Capitolo 4 - Inizia l'avventura

Era una notte serena, di una tranquillità sospetta. Il cielo era costellato di stelle e la luna somigliava a uno spicchio di limone. Le strade erano frequentate da giovani che camminavano spensierati, da coppie che si tenevano mano nella mano, da sposini che spingevano il loro passeggino; neonati beati nella culla del sonno. L'aria era fresca, leggermente umida, e le note di una musica moderna danzavano nel vento delicate. Un tram sferragliò affrontando una leggera curva. All'angolo della strada un gruppo di ragazzi stava fumando davanti a una tabaccheria e rideva a crepapelle. Astaroth strofinò il dorso dell'indice destro sui suoi baffi; il clima di guerriglia che aveva lasciato a Palermo gli sembrava solo un brutto ricordo.

Ebbe un giramento di testa e dovette fare uso dei suoi poteri per ritrovare l'equilibrio e non cadere per terra. Da quando era giunto sulla Terra, pensò, si sentiva di nuovo quel vecchio prete che aveva dovuto interpretare per aiutare il Messia nel suo disegno, consapevole, questa volta, che il suo tempo era stato svuotato sul sentiero della vita, come un vaso colmo d'acqua rovesciato sul letto di un fiume. La morte era l'attesa alla foce. Una notte ancora, una settimana, non lo sapeva. Ma aveva fatto del suo meglio, aveva portato a termine la sua missione. Giuda era vivo, e con lui Lux e tutti gli altri. Poggiò una mano sull'armatura d'acciaio che indossava, poi sul suo viso, ruvido e incavato.

"A che pensi?" domandò Giuda.

"Pietro" rispose Astaroth, mentendo. "Spero che non cambi idea. Insomma, ha deciso di non venire con noi per passare questo tempo con sua moglie. Spero che non commetta sciocchezze."

"Cosa pensi che possa fare?"

"Voi due!" esclamò Lux, impaziente. "Pietro se la caverà. Lo ha sempre fatto. Ora andiamo. Andrea e Sofia sono lì dentro."

"Sì!" rispose Giuda, poi si voltò verso l'angelo caduto. "Non ho avuto nemmeno il tempo di ringraziarti. Il tuo cavallo... sapevi che sarebbe successo."

"Sapevo che ti avrebbe riportato in vita. Ma sei stato tu a decidere da che parte stare."

"Credi che io abbia commesso un errore a disintegrarmi insieme a Goethe? Intendo dire, l'equilibrio è stato corrotto. Forse Satana non c'entra nulla con quello che abbiamo visto a Palermo. Insomma, guardati in giro, non c'è nessuna guerra civile in atto. Forse..."

"L'universo trova sempre il modo di rimettere a posto le cose." Astaroth tossì, una tosse secca e dolorosa come un pugnale nel petto e nella gola. Fece una smorfia. "Andiamo."

"Ti senti bene?" chiese Giuda. "Non pensavo che gli angeli caduti..."

"Sto bene!" esclamò Astaroth, interrompendolo.

Lux stava camminando verso la chiesa tenendo per mano Achille ed Eva e aveva guadagnato un certo distacco, dunque non poteva sentire nulla.

Astaroth fissò Giuda negli occhi. "Ascoltami bene. Hai una famiglia adesso. Sei un padre. Hai visto cosa può fare Satana, cosa ti ha fatto diventare; uno schiavo. Ma non c'eri quando Lux ha partorito, non hai visto quello che ha dovuto subire per mettere al mondo quelle due creature meravigliose... Se solo ti raccontasse la metà delle cose che..." Astaroth portò una mano alla bocca e trattenne un conato di vomito, mandò giù la saliva e riprese a parlare. "Non puoi più perdere il controllo, non puoi più pensare solo a te stesso. Hai scelto la tua strada, quei ragazzi... sono il futuro. Proteggili! Proteggili al costo della tua vita." Astaroth afferrò Giuda per il collo del giubbotto. "Achille ha bisogno di te."

Giuda era pallido in viso. "Cosa vuoi dire?"

Astaroth mollò la presa dal giubbotto e abbassò lo sguardo. "Lui... è come te." Poi prese a camminare verso Lux, e Giuda lo seguì, in silenzio, dopo qualche istante.

Superarono un basso cancelletto di ferro che spezzava il ritmo della recinzione di legno che girava intorno alla chiesa. L'erbetta del cortile era curata e cresceva in mezzo a mattonelle quadrate di cemento rosso che indicavano il sentiero da seguire per l'ingresso. Una cascata di luminarie bianche copriva il portone principale. Le finestre, lunghe e strette, vibravano al ritmo della musica che rimbombava dentro il locale; una danza medievale, allegra, seducente. Si intravedevano fasci di luce vermiglia. Il campanile suonò il rintoccò della mezzanotte e Lux si fermò.

