Capitolo 86 - Il sacrificio: la storia si ripete! (R)
Antico Egitto - Giorno Tre
Pietro.
Sarebbe mai finita?
Lo stomaco si contorse su se stesso, gli occhi bruciarono, e un grosso nodo alla gola mi fece mancare il respiro. La strana sensazione di piacere che poc'anzi mi aveva pervaso l'anima, seppure contrastata da un sottile filo di ansia, ora sembrava allontanarsi dal mio corpo, come se fino a un attimo prima avessi visto la luce davanti a me ed ero pronto a passare oltre, e invece adesso qualcuno si divertisse a cancellarla con una gomma nera, fatta di una materia maligna.
A un tratto fu come vedere il futuro dell'umanità contenuto in una sfera di vetro; dall'alto, petali di luci e ombre tramontavano al suolo, dove quindici persone si battevano per la conquista della magia custodita al suo interno. Cosa e dove ci avrebbe portato la battaglia più grande di tutti i tempi non era dato saperlo, a quanto pare non ancora, poiché la luce si rimpiccioliva man mano che la gomma sfregava con insolenza quello squarcio di speranza.
Sarebbe mai finita?
"Astaroth, mi senti?" ripeté Giuda, aumentando il tono della voce.
L'intensità di quelle parole sembrava dettata dalla paura.
Paura? Giuda?
La voce della mia coscienza mi echeggiava nella testa.
Perché no? E allora Djoser? Quel tipo freddo e duro come il marmo, con l'elmo nascosto dietro le mani per l'umiliazione? E Goethe? Ritto in piedi come un tronco, come se desiderasse finire in fretta nel buco nero prima che Satana venisse a conoscenza della loro disfatta? E infine Erode? Che singhiozzava in ginocchio con il volto chino sul petto e le braccia abbandonate ai fianchi?
"Ti sento, Giuda. Cosa succede?"
La voce di Astaroth mi arrivò dritta alle orecchie come se all'improvviso mi trovassi nella testa di Giuda; rivolsi lo sguardo ai miei fratelli e mi sembrò di essere l'unico a sentirla. Andrea ordinò alla fenice, sospesa in volo, di liquefare le quattro statue di ghiaccio, e così l'uccello sacro lanciò la prima palla di fuoco, che roteava nella sua bocca da una dozzina di secondi, sopra il basilisco di Goethe.
"Abbiamo fallito, Astaroth" disse Giuda. "Le creature sacre hanno ridotto i basilischi a quattro statue di ghiaccio, e la nostra energia vitale è al di sotto della metà."
"Tutto questo è oltraggioso!" La voce di Astaroth rimbombò nella mia testa e per un attimo mi parve familiare. Come se l'avessi già sentita.
Il dottore, che aveva smesso di trasferire l'energia al suo serpente gigante, si alzò in cielo, sguainò la spada dall'armatura e distrusse la sfera incandescente con un taglio netto prima che questa potesse sciogliere o mandare in frantumi il basilisco. Poi, mosso da un impeto furioso, con le ultime forze che gli rimanevano in corpo, si mise a scagliare fendenti contro la fenice.
Giuda chinò il mento sul petto, le palpebre strizzate e i denti stretti, e fu scosso da un brivido.
Erode e Djoser si levarono al cielo non senza fatica in quel momento; il primo estrasse la balestra dalla sua armatura, la armò da una distanza di oltre dieci metri dal drago e gli scoccò sul collo una freccia di luce oscura. Djoser, dal suo canto, agitò all'infinito un braccio con una rapidità pazzesca, assestando colpi di frusta sulla faccia del leviatano.
"Lo so!" disse Giuda. "È oltraggioso, ma ti prego, Astaroth, non dirlo al Principe, ho bisogno del tuo aiuto. Deve esserci ancora un modo."
"Forse! O forse non servirà a niente. Sei fortunato che non mi trovo all'interno della cattedrale, anche se Lui potrebbe averci già sentito ugualmente."
