere che sentii due colpi di arma da fuoco; gli uomini che mi tenevano caddero a terra, di conseguenza io feci lo stesso. Successivamente a quell'impatto, con il cemento bagnato dalla pioggia incessante, alzai gli occhi per capire cosa stesse succedendo.
Adocchiai Federica con una pistola in mano e il tedesco stupito da quel gesto.
«Che diavolo sta facendo? »espose senza perdere il controllo Weshner e dirigendosi verso la vampira.
«Ora il pacco lo prendo in custodia io, mangia-crauti bastardo!» esclamò con un sorrisetto beffardo la donna, schivando un attacco dell'alto ufficiale del SS.
Portatasi dietro di lui, puntò l'arma alla nuca del biondo e premette il grilletto con freddezza estrema.
Il proiettile trapassò il cranio del tedesco e formò un buco sulla sua fronte da dove uscì del sangue giallastro.
Weshner cade a terra incredulo con un'espressione di sorpresa che divenne la faccia della sua morte: tutto ciò mi diede immensa soddisfazione.
Non mi avrebbe torturato un'altra volta, una mi era già bastata.
Odiavo quel viscido figlio di puttana ed ero grato del fatto che fosse stato ammazzato così brutalmente, freddato sul posto con un colpo alla testa da distanza ravvicinata.
Gli piaceva tanto uccidere così e ora vederlo lì a terra, ucciso nello stesso modo, era gratificante.
Sarà anche stato forte come un vampiro e agile come un licantropo, ma il suo piccolo difetto di fabbricazione gli era costato la vita.
«Chi non muore in guerra, si rivede...» mi salutò acida Federica, aiutandomi ad alzarmi.
Erano più di tre decadi che non ci incontravamo, forse era stato meglio così per entrambi.
«Presuppongo che io debba ringraziarti. Credevo mi avessi venduto a quel bastardo! Erano mesi che mi dava la caccia», affermai mentre lentamente mi stavo riprendendo dalle ferite che il nazista mi aveva inferto.
Mi fece cenno di seguirla e non obbiettai.
«Se ti avessi voluto far soffrire, sai benissimo di cosa sono capace. Non avrei avuto bisogno di questi stronzetti tedeschi», rispose dirigendosi verso una lussuosa limo dell'epoca.
L'occhio mi cadde sul suo lungo impermeabile nero che copriva tutto il resto e un paio di stivali scuri, sul capo aveva un cappello da donna e stranamente non portava gioielli.
Senza fare domande, mi sedetti in quell'auto: non ero nelle condizioni adatte, sporco e zuppo com'ero, ma non avevo altro posto dove andare.
«Quindi...come stai?» chiesi lasciandomi andare sui sedili posteriori.
«Hai solo questo da dirmi dopo interi decenni? Tu, piuttosto, mi sorprende vederti sopravvissuto alla guerra. Grazie a me hai superato anche questa. Scriveranno grandi cose su di te!» dichiarò canzonatoria la mia ex fiamma.
«Dove stiamo andando?» domandai ignorando volontariamente l'accenno alla guerra, perché non amavo parlarne, era stato il periodo più brutto della mia non-vita.
«Dal tuo amico più caro», si limitò a rispondere contrariata la ragazza.
Erano tanti anni che non vedevo Roberto: ero partito facendo perdere le mie tracce a tutti, lui compreso.
«Sta bene?» mi informai curioso con un'espressione interrogativa sul volto, provato da quella lunga notte di fuga.
«Credo di sì, se non altro sono riuscita a trattenermi dal farlo fuori durante la nostra breve collaborazione per trovarti», ribatté Federica alzando gli occhi al cielo, sbuffando e gesticolando come al suo solito. Alcuni atteggiamenti da dama ottocentesca le erano rimasti, ma li nascondeva molto bene.
La vampira mi portò come promesso dall'amico che non vedevo da decenni. Scesi dall'auto e lei, dopo un breve saluto con la mano, fece ripartire l'autista.
Roberto era di fronte a me con un sorriso che non mi sarei mai aspettato dopo essere scomparso per decadi. Era lì in completo scuro, vestito di tutto punto: giacca e cravatta nere come la pece, camicia bianca e pantalone scuro. Anche il borsalino sulla testa gli donava.
Ricambiai il suo sorrisetto con uno altrettanto sghembo e mi avvicinai a lui.
«Mi devi trovare un completo così, amico... mi raccomando!» ridacchiai divertito.
Ci abbracciammo, proprio come due persone che non si vedono da tanti anni. Nonostante tutto quello che era successo nel corso della nostra lunga esistenza, ora eravamo uniti più che mai e amici come prima.
Non importa quante volte avessi sbagliato, lui mi perdonava e mi era sempre vicino, sempre al mio fianco, visto che avevamo l'eternità davanti per dimenticare il passato.
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