"Faccio io" disse Astaroth, quindi scavalcò i piccoli e la donna e spalancò il portone. Andrea e Sofia, come aveva detto Eva, si trovavano all'interno, ma non erano sole.

Eva abbandonò la mano di Lux e, in preda al desiderio di constatare se le due sorelle fossero lì dentro, fece uno scatto in avanti e si posizionò al fianco dello zio Astaroth, fermo come un sasso.

"Eva!" gridò Lux. "Non ti allontanare."

L'aria era scarsa, la temperatura umida e fredda. Un alito di vento gelido le accarezzò le orecchie e rabbrividì. Una donna, dai lisci capelli biondi che si arricciavano in corposi boccoli sul petto prosperoso, fluttuava a trenta centimetri da terra muovendo il corpo come fosse un'onda del mare guidata dal vento. Doveva essere Andrea, poiché la sua energia vitale era superiore a quella della sorella, che nel frattempo seguiva i suoi stessi movimenti dall'altra parte della sala, ma con i piedi ben saldi sul pavimento. Sotto la luce vermiglia sparata da un paio di sfere luccicanti che roteavano sul tetto, e le note musicali dal retrogusto ipnotico che risuonavano nell'aria, le due sorelle sembravano ombre provenienti da un altro mondo.

E in effetti vi era qualcosa di ultraterreno dentro quel posto, ed Eva se ne accorse solo in quell'istante. Dietro al bancone di legno del bar non vi era nessuno, eppure un paio di bottiglie colorate presero il volo, si agitarono, si inclinarono su una fila di bicchieri di vetro e li riempirono fino all'orlo. Una paletta di plastica si tuffò dentro a un secchio e ne uscì colma di cubetti di ghiaccio, svolazzò sopra tre calici e glieli fece cascare all'interno; poi ripeté l'operazione daccapo con altri calici, coppe, boccali e flûte. All'unisono, due bicchierini si levarono in alto, si scontrarono tra loro tintinnando, si capovolsero verso il pavimento ma anziché rovesciarsi per terra, l'alcool scomparve nel nulla.

"Zio Astaroth!" disse Eva, tremando.

"È tutto okay, piccola. Sono spiriti buoni, non ci faranno nulla."

Ma nonostante le parole rassicuranti di suo zio, Eva gli si aggrappò alla gamba e continuò a tremare.

"Non mi piace" sussurrò Eva. "Non mi piace."

Achille si liberò dalla presa della madre e inseguì la sorella.

"Achille!" gridò Lux. "Giuda, perché non gli dici niente?"

"Wooow!" esclamò Achille con la bocca aperta, dopo aver varcato l'ingresso. "Ma sono tutti morti. Come fanno a trovarsi sul piano terrestre, zio Astaroth?"

"Il Regno dei morti è saturo da un pezzo, figliolo. Osiride si è trovato costretto a mandare molti di loro sulla Terra, facendo una cernita tra le anime più meritevoli. Col tempo sono riuscite a varcare il piano terrestre; in un certo senso è come se fossero meno morte di prima; riescono ad interagire con il mondo reale, ma con delle limitazioni. In ogni caso gli umani non li vedono né percepiscono la loro presenza, a parte qualcuno a onor del vero."

"Io so che sono qui, ma non li vedo" disse Eva. "Non mi piace questo posto."

"Non fare la guastafeste" rispose Achille, poi strattonò Astaroth per la mano. "Voglio giocare con loro, posso?"

"No!" rispose secco l'angelo caduto. "Non siamo qui per giocare. Abbiamo del lavoro da svolgere."

Achille spinse il vecchio facendo una linguaccia e corse verso sua madre e suo padre, rimasti fuori dal portone a parlare.

"Che cosa avrei dovuto dirgli?" chiedeva Giuda.

"Magari che dovrebbero ascoltarci e non fare di testa loro?" rispondeva Lux.

"Mamma, papà, dentro è pieno di spiriti buoni, posso giocare con loro?"

"Bè, ecco qua" disse Giuda. "È venuto a chiedere... Cosa?"

Lux scosse la testa. "C'era da aspettarselo con quelle due, che questo posto fosse pieno di morti. Hai chiesto allo zio Astaroth?"

"Lui mi ha detto di chiederlo a voi!"

"Dunque la risposta è no."

"Ma non è giusto."