La voce di Astaroth era arrochita come quella di un anziano e sempre più familiare. Cercai di spremere le meningi e rievocare alla mente il ricordo nascosto dietro quel timbro vocale, e quando finalmente apparve sfocato all'orizzonte buio della mia memoria, e parve avvicinarsi sempre più nitido, Giacomo mi scosse dalle spalle e il ricordo svanì. Mio fratello aveva sul viso un'espressione spaventata.
"Pietro! Pietro! Finalmente sei tornato!"
Credetti di essere sprofondato nell'oblio di me stesso per un lungo lasso di tempo.
"Aspetta!" lo rimproverai. "Qualsiasi cosa tu abbia da dirmi, non è il momento."
"L'aquila..." provò a dire Giacomo, ma lo fulminai con lo sguardo e si zittì.
"Vale la pena provare" continuò Giuda. "Di che si tratta?"
"Le vostre creature condividono lo stesso patrimonio genetico, e sono dunque in grado di fondersi in un unico essere dalle sembianze umanoidi."
"Grazie, Astaroth! Faremo così, allora."
"Un'ultima cosa, Giuda. Il regalo che ti ho donato..."
"Sì, ho capito di che parli."
"Adesso è tuo. Nel bene o nel male lui seguirà le tue gesta."
Il contatto telepatico tra Astaroth e Giuda si interruppe in quell'istante. Davanti a me, l'aquila reale giaceva per terra.
"Cosa le è successo?" urlai, voltandomi verso Giacomo.
"Sei stato tu!" mi gridò in faccia. "Hai interrotto il trasferimento di energia. Volevo dirti questo, prima."
Abbassai lo sguardo: le mie mani, chiuse a pugno, erano distese lungo i fianchi. Giacomo aveva ragione; inconsciamente avevo interrotto il flusso di energia e adesso la nostra creatura sembrava dormire in un sonno profondo.
"Dobbiamo farla rinsavire!" dissi in fretta. "I servi di Satana stanno per dare origine a un mostro che ci annienterà, se non li fermiamo subito."
Tutti i miei fratelli si voltarono verso di me con uno scatto del collo e mi fissarono con aria turbata.
"Cosa hai detto?" mi chiese Andrea.
La sua fronte era aggrottata.
"Fonderanno i loro mostri!" urlai. "Sarà la fine, se non li fermiamo."
Il cuore mi pulsò più forte nel petto. Goethe, Erode e Djoser erano schierati in fila, le mani sulle ginocchia. Le loro armature, fracassate in più porzioni, si gonfiavano a ogni respiro, e la pelle, ora visibile in alcune parti del corpo, appariva tumefatta e insanguinata. Di fronte a loro, le tre creature sacre li fissavano con aria severa e minacciosa, sospese in aria, aspettando un ordine dai Dominatori di fuoco, acqua e terra che, con le mani rivolte sulle spalle dei loro animali, mi fissavano con gli occhi fuori dalle orbite.
Tesi le braccia davanti al busto, i palmi aperti in direzione dell'aquila reale. Giacomo ripeté lo stesso movimento e il trasferimento di energia riprese a scorrere tra noi e l'armatura dorata della regina dell'empireo, che in un baleno si risvegliò con un grido acuto.
"Avete sentito Astaroth?" Le urla di Giuda risuonarono violente su Saqqara.
Al suo fianco, i tre cavalieri dell'apocalisse annuirono e drizzarono la schiena.
"Dovremo trasferirgli tutta la nostra energia vitale" ansimò Goethe. "Potremo stramazzare al suolo con un soffio di vita ancora prima di generarlo, ma non ci rimane altra scelta. Lo dobbiamo fare."
I servi di Satana distesero le braccia in avanti e le loro mani luccicarono di malvagità. Ordinai all'aquila reale di frantumare i basilischi ridotti a statue di ghiaccio, e un attimo dopo la fenice, il leviatano e il drago ricevettero lo stesso ordine da Andrea, Matteo e Filippo. Quando le quattro creature sacre si proiettarono sopra quei giganti serpenti luccicanti, questi si sciolsero all'improvviso in una soluzione liquida, che gorgogliò fino a lasciare un alone scuro sul terreno. Le nostre creature rimasero interdette, esattamente come coloro che li avevano evocate.
"Troppo tardi!" sogghignò Giuda.
