Capitolo 2 - Achille

Una nuvola grigio scuro si accese come una lampadina nel cielo per un istante. Irregolari linee luminose squarciarono nubi più basse e pallide, poi un rumore forte e secco rimbombò per qualche secondo e la pioggia parve precipitare come un fiume privato del suo letto.

Achille era protetto dalla sua giacca di cerata gialla, lucida di acqua, il cappuccio stretto a coprire il collo e la testa. Gli sembrò come se una cascatella fosse franata sopra di lui, tuttavia non si destò dal suo stato di concentrazione a cui aveva dato anche un nome, esposizione.

Sono in esposizione, avrebbe detto, se qualcuno glielo avesse chiesto.

Di fatto, si trovava di fronte a un vicolo cieco insieme ai suoi genitori, Lux e Giuda, stretti in un abbraccio, la sorella Eva, Pietro e lo zio Astaroth. Attorno a lui i muri erano alti più di dieci metri e, oltre questi, i palazzi svettavano alti nel cielo perdendosi in una cortina di foschia grigia.

Nella realtà intangibile, invece, aveva spostato il suo corpo oltre quelle mura, a qualche chilometro di distanza, ritrovandosi nel bel mezzo di una sparatoria.

Quattro macchine celesti con una scritta bianca stampata lateralmente, "Polizia", avevano accerchiato un furgoncino nero lucido. Dietro le quattro vetture, otto uomini indossavano una divisa blu scuro e, chini sull'asfalto, impugnavano con entrambe le mani una pistola che sporgeva dal cofano e puntava il veicolo solitario.

"Venite fuori con le mani sopra la testa!" aveva gridato il più anziano degli otto.

Sul furgoncino vi erano tre uomini e una donna vestiti di nero. Senza farsi attendere, il più giovane, situato davanti al volante, scese dal mezzo con le mani incrociate sul petto.

"Sopra la testa!" urlò l'anziano. Dalla fessura laterale delle sue labbra uscì un ringhio rabbioso.

Il giovanotto sorrise sicuro di sé e non mosse un muscolo. Subito dopo, dallo sportello opposto, scese un uomo più grande di dieci anni circa. Assunse la stessa posa dell'altro ma con un'espressione dura come il marmo. A seguire i due sportelli posteriori furono spalancati, ma dall'interno non si manifestò nessuno.

"Abbiamo l'ordine di sparare!" sbraitò l'anziano. "Niente scherzi! La galera è sempre meglio della morte."

Da entrambe le portiere posteriori del furgone scivolò fuori un oggetto sferico, somigliante a un ananas senza foglie, che rotolò sull'asfalto fino ad accostarsi a una delle ruote delle macchine celesti. A distanza di qualche secondo, nell'aria volteggiarono altri due di quegli oggetti.

"Cazzo!" urlò uno degli uomini con la divisa. "A terra!" Le persone vestite allo stesso modo si gettarono sull'asfalto ruvido con le mani sopra la testa, chi in silenzio, chi imprecando, chi bestemmiando.

Rapidi come felini, i due adulti vestiti di nero rientrarono sul furgoncino, sbattendo gli sportelli. Quando anche quelli posteriori vennero chiusi, ci furono quattro esplosioni che incendiarono le macchine celesti e uccisero ogni uomo in divisa. Alte lingue di fuoco li avvolsero divorandoli tra grida disumane.

Achille sbatté le palpebre e rifletté su quanto aveva visto. Percepì una sensazione anomala. C'era qualcosa di sbagliato in quell'evento terminato e ormai archiviato secondo le leggi universali dell'equilibrio cosmico. Non era d'accordo; la sua sensibilità aveva decretato in quell'istante che l'episodio si sarebbe dovuto concludere in maniera opposta.

Ma non poteva riportare in vita i morti.

Dunque creò uno scudo di energia attorno a sé e fece esplodere il furgone con i vari passeggeri all'interno. L'autovettura schizzò in aria con uno scoppio scintillante e prese a volteggiare insieme alle fiamme che bruciavano i corpi dei malfattori. Il clacson echeggiò nel cielo impazzito. Schegge di vetro e detriti atterrarono sopra lo scudo ma non lo scalfirono minimamente. Poi giunse l'uomo più giovane a qualche metro di distanza, con un tonfo simile a quello che farebbe un sacco di cemento lanciato dal dodicesimo piano di un palazzo contro l'asfalto. Mulinelli di fumo salirono verso l'alto dai vestiti scuri.

"Boom!" sussurrò Achille.

In quel momento qualcuno gli strinse la mano e interruppe l'esposizione. Era sua sorella Eva; lui gli sorrise e lei ricambiò. Aveva i lisci capelli neri incollati al viso, gli occhi scuri che infondevano sicurezza e allo stesso tempo dolore; il naso, le labbra e le lentiggini di sua madre.

"Cosa state facendo voi due?" domandò Astaroth, in tono di rimprovero.

"Niente, zio Astaroth!" rispose Eva, stringendo più forte la mano del fratello.

"Eri in esposizione, Achille, non è vero?" ribatté Astaroth.