"Lux..." disse Giuda. "Forse dovremmo cominciarlo a trattare come un adulto. Dopotutto lui ed Eva non sono due bambini normali. E poi ci siamo noi, Astaroth..."

"Vuoi farmi passare per quella cattiva?" lo sgridò Lux. "Va bene, vai pure a giocare con gli spiriti, allora."

"Grazie!" esultò Achille. "Siete i genitori migliori del mondo."

Achille rientrò nella chiesa correndo, si fermò nella sala, chiuse gli occhi e si concentrò fino a penetrare nello stato di esposizione. Adesso vi era una copia del suo corpo sul piano della realtà intangibile. Quando gli spiriti si accorsero della sua presenza, lo accolsero con gioiosa festosità e iniziarono a giocare con lui, offrendogli una bevanda analcolica alla pesca.

"Achilleee!" La voce di Astaroth tuonò dentro quelle mura e per un istante sovrastò la musica.

Andrea si destò dal suo stato di trance, come fosse stata tirata dai piedi fuori dal suo letto e sbattuta su un pavimento gelido. "Tu? Il vecchio prete pazzo?" Poggiò i piedi nudi per terra e si ricompose. "Ma ci siete anche voi, Lux, Giuda! Siete vivi."

Le anime dei morti avevano smesso di bere e bisbigliavano tra loro. Due di queste, molto giovani, stavano giocando a nascondino con un bambino che pareva Giuda rimpicciolito, sbucato dal nulla. Non faceva parte di quella società, poiché Andrea avvertiva la sua energia vitale, e infatti il corpo del piccolo si trovava accanto al prete. Che strano, pensò, ha una padronanza notevole della sua dote, per essere così piccolo.

Sofia raggiunse la scena con un'espressione di sbalordimento. "Lux! Giuda! E quelli sono i vostri figli? E lui... non posso crederci, è il prete!"

"Sì!" rispose Lux. "Achille ed Eva. Lui è Astaroth, il vecchio prete era lui."

Astaroth afferrò Achille per l'orecchio, e il piccolo tornò nel suo corpo frignando.

Andrea scrutò con maggiore attenzione i due bambini e si accorse che erano identici ai loro genitori; Achille era la copia di Giuda, ed Eva quella di Lux. La somiglianza era impressionante. Osservò il vecchio prete, ripercorse la storia nella sua mente; i ricordi sbocciarono come ciclamini rosati in una campagna bagnata dalla tempesta, e capì che tutto aveva avuto un senso.

"Che ha combinato Achille?" sbottò Giuda, serio in viso.

"Gli avevo detto che non siamo venuti qui per giocare" rispose Astaroth.

"Potete stare tranquilli" si intromise Sofia. "Loro non gli faranno alcun male."

Giuda si mise faccia a faccia con Astaroth. "Cosa ti passa per la testa?"

Il vecchio allontanò la mano dall'orecchio di Achille. "Il suo potere è come un'arma, non puoi permettergli di giocarci, deve ancora essere addestrato."

Giuda sembrò lanciare fulmini dagli occhi e, senza guardare suo figlio, disse: "Achille, va' a giocare".

"Sì, papà" rispose il piccolo.

Nel frattempo Lux aveva preso in braccio Eva. Il suo viso era imperlato di sudore.

"Accomodatevi" disse Sofia, e indicò una serie di divanetti di pelle bordeaux. "Sarete stanchi. Avete viaggiato molto? Dove sono gli altri?"

"Dobbiamo andare" rispose Astaroth. "Non c'è tempo, dobbiamo cercare il resto del gruppo."

Eva fece uno sbadiglio. "Zio Astaroth, io..."

"Cosa c'è?"

"Non credo di poter..."

"Ci sono delle stanze al piano di sopra" disse Andrea. "Potete passare la notte qui, se per voi non è un problema. Domani faremo una bella colazione e avremo modo di parlare meglio."

"Mi sembra un'ottima idea" rispose Lux. "Siamo tutti stremati."

"Come i vecchi tempi..." meditò Giuda ad alta voce, ma nel suo viso non c'era allegria.

Nella notte gli spiritirimasero al piano di sotto senza fare rumore; le luci furono spente e la musicadivenne un sottofondo piacevole di flauti e violini. Giuda, Lux, Achille ed Evasi fecero piccoli piccoli nello stesso letto a due piazze, mentre Astaroth siaddormentò nella stanza accanto. Andrea e Sofia bevvero l'ultimo goccio e siaddormentarono al piano di sotto, sui divani di pelle, tra gli spiriti che sitenevano mano nella mano in uno stato di meditazione.

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