Una forte folata di vento tirò sulla necropoli e il suo fischio mi fece venire la pelle d'oca. L'aria divenne cupa e irrespirabile, poi plumbea ed elettrica come in una torbida giornata di tempesta. Dal cielo notturno sembravano fuoriuscire delle ombre simili a fantasmi che si libravano nello spazio etereo sibilando parole di una qualche lingua demoniaca.
"Oh no!" sussurrò Giacomo. "Sta per succedere."
I servi di Satana crollarono al suolo con un tonfo e un gemito di dolore tagliente, come fossero stati travolti da un treno in corsa. La loro energia vitale si ridusse fino a lambire la soglia minima per la sopravvivenza, ma ci erano riusciti. Avevano generato il loro mostro umanoide avvolto da un'aura nera con sfumature platino, cobalto, porpora e bronzo. Un'enorme e orrida creatura pelosa, apparsa dall'alone scuro rimasto sul terreno, dotata di quattro facce deformi che roteavano incastrate su un'unica testa.
Le pupille di ogni volto erano nere come le tenebre e ipnotiche come un vortice dalla profondità infinita. Lungo la schiena un paio di ali di falco si estendevano per oltre un metro, mentre gli arti superiori e inferiori terminavano con lunghi artigli affilati. La testa smise di roteare sul collo in quell'istante, intanto che le nostre creature, immobili davanti a quella improvvisa apparizione, la scrutavano dall'alto con spietatezza.
"Pietro!" La voce di Filippo sembrò giungere da un luogo lontano. "Possiamo farcela."
"È..." cercò di dire Andrea. "È orribile!"
Il suo sguardo, distorto dal disgusto, era rivolto al mostro umanoide.
"E rivoltante!" esclamò Matteo.
Un vento stranamente gelido travolse Saqqara.
"Pietro!" Il mio nome venne pronunciato di nuovo, ma questa volta la voce era quella di Giuda. "Uccidi l'aquila di Pietro!"
I cavalieri giacevano al suolo, rannicchiati in posizione fetale, e non avevano neppure più bisogno di trasferire energia alla loro nuova creazione, come se questa vivesse di vita propria. I volti dei miei fratelli erano sconvolti, paralizzati, ma non potevamo perdere il vantaggio ottenuto dopo tanti sacrifici. Quindi intimai all'aquila reale di uccidere il mostro satanico prima ancora che questo adempisse al suo ordine.
"Possiamo farcela!" urlai.
"Forzaaa!" mi seguì Giacomo.
Con eleganza la regina dell'empireo si levò alta nel cielo sbattendo le sue ali e si lanciò contro il nemico, e in quella circostanza Andrea, Matteo e Filippo ripresero il controllo di se stessi e ordinarono alla fenice, al leviatano e al drago di unirsi all'attacco. L'aquila reale scese in picchiata con il becco uncinato sbarrato, fomentando una bufera di vento sull'avversario, per poi protendere in avanti le zampe e cercare di acchiappare quell'orrida creatura pelosa.
"Nooo!" gridò Giacomo.
L'essere umanoide attese immobile fino all'ultimo istante, poi fece un balzo verso l'alto e trafisse il cuore dell'aquila reale, affondando gli artigli superiori, che parevano lame affiliate, nella carne. Quando li ritrasse fuori dal petto con un movimento freddo e fulmineo, la regina dell'empireo stramazzò al suolo macchiata del suo sangue, con gli occhi a un tratto vitrei. Il suo ultimo respiro era durato meno di un secondo.
"Mio Dio!" dissi con un filo di voce, cadendo all'indietro insieme a Giacomo.
La fenice, il leviatano e il drago accerchiarono il mostro satanico in quel momento e, con un'espressione inorridita sul volto, non poterono fare altro che assistere a quella scena straziante in silenzio. Poi assalirono quell'essere disgustoso.
"Tic-tac, tic-tac!" sogghignò Giuda. "Il conto alla rovescia è appena iniziato."
