Epilogo - Nulla è per sempre (R)



Palermo - 21 Marzo 2018

Pietro.


Ho negli occhi e nelle orecchie il frastuono confuso di squilli di trombe che echeggiano su paesaggi colorati, il clangore e il luccichio degli zoccoli dei cavalli che cavalcano sentieri celesti, il tintinnare e lo scintillare dell'acciaio svettato in dure battaglie ancestrali. Labbra aggricciate, denti digrignati, grida, urla, maledizioni. Preghiere sataniche, esorcismi paurosi, suppliche, bisbigli e viaggi nel tempo. Adesso una lunga galleria stretta e buia, particelle del mio corpo sparpagliate in una sagoma composta, riflessi di luce in specchi appesi in pareti astratte, un bagliore accecante alla fine di tutto.

***

Una voce tessuta di grazia e candore mi raggiunse alle spalle, bucando il muro di angoscia che opprimeva la mia mente. Spalancai le palpebre per inseguire la tenerezza di quel suono familiare: le mie mani stringevano forte un bianco lenzuolo di cotone e un tenue bagliore di raggi solari attraversava la vetrata di una grande finestra. Come di ritorno da un brutto incubo, mille pensieri affollavano la mia testa, poi mi voltai, assaporando la gioia di rivedere la splendida fanciulla che mi stava osservando.

Il cuore accelerò i suoi battiti, il respiro parve fermarsi in gola, le labbra schiuse come per voler dire qualcosa frenata dal fiato mozzato e gli occhi traboccanti di gioia nel rivedere mia moglie nella nostra camera da letto, con un vassoio di legno in mano e un sorriso dolce agli angoli della bocca.

"Sveglia, dormiglione!" mi disse, poggiando la colazione sul suo comodino. "O farai tardi al lavoro."

Stropicciai gli occhi incredulo, strinsi forte le palpebre per un paio di secondi e, quando le schiusi, era tutto esattamente come prima.

Ero davvero tornato a casa?

I movimenti delicati di Marie fecero fluttuare i suoi capelli lisci e ramati lungo le spalle, risaltando i lineamenti armoniosi del suo volto.

"Stai bene, Pietro?" mi chiese con uno sguardo indagatore, mentre ritraeva le dita dal vassoio e drizzava la schiena. "Sembri... imbambolato."

Fu come rivederla dopo migliaia di anni, e per un istante mi sembrò di sentire le farfalle nello stomaco, intanto che nel suo corpo sinuoso si fondevano la sensuale autorevolezza di una principessa e la briosa vitalità di una guerriera.

"Mai stato meglio" risposi.

Le sue sopracciglia si inarcarono interrogative e in quell'attimo feci volare in alto le lenzuola, camminai carponi sul materasso e scivolai fuori dal letto. La baciai, più e più volte, sulle labbra, sulle guance, sul naso, tirandola a me, fino a quando, con un sorriso divertito, mi prese il viso tra le mani e delineò la forma della mia bocca con i pollici. Ricambiai la smorfia gioiosa e con le dita le accarezzai i capelli, le tempie, il collo, il seno.

Poi afferrai i suoi fianchi e la sollevai in alto, verso il soffitto, facendola piroettare in aria come una fata. Lei sembrò stupirsi di non provare alcuna paura e si abbandonò alla mia forza non appena i suoi piedi si scollarono dal suolo. Un giramento di testa mi costrinse a chiudere le danze troppo presto, e così la distesi sul letto e mi inginocchiai su di lei, guardandola negli occhi, ora luccicanti.

"Che ti succede questa mattina?" mi chiese, meravigliata. "Sembra che tu non mi veda da anni."

Le mie dita sfiorarono il suo collo e scesero sulla camicia da notte color panna.

"Ho fatto un brutto incubo stanotte e... ho creduto di perderti per sempre."

Un terribile senso di vuoto allo stomaco mi travolse quando le mie dita lambirono il suo ventre. Sgranai gli occhi balzando fuori dal letto.

"Non può essere, tu... dovresti essere incinta!"

Una fitta mi colpì dritta al cuore e feci un passo all'indietro.

"Dov'è Ettore?"

Marie mi guardò con aria inquieta, come se non sapesse di cosa stessi parlando, e allora mi precipitai fuori dalla stanza e presi a correre verso quella di mio figlio, ma una parete di cemento mi costrinse a frenare la corsa. Poggiai una mano sul muro, trascinai le dita da destra verso sinistra e dall'alto verso il basso, e un brivido di freddo mi paralizzò davanti a quella visione destabilizzante.

Dove mi trovavo? O meglio... quando mi trovavo?