Achille fece cenno di no con la testa. Gli piaceva mentire e scrutare l'espressione della sua vittima quasi quanto esporsi nella realtà intangibile. Era divertente.

Astaroth si grattò il suo ammasso scomposto di folti capelli bianchi. "Ti tengo d'occhio, signorino."

"Esposizione?" Lux si mise a braccia conserte, incuriosita.

"Già, che sarebbe?" Giuda era serio in viso, come un padre che sta per sgridare il figlio dopo una ragazzata.

"È un termine che ha inventato lui" rispose Astaroth. "È il suo modo di dire che si trova nell'altra percezione dello spazio e del tempo, il luogo dove le anime dei vivi possono muoversi indisturbate. Credo che sarebbe in grado di viaggiare fino al Regno dei morti, se volesse, e col tempo e la pratica di riuscire a fare cose singolari."

Lux e Giuda, sorridenti come due sposini, si avvicinarono ai loro due marmocchi e si piegarono sulle ginocchia per guardarli negli occhi. La pioggia era scemata fino a lasciare il posto a un timido sole pallido e in città era calato un silenzio sinistro.

"Come siete belli!" disse Lux. La voce le tremava. "Venite qui, fatevi abbracciare." E aprì le braccia come a disegnare un cerchio. Achille ed Eva vi si gettarono dentro come attratti da un calore a cui non poterono fare a meno, e Giuda strinse i tre a sua volta.

Pietro ed Astaroth si avvicinarono l'un l'altro e si strinsero la mano con un sorriso. Pietro pensò di dover dire qualcosa, poi decise che ci sarebbe stato tempo per chiarire ogni cosa. L'angelo caduto decifrò le sue intenzioni e gli diede una pacca sulla spalla. Achille si rese conto di riuscire a leggere i loro pensieri, come se in qualche modo fosse legato a loro, come una grande famiglia straordinaria.

"Siete... grandi" disse Lux, rivolgendosi ai suoi bambini. Poi con la testa si voltò verso Astaroth. "Com'è possibile? Ricordo di essermi svegliata di tanto in tanto mentre ci trovavamo sulla galassia Inferno. Ho visto i loro volti, li ho riconosciuti. Non sentivo dolore, ero solo un po' stordita e avevo paura di ciò che gli potesse capitare. Avrei dovuto essere la Madre della nuova stirpe del Male, diceva quel mostro. Ti prego, Astaroth, dimmi che non è riuscito nel suo intento."

L'angelo caduto divenne cupo in viso. "Sono passati sette anni sulla galassia Inferno, dalla battaglia. Satana ha fatto in modo che tu dormissi mentre io addestravo i tuoi figli. Tuoi e di Giuda. Il Principe del Male non è riuscito nel suo intento. Nessuna stirpe malvagia, bensì due splendidi bambini. Aveva dei piani per loro, ma adesso dovrà cambiare il suo disegno. Per quanto riguarda Pietro, Giuda e gli altri... loro si sono risvegliati in questo tempo, sulla Terra. Per loro è come se fosse passato un solo giorno."

"Ma questo tempo..." si intromise Pietro, con un tono di voce deluso. "Non è il nostro. Non è quello per cui abbiamo lottato."

"Neanche il passato è come lo ricordate." Astaroth alzò lo sguardo al cielo. Le nuvole andavano diradandosi e palpitava un caloroso tramonto dai colori vivaci. "Nei libri di storia, oggi, in questo tempo, si narra di voi come una leggenda."

Pietro non parve essere impressionato da tale scoperta. "Ma non vi è la pace che speravamo di trovare. Ho visto macchine infuocate, gruppi di persone in fuga, sentito colpi di arma da fuoco e un uomo... si è dato fuoco con una tanica di benzina. E prima di farlo ha detto delle cose, cose che avrei preferito non sentire."

"Cioè?" lo incitò Giuda.

Pietro contrasse la mascella e i suoi lineamenti divennero severi. Si prese qualche istante prima di parlare, poi disse, controvoglia: "La galassia Inferno è la mia casa. Satana è la ragione della mia esistenza. I cavalieri dell'apocalisse sono alleati. Lux appartiene al Principe."

Giuda fu percosso da un brivido e tremò. Dunque sciolse l'abbraccio dalla sua amata e dai suoi figli e si alzò da terra. Gli occhi lucidi.

"Che ti succede, papà?" domandò Achille, strattonandogli la grossa mano destra.

Giuda era improvvisamente chiuso nei suoi pensieri. Ricordava quelle parole; in qualche modo si trovavano dentro di lui, in una zona remota della sua testa. Ebbe paura, ed Achille la sentì sua come un lampo che precede il tuono in un cielo di tempesta. La testa di Giuda andava riempiendosi di oscurità, c'erano nubi temporalesche ovunque, delle grida lontane. Da dietro di una di quelle nuvole grigiastre apparve un'orrida creatura pelosa con quattro facce deformi che roteavano su un'unica testa. Le pupille di ogni volto erano nere, dalle bocche colavano fili di bava, e gli arti terminavano con lunghi artigli affilati.