Un dolore lancinante mi colpì dritto al petto e vi portai la mano sopra, e vidi fare lo stesso a Giacomo. Ci guardammo con aria atterrita, a un tratto consapevoli di un fatto sconcertante. Se a quell'essere disgustoso era bastato così poco per togliere la vita a una delle nostre creature, ormai era solo questione di tempo. I servi di Satana avrebbero vinto la battaglia. Lo sguardo di Giacomo adesso era distrutto, i suoi occhi pieni di lacrime, mentre le urla di esultanza di Erode, che poc'anzi singhiozzava per la disperazione, rimbombavano su Saqqara.
"Pietro" sussurrò mio fratello. "Credi che ci sia ancora una speranza per noi, per l'umanità?"
"Io... non lo so. Vorrei dirti di sì, ma non posso."
Eppure, ora che l'aquila reale giaceva a terra priva di vita, la mia energia vitale pulsava di nuovo nelle vene, seppure al di sotto di un quarto della metà, e insieme a Giacomo avrei potuto generare il buco nero e imprigionare i quattro cavalieri dell'apocalisse, distesi al suolo e ridotti in fin di vita, nella galassia Purgatorio. Impossibile! Non potevamo riuscirci da soli, avevamo bisogno dell'aiuto dei nostri fratelli, impegnati a trasferire la loro energia alle loro creature sacre. Il Messia era stato chiaro durante l'addestramento; senza il suo contributo, la nostra sfera di energia sarebbe rimasta una semplice sfera di energia, e mai si sarebbe potuta trasformare in un buco nero.
"Apostoli, dite addio alle vostre anime" bisbigliò telepaticamente Giuda. "Perché presto saranno di Satana."
A un tratto la pelosa creatura umanoide si dissolse nel cielo come un soffio d'aria e riapparve davanti alla fenice con un ghigno malefico su uno dei quattro volti. L'uccello sacro non si lasciò sorprendere e gli sfregiò la faccia con l'ala dorata, e dalla ferita proruppe una lingua di fuoco che avvampò la testa deforme di quell'orrenda creatura. Senza perdere un istante la fenice lo avvolse in una stretta feroce, si illuminò come una stella, mutandosi in una sfera incandescente, ed esplose.
"Sì!" gridò Giovanni, agitando un pugno davanti al volto.
Il boato fu terribile e si propagò in mille echi sempre meno sonori, mentre le fiamme zampillavano nel cielo e un nuvolone nero offuscava la morte di entrambe le creature. Ma l'essere rivoltante era ancora lì, dietro l'ammasso di fumo che andava sbiadendosi, il corpo ricoperto di sangue e di piume, e si guardava intorno sorridendo diabolicamente, come se volesse riprovare quello che per lui era stato soltanto un gioco.
Andrea, Simone e Giovanni caddero all'indietro per terra, rotolandosi per il dolore. Il sacrificio della fenice non era servito a niente e l'energia vitale dei miei fratelli era ridotta a uno straccio. Giuda non perse l'occasione per sbottare in una grassa risata derisoria, seguito da Goethe ed Erode. Djoser invece era tornato a essere il cavaliere freddo di sempre.
"È la fine!" si lamentò Andrea. Il respiro mozzato. "È la fine." Si voltò verso di me e i suoi occhi lacrimarono. "Pietro..."
All'improvviso il mostro umanoide saltò sulle spalle del drago, gli conficcò gli artigli inferiori nella bassa schiena, facendolo ruggire dal dolore, e fece per infilzargli quelli superiori nel collo, quando il leviatano lanciò in avanti la sua enorme coda a forma di proboscide e divorò la creatura pelosa in un solo boccone, riversando al cielo un sibilo altisonante.
"Forza!" urlò Matteo. "Trituralo fino all'ultimo pezzettino!"
Lo stomaco del leviatano prese a contorcersi su se stesso, il serpente gigante gemette, poi ad allargarsi da destra verso sinistra, gonfiando come un pallone e risucchiandosi in dentro come l'acqua di una vasca da bagno senza più il tappo, e a un tratto dal ventre schizzarono fuori gli artigli del mostro, che si fece spazio dilatando la pelle squarciata e balzò fuori, ricoperto di una sostanza melmosa e bluastra.
"Mio Dio!" fui solo capace di dire.
