Capitolo 85 - Un ultimo sforzo (R)



Antico Egitto - Giorno Tre

Pietro.


Giuda emise un orrendo sibilo gutturale. Aveva riportato Giacomo in superficie non per bontà, ma per prendersi gioco di me, per accusarmi di non sapere governare la mia forza, e per mettermi sotto una cattiva luce con il resto dei miei fratelli. Forse credeva che Giacomo non si sarebbe più rialzato da terra, poiché il solo pensiero che fosse rinsavito dopo la tempesta di fulmini lo aveva fatto imbestialire, e adesso lo fissava con aria spietata, come se tra i due ci fosse un conto in sospeso.

Ma negli occhi di Giuda c'era qualcos'altro, un velo di preoccupazione, o qualcosa di simile, che lambiva quelle pupille colme di rabbia. Attorno a lui roteava adagio una raffica di vento grigio scuro che si mescolava alla sua aura platino, velando l'armatura d'acciaio lacerata in più porzioni. Giuda aveva subito la furia della tempesta di fulmini tanto quanto Giacomo, e il fatto che guardasse mio fratello con aria spietata, forse, era riconducibile a questo.

Giacomo mi aveva confidato che avrebbe potuto sottrarsi a quel mio errore di valutazione, fuggire lontano da quel punto dannato, salvare la pelle, eppure aveva deciso di rimanere fermo, nel mentre che abbrancava Giuda da dietro, costringendo entrambi alla stessa sorte. L'energia vitale di Giacomo si era ridotta alla metà, ma anche quella di Giuda, seppure cercava di non darlo a vedere e di mascherare l'affronto subito.

Un lampo di luce rossa mi illuminò il cervello e rese tutto più chiaro quando svanì: Giuda guardava Giacomo in quel modo perché non aveva più l'energia necessaria a utilizzare la sua arma segreta, l'interruzione del flusso vitale.

Filippo si voltò verso Andrea.

"Hai forse dimenticato come ci siamo ridotti l'ultima volta?"

Giuda fece presente ai cavalieri dell'apocalisse che stessimo comunicando con il pensiero.

"E poi c'è un'altra questione" disse Matteo. "Anche se riuscissimo a ridurli in fin di vita con il loro aiuto, Pietro e Giacomo potrebbero non avere più l'energia necessaria a generare il buco nero."

"Questo non possiamo saperlo!" controbatté Andrea.

Non avevo idea di cosa volesse dire evocare l'aquila reale marchiata sulla mia fronte, di quanta energia e impegno avrei dovuto dedicarle.

"Stiamo dimenticando un particolare" disse Simone. "Durante la prima evocazione, i cavalieri erano ancora in possesso dei loro cavalli, e sappiamo benissimo che senza li avremmo ridotti in fin di vita."

I miei fratelli si guardarono negli occhi e un lieve mormorio serpeggiò tra le loro labbra.

"E così è questo il modo con cui vorreste sconfiggerci?" Giuda sollevò un angolo della bocca, distogliendo lo sguardo da Giacomo e spostandolo su Simone. "L'evocazione di animali mitologici... sembra interessante. Se ho capito bene, hanno dato filo da torcere a Goethe, Erode e Djoser... Evocateli! Ci sarà da divertirsi."

Erode strinse i pugni davanti al volto e i suoi occhi si accesero dietro le fessure dell'elmo come due lune nel cielo notturno.

"Poc'anzi Pietro stava quasi per mandare all'altro mondo suo fratello Giacomo, adesso volete autodistruggervi tutti insieme. Siete proprio degli stolti, figli di Dio."

Goethe proruppe in una risata sardonica.

"Ancora con questa storia! La realtà è che siete stati sconfitti e vi abbiamo concesso una tregua per quanto ci facevate pena."

Djoser si mise a braccia conserte e con un'aria fredda e dura come il marmo fissò Giuda.

"È uno sbaglio" disse.

Giuda si girò verso il faraone.

"Cosa?"

"Non dovremmo concedergli questa possibilità."

"E perché mai? Hai forse paura, Djoser?"

Il faraone sembrava una statua di pietra.

"Fai come vuoi."

"Sarà divertente" disse Giuda. "Vedrai, fidati di me."

Un'ondata di collera si riversò in tutto il mio organismo.

"La pagherai cara, Giuda. Ti giuro su ciò che ho di più caro che la pagherai."

Spinto dal fuoco che bruciava dentro al petto, sprigionai la mia aura al massimo della potenza e lampi di luce platino si accesero tutt'intorno con un boato fragoroso.

"È la scelta giusta!" gridò Andrea, e fece scoppiare la sua aura porpora, adesso fiammeggiante. Rosse scariche elettriche vibravano nello spazio limitrofo.