"Papà?" ripeté Achille, e si accorse di avere la pelle d'oca.

"Non ha niente" rispose Lux, sollevandosi da terra. Passò una mano tra i capelli lisci e fini di suo figlio, poi carezzò il viso di sua figlia. "Papà sta bene, deve solo riposare."

Achille sapeva che quello non fosse niente. Era un mostro demoniaco, forse il più mostruoso tra tutti. D'un tratto quella figura si dissolse dalla mente del padre e al suo posto apparve un uomo seduto sopra un cavallo bianco che indossava un'armatura d'acciaio rossa e un elmo. Con la mano destra stringeva una larga spada avvolta da fiamme color porpora dai contorni bluastri, mentre con l'altra impugnava un grosso scudo circolare. Scomparve anche lui e Giuda si ritrovò sospeso sulla galassia Inferno, ma benché Achille la conosceva bene, decise di trasferirsi sui pensieri della madre.

Lux provava tanta commiserazione per il proprio marito, anche se sapeva che era sbagliato. Non aveva intenzione di raccontare la verità ai suoi figli, ma neppure di tenerli dentro una campana di vetro. La realtà era un mostro cattivo che si nasconde sotto al letto e aspetta che tu chiuda gli occhi per afferrare i tuoi piedi nudi e mangiarti vivo. Il loro posto nel mondo era sotto un grosso macigno e i suoi bambini avrebbero dovuto abituarsi sin da subito al peso.

"Succederà qualcosa" meditò Astaroth. "Non è finita, ma era da immaginarselo. So solo che Satana ha disibernato i restanti sette angeli caduti. Stanno cercando il modo di uscire dalla galassia Inferno. Dopo il sacrificio del Messia per creare la galassia Purgatorio e buttarvi dentro Erode e Djoser, e la morte di Goethe, le leggi universali dell'equilibrio cosmico sono state corrotte. Il destino è ormai un pendolo incapace di oscillare con la stessa precisione di un tempo."

Pietro strinse i pugni ed emise un sottile grugnito. "Dobbiamo mettere in salvo i nostri cari, preservare il pianeta. Porre fine al male che si sta riversando sulle strade e anticipare le mosse di Satana. La volta precedente non eravamo pronti, adesso sì. Non possiamo permettere che l'universo subisca altri danni."

"E come?" pensò ad alta voce Giuda. Si passò una mano sui capelli biondi e fini come lino che scendevano fin sotto il collo. La sua cicatrice vecchia e profonda sembrò pulsare sopra la barba. I suoi occhi verdi avevano una luce smorta. "Nonostante la conoscenza che abbiamo acquisito dell'universo, non conosciamo la causa del nuovo male. Non può essere stato il Messia con la sua condotta, e nemmeno il fatto che Goethe sia morto e io sia tornato in vita per merito del cavallo che mi ha donato Astaroth. Ci sfugge qualcosa."

Achille fece un passo in avanti. "L'ultima volta qual è stata la causa?"

"Shhh!" fece Eva, con un dito davanti alle labbra. "Fai parlare i grandi."

Giuda, a dispetto dell'età acerba dei suoi figli, continuò a parlare, come se la domanda fosse uscita dalla bocca di un adulto. "La piramide di Saqqara. Il faraone Djoser si inchinò al cospetto di Satana e forgiò un'arma, più che una costruzione architettonica, di distruzione di massa."

"Goethe completò il disegno di Satana ai giorni nostri" concluse Pietro.

Giuda fece una smorfia di disprezzo. "Goethe..."

"I cavalieri dell'apocalisse sono il nostro ultimo pensiero" intervenne Astaroth. "Lux, Giuda, non oso immaginare come sia risvegliarsi all'improvviso e vedere i propri figli cresciuti, in un mondo la cui bellezza è ancora sfregiata. Posso solo dirvi che ogni cosa è stata fatta per essere tutti qui oggi e lottare ancora insieme per la nostra casa."

L'angelo caduto urlò dal dolore. Eva gli aveva appena dato un calcio.

"Perché conosco solo ora i miei genitori?" La voce della piccola fuoriuscì dalle sue labbra come una lamentela lacrimosa.

Lux ebbe un nodo alla gola e fissò la figlia. I suoi due gemelli avevano sette anni e non poteva farci nulla, sebbene le dispiacesse non aver potuto crescerli insieme al padre come una famiglia normale. Ma dopo tutto quello che aveva passato, si sentiva fortunata al solo fatto di poterli abbracciare. Ciononostante una rabbia controllata ardeva dentro il suo cuore. L'avrebbe scatenata a tempo debito; intanto, si sarebbe comportata come una leonessa con i suoi cuccioli.

Giuda prese in braccio Eva e le appoggiò la guancia sul petto. "Troveremo la causa di questo male. E faremo anche in modo di far sparire per sempre la galassia Inferno dalla faccia dell'universo."

Astaroth scrutò il cielo e gli parve stanco, e anche lui si sentì debole, poi si avvicinò alla bambina. "Bene, Eva. Adesso devi portarci dagli altri."

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