Il leviatano crollò al suolo con un tonfo sordo e cominciò a tremare, agonizzante, e Matteo, Tommaso e Giacomo volarono all'indietro, strisciando per terra, gemendo e singhiozzando per la disperazione.
"Non può essere!" mormorò Matteo. "Non voglio morire." Si voltò verso Bartolomeo, che nel frattempo stava trasferendo la sua energia vitale al drago, e i loro occhi lucidi si incrociarono per un tempo che parve infinito, e sembravano dire: "Addio, amore mio".
Il mostro sfrecciò nel cielo con le sue ali di falco e il drago, indebolito per la ferita riportata alla bassa schiena, non ebbe la forza di muoversi, quindi chiuse le palpebre e attese che la morte arrivasse come un lampo nel cielo notturno. L'essere peloso si fermò a un passo da lui, lo fissò con uno sguardo vacuo e gli affondò gli artigli superiori nel collo, ma senza estrarli dalla carne.
Il drago spalancò gli occhi d'un tratto rossastri, cosparsi di macchioline di sangue, lo sguardo sofferente, ora annichilito.
Il mostro ritrasse gli artigli e glieli piantò sul collo più e più volte, fino a quando la testa gli schizzò via dal resto del corpo e rotolò sul terreno sabbioso. Poi si fermò, il corpo del drago cadde di lato con un tonfo terrificante, e ci fissò con la bava alla bocca. Filippo, Taddeo, e Bartolomeo precipitarono al suolo sfiniti, ansimando, e la loro energia vitale svanì quasi del tutto.
"Giovanni" sussurrò Filippo, con gli occhi rivolti al cielo.
"Che c'è?" domandò Giovanni, con un filo di stizza nella voce.
"Volevo solo dirti che ti ho voluto bene anche quando non eravamo fratelli."
Giovanni rimase in silenzio, gli occhi lucidi su Filippo, intanto che Bartolomeo utilizzava le sue ultime forze per trascinarsi a terra e stringere la mano di Matteo, e poi abbandonarsi al destino. Quando il mostro si avvicinò lentamente verso di noi e Giuda, a fatica, si alzò in piedi, capimmo che era arrivato il momento di salutare la Terra.
***
Nel cielo notturno, accanto alla luna piena, alle spalle di Giuda, apparve un bagliore di luce bianca.
"Giacomo!" sussurrai. "La vedi anche tu quella luce accanto alla luna?"
Giacomo indirizzò lo sguardo verso la regina della notte e sgranò gli occhi.
"Ma quello è..."
Voltai il collo di scatto, i nostri occhi si incrociarono, impressionati, gioiosi, carichi di speranza. Il bagliore discese dal cielo e diventò sempre più grande, fino a suscitare lo stupore tra le labbra di ogni apostolo. A un tratto i cavalieri si accorsero che la nostra paura si era mutata in meraviglia, si girarono e sollevarono lo sguardo, ma era troppo tardi anche solo per fiatare, poiché la luce era già giunta sopra il corpo di Giuda, e sembrava che lo stesse osservando immobile. Giuda trasalì.
"Scappa via!" urlò Goethe, a una dozzina di metri da lui, con tutta l'aria che aveva nel petto. "Via, Giuda. Vai via! È..."
Ma prima che potesse terminare la frase, lo Spirito del Messia, candido come la neve, si congiunse al corpo di Giuda, polverizzando la sua armatura e illuminando il suo fisico possente, ora nudo, di un bagliore celeste. Giuda si accasciò a terra, cominciò a dimenarsi colpendosi forte le tempie con pugni violenti e incessanti.
Per un istante protese in avanti un braccio, le dita adunche, e mi guardò con occhi colmi di astio, poi il collo si contorse a più riprese insieme a braccia e gambe. All'improvviso sembrò balbettare qualcosa e una sostanza nera e viscosa fuoriuscì dalle sue labbra e colò sul terreno. Giuda si strappò una ciocca di capelli, sbatté i pugni contro la sabbia e riversò al cielo un grido terrificante, demoniaco, che parve una invocazione a Satana.