La rete del letto cigolò quando Marie balzò sul pavimento e i suoi passi echeggiarono sordi fino alle mie spalle.

"Pietro, cosa ti succede? Chi è Ettore? Come fai a sapere che sono incinta? L'ho scoperto solo ieri sera."

Mi voltai con uno scatto e la testa divenne leggera come una piuma. Tutto sembrò girarmi intorno e dovetti aggrapparmi alle braccia di mia moglie per non cadere.

"Pietro, ti senti bene?"

Le sue parole erano state pesanti come macigni pronti a crollare sopra ogni mia certezza o convinzione, e a un tratto il presente mi appariva come una macchia d'inchiostro su un foglio bianco.

Cos'era successo prima del mio risveglio? Perché non ricordavo niente? Come si era evoluta la storia dopo la battaglia più grande di tutti i tempi? Che fine aveva fatto il futuro che conoscevo? In che anno mi trovavo?

Le incertezze che sentivo franarmi addosso erano tante, troppe, ma non potevo confidarmi con mia moglie, dirle la verità, non ora perlomeno.

Sai Marie, sono un apostolo e ho combattuto contro i cavalieri dell'apocalisse per la salvezza dell'umanità. No, non funziona.

Non mi rimaneva altro che procedere con la normale routine giornaliera e non dare nell'occhio. A tempo debito, le avrei raccontato tutte le mie avventure.

"Non so cosa mi sia preso Marie, scusami. L'incubo di stanotte deve avermi turbato parecchio."

Mia moglie smise di agitare una mano davanti ai miei occhi in quel momento.

"Non ti era mai successo, prima. Vuoi che prenda un appuntamento con il dottore Rotasta?"

Con un gesto lento e caloroso la strinsi a me per rassicurarla.

"Non ce ne sarà bisogno. Adesso che sei qui con me, mi sento molto meglio."

I suoi capelli ramati erano soffici come seta e incorniciavano l'ovale perfetto del suo viso, i suoi meravigliosi occhi color mandorla leggermente allungati. Ancora una volta pensai che fu come vederli per la prima volta.

"Potresti prenderti un giorno libero, oggi." Le sue mani fasciarono le mie.

"Potrei, ma non sarebbe molto professionale, dal momento che ho già fissato un appuntamento... E poi avevo in mente di fare una piccola sorpresa al futuro nascituro."

Marie sollevò gli angoli della bocca. Sapeva quanto la mia attività significasse per me.

"Ti preparo il caffè, allora. Ti aspetto giù."

Ricambiai il sorriso e feci un cenno con la testa in segno di approvazione, così sciolsi la presa che mi teneva incollato al suo corpo; Marie mi diede un'ultima carezza sulla guancia, poi scese la rampa di scale che portava al pianterreno. A quel punto tornai nella mia camera da letto, afferrai il mio cellulare da sopra il comodino e provai ad accenderlo. Morto.

Emisi un verso di stizza; allora lo riposi al suo posto e acciuffai il barattolo di yogurt bianco con dentro miele, cereali e un cucchiaino di alluminio, poggiato sul vassoio di legno, e mi avvicinai alla finestra, un'enorme vetrata che partiva dal soffitto e arrivava fino a terra. Mandai giù parte della colazione e lasciai spaziare lo sguardo sul panorama.

Il sole era sorto da poco, testimoni i colori tenui che risplendevano sul viale alberato che abbelliva la zona. Una lacrima mi scese sulla guancia e cadde per terra, intanto che la consapevolezza di potere rivivere la mia vita si faceva spazio nel cuore. Mandai giù l'ultimo boccone con aria felice, dopodiché mi preparai per affrontare la giornata. Doccia, barba e vestiti puliti: quanto amavo essere tornato in una società civilizzata... o quasi, civilizzata.

Quando fui pronto scesi al piano di sotto, fermandomi nella sala principale. L'ambiente era come lo ricordavo: due librerie stracolme di romanzi e dischi in vinile coprivano una parete, mentre le altre tre erano impreziosite da un grande televisore al plasma, due divani in pelle, e numerosi quadri paesaggistici.

Il profumo del caffè salì su per le narici, così mi avviai verso la cucina, dove una luce calda filtrava dall'unica finestra della stanza. Sopra il tavolo ovale di legno, vassoi e cestini straripanti di cibo si alternavano a brocche riempite con bevande coloratissime. Rimasi interdetto.

"Abbiamo ospiti?"

Marie fece una smorfia con la lingua di fuori e versò il caffè in una tazzina.

"Ho pensato che magari volessi mangiare più del solito, dopo la nottataccia che hai passato."