A un tratto i miei fratelli cacciarono un urlo all'unisono e una schiera di auree platino, porpora, cobalto e bronzo infransero l'atmosfera, elevandosi per un paio di metri. Senza staccare lo sguardo da Giuda, invocai l'aquila reale dorata, e insieme a Giacomo ripetei:

"Abiti nel vuoto dell'aria,

tu che puoi sfiorare il sole senza bruciarti,

librati nel cielo laddove la tua anima vive".

Il simbolo dell'aquila reale prese a pulsare sulla mia fronte, poi su quella di Giacomo; così entrambi levammo le mani al cielo, e a seguire fecero lo stesso i miei fratelli evocando la fenice, il leviatano e il drago, i quali marchi martellavano sotto la loro attaccatura dei capelli. La terra prese a tremare, prima delicatamente, come un'onda mossa dalla brezza di un'incantevole giornata estiva, poi sempre più forte, come le ali di un aereo fuori controllo, e all'improvviso mi sembrò che il cielo stesse per venire giù, e quella visione mi fece rabbrividire.

Da ogni punto cardinale della Terra echeggiò un verso animalesco. Giuda, Erode e Goethe si girarono intorno, come fossero affascinati, mentre Djoser mi fissava con aria inquietante. Le braccia conserte.

"Il pianeta esploderà" disse.

Quelle parole gli uscirono dalla bocca per fare male, per destabilizzare i pensieri e l'anima dei presenti, per infilzare il cuore, svuotarlo e riempirlo di inquietudine. Giuda lo squadrò con un'espressione perplessa.

"Come dici?"

Il faraone distese le braccia lungo i fianchi.

"Il pianeta non resisterà."

Erode scoppiò in una grassa risata.

"Quello che vuole dire, Giuda, e ora che ci penso potrebbe avere ragione, è che la prima volta gli animali erano solo tre, come noi. L'energia generata da Pietro e Giacomo, insieme alla tua, potrebbe fare esplodere il pianeta."

Le parole di Erode mi tolsero il fiato; mandai giù la saliva e guardai in faccia i miei fratelli.

"Potreste avere ragione!" esclamò Goethe. "Le scosse magnetiche, i terremoti e gli attacchi delle creature mitologiche potrebbero distruggere la Terra, a lungo andare. Propongo di generare uno scudo difensivo attorno alla crosta terrestre. Esso proteggerà il pianeta fino a scontro terminato. Ma dobbiamo farlo tutti insieme, per far sì che resista efficacemente."

Goethe levò le braccia verso l'alto, proiettando sfere di luce bianca nel cielo. Queste sbucavano dai palmi delle sue mani a ripetizione e andavano a formare una membrana trasparente oltre il folto mantello di nuvole. Il dottore inclinò lo sguardo di lato e mi disse con tono perentorio: "Prima vi smuovete, prima termineremo la nostra battaglia."

L'idea di collaborare con i cavalieri dell'apocalisse non era per niente gradevole, eppure non potevo agire diversamente. Mantenere intatto il pianeta era tanto importante quanto imprigionare Goethe e gli altri servi di Satana nella galassia Purgatorio. Dunque mi girai verso i miei fratelli e feci un cenno con la testa.

"Forza! Mettiamoci all'opera prima che arrivi la cavalleria."

Un numero non quantificabile di sfere di luce bianca si riversarono nel firmamento dai palmi degli apostoli di Dio e dei servi di Satana, e da lì a breve uno scintillante scudo protettivo avvolse la crosta terrestre. All'improvviso la terra smise di tremare, un velo nero lucido coprì il cielo e una gigantesca luna dorata si adagiò su una soffice nuvola lattea.

Un'ombra possente e maestosa le scivolò davanti per un nano secondo, poi, con superbia, spiegò le ali e sorvolò lo spazio siderale. La creatura volteggiò nella tela notturna disegnando ampi cerchi ipnotici, danzando con le sue ampie ali piumate e stridendo con il suo becco robusto e uncinato. Alta nell'aria, l'aquila reale mi lanciò uno sguardo profondo, poi scese in picchiata con le ali strette ai fianchi.

Il collo era guarnito di piume lanceolate e le zampe avevano artigli lunghi, affilati e adunchi. Con fare maestoso atterrò dinanzi a me e a Giacomo, atteggiandosi come se fosse la regina dell'empireo. In quell'istante il suo corpo si accese come una scintilla e, quando tornò alla normalità, era stretto in un'armatura dorata. Un grido acuto fuoriuscì dal suo becco e scatenò una bufera di vento che costrinse i cavalieri a pararsi con le braccia incrociate davanti al volto.