Lasciò cadere la ciocca di capelli per terra e prese a mordersi il braccio come se non mangiasse da giorni, ma dovette accantonare subito l'idea perché una cascata di vomito nero venne fuori dalla sua bocca, e con gli occhi fuori dalle orbite tossì più volte, si passò il dorso della mano sulle labbra e, con un'espressione alienata, cominciò a dire:
"O potente Satana, mio Signore, da cui ogni cosa viene resa libera, mi getto completamente nelle tue braccia e mi metto senza riserva sotto la tua potente protezione. Confortami e liberami da tutti gli ostacoli e le insidie di coloro che vogliono farmi del male, sia visibili che invisibili. Che giustizia e vendetta possano visitare coloro che cercano la mia distruzione. Rendili impotenti e devastati. Dirigi la mia malvagità affinché ritorni su di loro dieci volte tanto e distrugga coloro che disdegnano il mio essere. Riempi la mia anima di potere infernale, rafforzami, affinché io possa perseverare nel mio servizio e agire come rappresentante delle tue opere e della tua volontà. Chiedo questo nel tuo nome, onnipotente e ineffabile Satana, il Signore che vivrà e regnerà per sempre nel mio cuore. Ave Satana!".
Al termine di quella preghiera, Giuda si alzò in piedi con una forza innaturale, poggiò le mani sulla testa, i capelli biondi tra le dita, e cominciò a scuoterla con furia, come se volesse fare uscire quelle voci che gli suggerivano di invocare e pregare il principe del Male. A un tratto prese a girare su se stesso barcollando, poi fermò i piedi e continuò a ondeggiare con il busto; tremò violentemente come se fosse stato attraversato da una scarica elettrica e cadde di nuovo al suolo con la bava alla bocca.
L'energia vitale di Giuda parve esaurirsi fino all'ultima particella, e solo allora mi accorsi che l'enorme e orrida creatura pelosa era ritta in piedi davanti a noi, immobile, le braccia lungo i fianchi e il mento abbandonato sul petto. Le palpebre erano chiuse come un giocattolo a cui avevano levato le batterie.
"Dobbiamo andarcene di qui! Dobbiamo scappare prima che sia troppo tardi." La voce impaurita di Goethe si propagò in fretta su Saqqara.
"E come pensi di fare?" gli urlò in faccia Erode. "Vuoi tornare nella galassia Inferno a piedi? Non abbiamo più energia, non possiamo plasmare nessun portale dimensionale, non possiamo volare e nemmeno combattere."
"Siamo stati sconfitti" disse Djoser con un filo di voce, e prese a camminare verso la piramide di Saqqara, senza dire più una parola, con passo lento, come fosse una marcia intima, il suo ultimo desiderio. Salutare la sua casa, la necropoli, il luogo dove tutto era iniziato e dove tutto, presto, sarebbe finito.
"Ciao, figli miei!" La voce del Messia piombò su Saqqara solenne, tuonando dal cielo.
Mi levai in piedi spingendo le mani sul terreno e osservai il firmamento, insieme ai miei fratelli.
"Maestro!" dissi, con la voce che tremava per l'emozione. "Perché non sei qui, insieme a noi?"
"Credo che questo non sarà più possibile."
"Cosa stai dicendo? Abbiamo ancora bisogno di te. Tu non puoi..."
"Sì, Pietro."
"Il tuo Spirito, tu... Avevi disegnato la nostra avventura sin dall'inizio."
"Avevo bisogno che diventaste voi, i Maestri."
"Sei stato tu a vincere questa battaglia! Hai violato le leggi in cambio della tua vita. Perché? Perché lo hai fatto?"
"Ho mandato il mio Spirito su Giuda per liberarlo dal Male e perché tornaste a essere i dodici apostoli di Dio, e ho generato la galassia Purgatorio per far sì che i cavalieri dell'apocalisse avessero un posto in cui rimanere imprigionati per l'eternità. Presto mi ricongiungerò al Padre Onnipotente e lascerò l'universo nelle vostre mani. Vi ho insegnato a essere Maestri della vita e ora siete pronti. Sono sicuro che farete un ottimo lavoro..."
Una lacrima di malinconia affiorò all'angolo del mio occhio destro. Sentivo lo stomaco perforato, come se un'enorme voragine mi stesse risucchiando gli organi.