I suoi capelli, adesso, erano raccolti in un morbido chignon che le donava un aspetto elegante, mettendo in risalto il collo sottile e delicato.

"È un pensiero gentile da parte tua, ma farei tardi al lavoro..."

Mentre mi porgeva la tazzina rovente e fumante, il suo volto diventò serio, assorto. Marie si girò di spalle e poggiò le mani sopra il lavabo.

"Sei preoccupata per qualcosa?" le domandai, sorseggiando il caffè.

Marie sospirò massaggiandosi il collo, ma rimase in silenzio. Inclinò il viso di lato e mi guardò con la coda dell'occhio.

"Non credi sia stato ingenuo da parte nostra volere un figlio adesso?"

La tazzina rimase sospesa a mezz'aria tra le dita, mentre il caffè mi scorreva nella gola.

"Che intendi dire con adesso?"

Il sorso successivo sembrò più amaro.

"Insomma, Pietro. Che hai oggi? Intendo dire adesso che gli attacchi terroristici sono sempre più frequenti."

Come in una scena a effetto rallenty, la tazzina che tenevo tra le dita cadde per terra. I frammenti di ceramica si sparsero sul pavimento chiaro e il caffè si concentrò in una piccola pozzanghera.

"Che disastro!" esclamai, chinandomi sui talloni.

A un tratto la macchia scura prese le sembianze del volto di Giuda.

"Lascia! Ci penso io!" disse Marie, prendendo scopa e paletta dallo sgabuzzino.

Marie si mosse in fretta, quindi presi un panno umido e feci sparire Giuda dal mio pavimento, poi alcuni pensieri tornarono a tormentarmi.

Frequenti attacchi terroristici? A Palermo? Ma in che anno mi trovavo?

Mia moglie tornò dallo sgabuzzino in quell'istante, allora mi rialzai da terra e feci qualche passo indietro, grattandomi la nuca.

"Mi dispiace... Non so come sia potuto succedere."

Marie raccolse i pezzetti di ceramica e mi rivolse uno sguardo accigliato.

"Sicuro di voler andare al lavoro?"

Accennai un sorriso.

"Sicuro."

Con fare un po' impacciato la avvolsi tra le mie braccia. Lei ricambiò l'abbraccio e avvicinò le labbra al mio orecchio.

"Sii serio, Pietro. Dimmi che ti sta succedendo."

Un brivido mi fece venire la pelle d'oca.

"Ti prometto che al mio ritorno ti dirò tutto."

Delicatamente sciolse le dita dalla mia schiena e li posizionò sui miei fianchi, guardandomi negli occhi.

"Mi fido di te, cerca di tornare per pranzo."

Feci di sì con la testa, poi le accarezzai i capelli un'ultima volta e posai le mie labbra sulle sue. Quanto avrei voluto rimanere al suo fianco... Le diedi un bacio sulla fronte, poi mi diressi verso la porta d'ingresso, presi le chiavi della macchina, poggiai la mano sulla maniglia e volsi lo sguardo alle mie spalle.

"Sarà un bambino bellissimo!" esclamai.

Lo sguardo serio e preoccupato di Marie si rallegrò.

"È tipico dei papà credere che sia un maschietto. Ma tanto sarà una principessa."

Sospirai di gioia e tirai la porta verso di me.

"Ci vediamo dopo, principessa."

Presi a camminare lungo il viale alberato in cui solitamente parcheggiavo la macchina e non notai nulla di insolito. Alcune persone correvano di fretta con la loro ventiquattrore verso la propria automobile, altre passeggiavano con i loro cani e il cellulare alla mano, altre ancora accompagnavano i loro bimbi a scuola. A un certo punto trovai la mia Volkswagen Polo color grigio chiaro.

Contento di rivederla dopo tanto tempo, mi ci fiondai dentro e accesi il motore, imitando il suo rombo con versi poco maturi. Ancora qualche secondo e condussi il mio tesoro fuori dal parcheggio, dirigendomi verso lo studio di registrazione. Lì avrei potuto utilizzare il mio computer per eliminare ogni dubbio, o quasi. Lungo il tragitto alzai il volume della radio: una signorina annunciava, con voce stridula e agitata, le ultime notizie in tempo reale.

"Edizione straordinaria: continuano gli attacchi terroristici in Sicilia, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia. Stamani, alcune città della penisola italiana si sono svegliate nel terrore. Pochi giorni fa, a Palermo, un uomo alla guida di un camion si era scagliato, a ottanta chilometri l'ora, sulla folla che assisteva ai fuochi d'artificio sul lungomare del Foro italico. Oggi, l'assalto ad alcune chiese delle tre regioni italiane, pocanzi citate, rappresenta una svolta epocale e agghiacciante dei terroristi. Il destino della nostra Terra non prospetta nulla di buono; non possiamo fare altro che consigliarvi di pregare e sperare che le forze dell'ordine riescano a sventare ogni attacco futuro."