All'improvviso le nuvole si chiazzarono di rosso; la sagoma della fenice apparve dalla parte opposta del cielo sputando fuoco, e scese in picchiata atterrando davanti ad Andrea, Simone e Giovanni con un tonfo terribile. Poi fu il turno del drago, che sbucò nel cielo da est, scese di quota e volò rasoterra, riversando per un breve tratto fango dalle fauci, fino ad arrivare davanti ai corpi di Filippo, Taddeo e Bartolomeo.

A quel punto le acque del Nilo presero a incresparsi, gorgogliare, alzarsi di due braccia; le bollicine esplosero e fuoriuscì il leviatano, che strisciò come un serpente sulla terraferma fino a raggiungere i corpi di Matteo, Tommaso e Giacomino. La creatura fissò i cavalieri dell'apocalisse e la sua enorme coda, simile alla proboscide di un elefante, sbatté più volte al suolo, pronta a divorare gli avversari e appagare il suo appetito.

"Tic-tac, tic-tac!" dissi a voce alta, fissando Giuda con un ghigno di superiorità. "Il conto alla rovescia è appena iniziato."

Pensavo che Giuda si fosse adirato per avergli copiato la battuta, invece sgranò gli occhi e distese gli angoli della bocca in un sorriso sinistro, mentre una cappa magnetica prendeva forma attorno ai servi di Satana.

"Adesso tocca a noi!" esclamò Goethe. "I vostri animali avranno filo da torcere."

Il dottore fece un cenno con la testa a Giuda, Erode e Djoser, e a quel punto tutti e quattro sprigionarono la loro aura al massimo della potenza. Dopodiché, quattro flussi di energia proruppero dai palmi delle loro mani e trapassarono il terreno, formando quattro voragini tra i loro corpi e le nostre creature.

"Cosa vuol dire?" La mia voce ricoprì il fragore della terra smossa, senza ricevere alcuna risposta.

L'aura di Giuda era pazzesca, e a intervalli regolari produceva rombi simili a tuoni. Fulmini corvini lampeggiavano ai bordi seghettati di quel bagliore platino che rivestiva la sua armatura. I servi di Satana chiusero i pugni e i flussi svanirono; poi, da ogni voragine, strisciò fuori un gigantesco basilisco. La terra si ricompose sotto quei rettili paurosi.

"Il re dei serpenti," bisbigliò Erode con tono perfido "che uccide lentamente, oppure in un istante. È antico quanto la civiltà umana, ed è la personificazione del Male terreno, nonché la parte più infima dell'anima di un uomo."

Ognuna delle creature demoniache aveva una sfumatura diversa della pelle, che variava dal platino al porpora, e dal cobalto al bronzo, in base all'elemento spirituale che possedeva colui che l'aveva evocata. Le loro palpebre, chiuse, erano tutte dello stesso colore: indaco scuro. Una grossa cresta squamosa, somigliante a una corona, sormontava le loro teste. Grandi ali spinose si aprivano lungo i fianchi, la coda era grossa e lunga oltre dieci metri, e infiniti denti sottili e affilati sbucavano dalla bocca larga e biforcuta.

"Pensavate realmente di avere la vittoria in pugno?" Giuda emise un ghigno provocatorio.

"Strano che tu non l'abbia fatto presente prima" dissi con un tono di stizza. "Evidentemente non sei tanto sicuro di te, questa volta."

"A dire il vero non pensavo di potere evocare una cosa simile" rispose. "È stato Goethe a dirmelo, pochi minuti fa."

"Farete lo stesso la fine che vi meritate!" gridò Andrea.

"Non ci rimane altro che scoprirlo." La voce di Giuda echeggiò nell'aria come un soffio di vento pungente.

Da ogni schieramento levammo le braccia davanti al corpo, parallele al terreno. I palmi aperti trasferivano l'energia vitale agli animali sacri da una parte, e ai mostri satanici dall'altra. Rivolsi lo sguardo verso Giacomo e dissi: "Facciamo del nostro meglio, costi quel che costi!".

Giacomo serrò la mascella e annuì. In un baleno gli occhi dell'aquila reale si accesero di un grigio intenso. Le piume lungo la schiena si drizzarono lentamente spargendo una luce bianca, e le ali presero a sbattere sul posto, fomentando quattro vortici d'aria che si scagliarono contro i basilischi, e poi ancora violente raffiche di vento.

"Adesso!" urlò Andrea.