"Maestro..." singhiozzai. "È stata davvero una grande avventura."
Le mie gambe vacillarono e caddi per terra in ginocchio. Altre lacrime velarono le pupille e poi scesero copiose sulle guance, che si stringevano in una smorfia di tristezza.
"Ha fatto tutto questo per noi" dissi con la voce strozzata dal pianto. "Si è sacrificato per noi. Ci ha regalato un universo migliore, di cui ora ne siamo gli eredi."
A un tratto Giuda si sollevò da terra ondeggiando, una tunica color platino avvolgeva il suo corpo, e si massaggiò la testa, in un evidente stato confusionale. Sollevò il mento e, nel vedere i suoi fratelli, i suoi occhi brillarono di gioia. Allora asciugai le lacrime sul mio volto e mi levai in piedi; non potevo arrendermi, non potevo lasciarmi sopraffare dalle emozioni senza prima avere completato il disegno del Messia.
"Andrea!" esclamai. Lo sguardo fisso su di lei. "Puoi farmi un favore?"
"Certo!" mi rispose, singhiozzando.
"Vai a prendere Djoser e portalo di nuovo qui. Mettiamo un punto a questa battaglia."
Andrea annuì passandosi il dorso della mano sotto gli occhi e un lieve rossore apparve sul suo viso. Poi schizzò in volo verso la piramide di Saqqara, mentre Goethe ed Erode se la davano a gambe levate nella direzione opposta.
"Fratelli miei!" dissi. "Intanto che vado a vedere come sta Giuda, andate ad acchiappare quegli sciocchi, e qualcuno di voi aiuti Andrea."
Lentamente camminai verso Giuda, intanto che lui aveva cominciato a piangere in silenzio con le mani a coprire il volto. Quando fui a un passo da lui, gli afferrai la nuca e la spinsi contro la mia spalla, abbracciandolo.
"È tutto finito, fratello mio. Sei con noi, adesso. Non dovrai più fare niente contro la tua volontà."
"Lux..." sussurrò Giuda. "L'hanno presa, Pietro. Cosa farò, io?"
Andrea, Simone e Giovanni atterrarono al nostro fianco. Andrea teneva il faraone per un braccio, privo di sensi, poi lo lasciò scivolare al suolo. Il resto dei miei fratelli arrivò in volo con Goethe ed Erode che si dimenavano tra le braccia di Filippo e Giacomo. Quando toccarono terra, Simone colpì il re della Giudea, messo in ginocchio, con la mano tesa sul collo, facendolo svenire. Dopodiché si avvicinò a Goethe e levò il braccio al cielo per riservargli lo stesso trattamento. La mano crollò dall'alto verso il basso, ma si paralizzò a un centimetro dal collo.
"No!" La voce di Giuda risuonò rabbiosa. "Aspetta!"
Giuda si distanziò dal mio corpo e si asciugò le lacrime rimaste attaccate alle ciglia, fece qualche passo verso Goethe, gli sfilò l'elmo per guardarlo negli occhi e lo afferrò per la gola.
"Sei stato tu!" esclamò con disgusto. "Tu mi hai dato in pasto a Satana e hai rapito Lux. Tu sei il Male in questo universo. La mia coscienza è stata schiava dei vostri soprusi. Ho desiderato la morte per tutto il dolore che avete inflitto a Lux. Goethe, tu non meriti di vivere. Tu sei il Male, e il Male deve essere estirpato."
Goethe sbottò in una risata strozzata.
"Mi dispiace deluderti, apostolo di Dio, ma non puoi farmi niente. Il Bene non può annientare il Male e viceversa, dovresti saperlo. Quando sarò nella galassia Purgatorio, pensami tutto il tempo che vorrai. Pensa a tutto quello che ti ho fatto. Credi di esserti liberato dal Male, ma non è così, i ricordi ti rovineranno la vita da qui all'eternità. Tu sei perso, perso nelle mani di Satana."
Giuda esibì la sua vecchia espressione da folle e strinse la presa intorno al collo di Goethe. Il dottore gemette.