Il colore del semaforo divenne rosso. Alcuni ragazzi, con vestiti larghi e cappelli da baseball, attraversarono la strada inseguendo le slavate strisce pedonali disegnate sull'asfalto. Scalpitanti rombi di motori, di una lunga fila di macchine, aspettarono che quel sopraelevato colore tornasse a brillare di verde.

Nel frattempo, dall'altra parte dell'incrocio, un autobus procedeva lento e affaticato. Era un mezzo vecchio, rumoroso, e a ogni dosso faceva sobbalzare i passeggeri rassegnati. La spazzola tergicristalli sciabordava da una parte all'altra del grande vetro anteriore, cercando di spostare fiocchi di polvere larghi come granelli di sabbia. La sagoma del conducente ondeggiava rassicurante, e due sbuffi di capelli castani scendevano dal suo berretto di ordinanza.

Un signore poggiò la testa sul finestrino e una lunga chioma bionda e fina come lino copriva quasi del tutto il suo viso. Per un attimo parve crogiolarsi in un tiepido torpore fatto di ricordi, sogni e voli fantastici; un attimo dopo mi sembrò il tipico dormiveglia di una persona di provincia. A un tratto l'autobus procedette per la sua strada e scomparve dalla mia visuale.

All'improvviso un maestoso cavallo verdastro apparve al centro dell'incrocio, e la città si spense. Gli edifici, le persone, le macchine, gli animali. Tutto era buio, tranne me e lui. I suoi occhi mi fissavano come se volessero comunicarmi un messaggio, poi le pupille si accesero di una luce bianca e di una oscura.

Il rumore assordante dei clacson alle mie spalle si levò al cielo, e la città tornò a splendere. Guardai lo specchietto retrovisore e notai che la persona alla guida dietro di me mi faceva segno di procedere. Il semaforo era verde, ingranai la marcia e mi accorsi che il cavallo era scomparso.

Cosa voleva dirmi quella creatura?

Un altro colpo di clacson mi obbligò a ripartire di fretta e abbandonare la scena senza pensarci troppo.

"Ai nostri ascoltatori dedichiamo un buon proseguimento di giornata con la nostra perla del giorno" enunciò lo speaker radiofonico. "Il verde speranza, di ogni nuovo inizio, è un'alba dai colori pastello che accende gli occhi per illuminare il cuore."

In quella circostanza un brivido di calore mi pervase le guance e sorrisi. Non mi era ancora chiaro né come né dove né quando, ma mio fratello era ancora vivo da qualche parte dell'universo. A distanza di mezz'ora giunsi a destinazione e parcheggiai la macchina; lo studio di registrazione si trovava in una zona della città abbastanza caotica.

Mi incamminai verso l'ingresso, impaziente di dare un senso al mio nuovo presente e, non appena lo varcai, mi ritrovai immerso in un'atmosfera silenziosa e raccolta. Accesi le luci. I soffitti alti sovrastavano una struttura contemplativa simile a quella di un cinema, tende rosse e pesanti coprivano le ampie vetrate che si affacciavano sull'esterno. Strumenti, mixer, e voglia di respirare il mio vecchio habitat si trovavano alla fine di questo grande luogo.

Procedetti a passo sostenuto verso il mio ufficio, e il rumore secco e ritmico dei miei passi mi ricordò il rintocco di un metronomo. Prima di accendere il computer e il router, scostai le tende e volsi lo sguardo fuori dalle vetrate. Un piccione era fermo sul davanzale di un'abitazione e guardava i passanti gironzolare; con aria fiera allargò le ali e spiccò il volo, atterrando sopra la testa del signore più antipatico della zona, un pensionato, che prese ad agitarsi come un matto.

"Ben ti sta!" sogghignai.

Entrai nel mio ufficio e accesi prima il router e poi il computer, ma non ebbi nemmeno il tempo di sedermi davanti alla mia scrivania, che un forte trambusto fece tremare le pareti dello studio. Le vetrate scoppiarono in mille schegge lucenti, il pavimento ne fu ricoperto, e una scia di fumo serpeggiò nello studio. Lentamente mi avvicinai a quel disastro e la sensazione di rivivere nel passato mi sembrò incredibilmente reale.

"Mio Dio, no!"