"Già!" disse Giuda. "Ma le leggi parlano di equilibrio, e una vita in cambio di una vita mi sembra uno scambio equo."
Goethe sgranò gli occhi ed emise un verso rauco sommesso. Giuda lo stava soffocando.
"Cosa hai intenzione di fare?" domandai a mio fratello, afferrandolo per il braccio.
Giuda sprigionò la sua aura color platino, un campo magnetico esplose dal suo corpo e un turbine d'aria mi scaraventò al suolo. I miei fratelli schizzarono per terra con una potenza brutale nello stesso istante. Giuda si materializzò alle spalle di Goethe e lo abbrancò con una presa stritolante; la sua aura riversava scintille che esplodevano in boati tonanti.
"Giuda" sussurrai, e un brutto presentimento mi attanagliò lo stomaco. "Cosa vuoi fare?"
"Tornerò!" mi disse. "In un modo o nell'altro noi ci ritroveremo sempre."
I suoi occhi brillarono colmi di lacrime, le sue mani tremavano. All'improvviso schizzò in cielo insieme a Goethe, sembrò sussurrargli qualcosa all'orecchio, poi si fece esplodere, e di loro non rimase altro che una nube nera e grigia e le fiamme che zampillavano come fuochi d'artificio. Fissai quella scena orripilante, e in ogni istante sperai che Giuda sarebbe tornato da noi, ma così non fu, perché dalla nuvola non piombarono a terra neppure i loro resti.
***
Nelle ore successive un silenzio assoluto aveva pervaso l'atmosfera. Nessuno era riuscito a parlare dopo la scomparsa di Goethe e di Giuda. Eravamo crollati per terra con un buco nell'anima, inerti, e la voglia di vivere sembrava abbandonare anche i nostri corpi.
Una vita in cambio di una vita. Tornerò. Ci ritroveremo sempre. Perché lo hai fatto, fratello mio?
Mi trascinai da una parte della necropoli, le gambe erano pesanti, mentre Giacomo si sistemava a circa venti passi da me. Dovevamo finire quello che avevamo iniziato, a dispetto di quella circostanza infelice. E così sprigionai la mia aura spirituale e la plasmai fino a quando coincise con quella di Giacomo, dopodiché protesi in avanti le braccia e, da entrambe le postazioni, due flussi di energia, due giganti cilindri evanescenti di colore argenteo, si scontrarono l'uno contro l'altro in un abbraccio travolgente, attraversati al centro da una spirale di luce pura.
All'improvviso le due estremità diedero origine a una sfera luminosa, che crebbe fino a espandersi per oltre dieci metri di circonferenza, scatenando scariche elettriche simili a fulmini.
"Adesso!" urlai.
I miei fratelli levarono le mani al cielo e a un tratto un velo grigiastro impallidì il nero della notte, e una grossa nube si formò accanto alla sagoma velata della luna. Questa si illuminò a intermittenza di un bagliore cinereo, e fu trafitta da una saetta che scese in picchiata e si frantumò sulla nostra sfera luminosa, trasformandola in un buco nero.
I piedi dei presenti cominciarono a slittare sul terreno, allora Simone afferrò Erode, e con una piroetta lo gettò dentro quella sfera buia ed elettrica. Poi fece lo stesso con Djoser, e di loro non rimase più nessuna traccia.
A quel punto chiusi le mani a pugno, Giacomo ripeté lo stesso movimento, e i flussi di energia svanirono di colpo insieme alla sfera insudiciata dalla presenza del Male, portandosi con sé il sapore amaro della vittoria. Un suono inconfondibile franò su di noi: era il cigolio dello scudo protettivo che permeava la crosta terrestre e adesso diventava polvere sottile, fioccando su Saqqara.
Mi abbandonai al suolo, gli occhi rivolti al cielo notturno, lasciando che i pensieri avvolgessero il mio cuore in un velo di soffusa malinconia. Immagini limpide del mio passato si manifestarono davanti ai miei occhi. Era tutto così reale. Tutto così delicato. Rividi casa mia, il giardino in cui giocava mio figlio. Inspirai il profumo della mia città, e nelle orecchie risuonò la voce di mia moglie.
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