Fuori la città sembrava un mostro crudele avvolto da una gelida oscurità. Macchine infuocate, gruppi di persone in fuga, colpi di arma da fuoco e fasci di luce accecanti. Un uomo a torso nudo, che impugnava una tanica trasparente colma fino all'orlo di un liquido chiaro, sbucò tra le fiamme; dalla parte opposta quattro poliziotti gli puntavano contro le loro armi di ordinanza.

Uno di loro esclamò: "Poggia lentamente quella tanica di benzina e sdraiati faccia a terra!".

L'uomo abbassò lo sguardo e il suo petto si gonfiò a ogni respiro. Con la mano destra strinse la presa sul manico di quel grande contenitore, mentre le gocce di sudore gli rigavano una muscolatura definita e olivastra. Le forze dell'ordine gli ripeterono più volte di poggiare la tanica sull'asfalto e di sdraiarsi per terra, ma l'uomo non fece altro che sollevare lo sguardo e mostrare un ghigno sinistro. Poi fu l'inferno.

***

Un bambino e una bambina correvano a perdifiato tra i vicoli della città. Il mio cuore martellava a un ritmo selvaggio, le gambe cominciavano a farsi pesanti e il respiro era sempre più corto. La pioggia si era infittita, mi rigava il volto e si insinuava fredda tra le aperture della giacca. I due fanciulli si guardarono intorno senza fermare il passo, come se a un tratto avessero smarrito la strada, alla ricerca di una nuova via di fuga... o di un percorso magico. Di sicuro, avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di arrivare a destinazione e fare cessare i tamburi che rimbombavano nella loro testa.

"Sicuri di non esservi persi?" gli gridò Giuda con il fiatone, al mio fianco.

La bambina si voltò un istante per alzargli il dito medio, poi riprese a correre più veloce di prima, imboccando, insieme al fratello, innumerevoli bivi stretti e pericolanti. I due scavalcarono una serie di recinzioni e muretti, come per far perdere le loro tracce, finché non ci trovammo davanti a un vicolo cieco.

Tutt'intorno i palazzi svettavano alti nel cielo, perdendosi in una cortina di foschia grigia, mentre lo sbocco in fondo alla strada era ostruito da un muro alto più di dieci metri. Lì il vecchio prete pazzo, con indosso un'armatura nera, teneva in braccio una donna, sotto la pioggia fina e incessante.

Giuda scoppiò in lacrime. "Lux, sei davvero tu?"




*Spazio autore*

So che per molti di voi questo potrebbe non essere un vero e proprio epilogo, ma lo è stato per me ieri, mentre finivo di scriverlo, e lo è ancora oggi, che mi accingo a condividerlo pubblicamente con un po' di paura. È la fine di una saga che risolve numerosi dubbi e ne crea altrettanti. E siccome ne sono consapevole, voglio chiarire alcune cose per non essere perseguitato :D

Ricordate il dono che Astaroth concede a Giuda? Il cavallo dell'apocalisse verdastro che, così come tutti gli altri, ha le capacità di riportare in vita il proprio padrone? Bene. Quando Giuda arriva sulla Terra per lo scontro finale lo nasconde lontano dal campo di battaglia. Successivamente, prima della creazione del mostro umanoide, Astaroth dice a Giuda che il cavallo, nel bene o nel male, seguirà le sue gesta.

Per quanto riguarda lo spazio/tempo vorrei spendere due parole. Sembrerebbe che dopo la battaglia contro i cavalieri dell'apocalisse la Terra abbia vissuto anni "sereni". Tuttavia dopo il risveglio di Pietro sembrerebbe che la storia stia per ripetersi ancora una volta. Nonostante sua moglie ricordi ciò che ha detto la sera prima, e quindi ricordi il passato, Pietro non ricorda nulla di ciò che è accaduto dopo la battaglia.

Scusate la rappresentazione della mia idea spazio temporale poco professionale ahahah
Con essa vorrei far capire che, attualmente, l'unica cosa che è cambiata è il passato e quindi il susseguirsi degli eventi storici. Pietro si risveglia nel presente e intuisce che il futuro potrebbe essere lo stesso di quello già vissuto, nonostante il passato sia cambiato. Tuttavia lui ricorda il Passato  ma non il Nuovo passato (cioè quello che determinerà il presente), ritrovandosi privo di ricordi in un tempo che lui pensa di aver già vissuto e che spera non si svolga allo stesso modo, e quindi sfoci nello stesso futuro di un tempo. (???)

Entro questo fine settimana caricherò uno spazio per i ringraziamenti e per il futuro di questa saga.

P.s. Il video allegato è una mia composizione :)

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