La fenice si alzò in volo con un balzo, spalancò il lungo becco affusolato e gettò un'ondata di fuoco ruotando la testa da destra verso sinistra. Le fiamme, combinate alla bufera di vento, travolsero i rettili brutalmente. Questi, a loro volta, dilatarono la bocca larga e biforcuta nel tentativo di inghiottire le lingue di fuoco, e i loro denti aguzzi si illuminarono di rosso. Poi si sciolsero per il calore quasi lavico a cui erano stati sottoposti. Gemiti striduli saturarono l'aria e più volte le code di quei rettili percossero il suolo per manifestare il dolore che stessero provando. La terra ondeggiò sotto i nostri piedi.

"Sento la mia energia vitale svanire lentamente" ansimai.

"Lo so, Pietro" mi rispose Andrea. Il respiro corto. "Ma sta succedendo la stessa cosa ai servi di Satana, questa volta. Possiamo farcela."

L'aquila reale e la fenice interruppero il loro attacco combinato per riprendere il fiato.

"È il nostro turno!" esclamò Filippo.

Il drago, con le sue fauci simili a quelle di un coccodrillo, si librò in aria e mosse con uno scatto la testa, azzannando il collo del basilisco di Erode. Il re della Giudea urlò come un forsennato stramazzando in ginocchio, e la sua creatura, vittima di quella morsa straziante, chiamò in aiuto gli altri serpenti.

Uno di questi strisciò sul terreno e si attorcigliò attorno alla bocca dello stomaco del drago con una stretta impressionante, mentre un altro lo assaliva da dietro e gli mordeva il collo, perlomeno tentava di farlo, poiché aveva dimenticato di non avere più i denti. Questo, dopo essersi accorto dell'errore madornale che stava commettendo, cominciò a prendere a testate il drago, i cui lamenti uscivano soffocati e mischiati al sangue.

Incollerito, il leviatano allargò le fauci e cacciò via un ruggito simile a quello di un leone, poi allungò il collo verso il cielo, riempì la bocca di tantissima aria e, tornando giù, scatenò una tempesta di ghiaccio che congelò all'istante i due serpenti che, in quel momento, si erano lanciati contro la fenice e l'aquila reale. A quel punto protese in avanti la coda affamata a forma di proboscide e provò a inghiottire il serpente avvinghiato allo stomaco del drago.

Il basilisco, intimorito all'idea di diventare lo spuntino del leviatano, sciolse la presa dallo stomaco del drago, si voltò e diede una testata poderosa a quella coda affamata, spezzandone l'estremità. Il leviatano, stordito, bagnato di sangue e dolorante, indietreggiò barcollando. Allora il drago, ormai libero da quella presa di soffocamento, addentò l'unico serpente che gli era rimasto addosso, strappandogli una parte del collo.

Era ancora presto per dirlo, ma sembrava che i mostri satanici si trovassero in netto svantaggio, rispetto alle nostre creature. I basilischi dalla pelle porpora e bronzea erano ormai statue di ghiaccio; quello di Djoser, invece, continuava a indietreggiare per paura di diventare lo spuntino del leviatano, la cui coda era ricresciuta all'improvviso, mentre quello di Giuda pareva in balia di uno stato confusionale, probabilmente a causa della perdita di tutti i denti.

"Aprite gli occhi!" ordinò Djoser. "E uccideteli con il vostro sguardo."

Non appena i due rettili schiusero le palpebre, il drago spalancò le fauci e sputò una soluzione fangosa nei loro occhi, accecandoli. I due serpenti si dimenarono per una dozzina di secondi, poi, sentendosi inutili per il torto subito, si accasciarono al suolo, con un tonfo che fece tremare, ancora una volta, la terra. A quel punto il leviatano allungò il collo verso il cielo, riempì la bocca di tantissima aria e, tornando giù, scatenò una tempesta di ghiaccio che congelò i due serpenti accecati. A seguire la fenice si alzò in volo, aprì il suo becco affusolato e diede vita a una palla di fuoco dal nucleo dorato che prese a roteare dentro la bocca. Qualora Andrea avesse dato l'ordine, i quattro basilischi si sarebbero ricongiunti alla terra.

"Non può essere vero!" sbottò Giuda, con una smorfia di stizza stampata in viso.

Per la prima volta provai una strana sensazione di piacere, simile alla soddisfazione ma con un leggero tormento. Pensai che fosse davvero la fine, che sperare in un futuro dove il Bene avesse prevalso sul Male era possibile. Ci stavamo riuscendo. Il destino dell'universo era nelle nostre mani, e a un tratto non sentivo più quel grosso macigno gravare sulle mie spalle e piegarmi verso il baratro. I servi di Satana, a un tratto, abbandonarono la posa che trasferiva la loro energia vitale ai basilischi.

"Sarà divertente" disse Djoser, voltandosi verso Giuda. "Vedrai, fidati di me."

Giuda strinse i pugni dalla rabbia. Le labbra tormentate dall'affanno.

"Non è il momento, Djoser! Non parli mai, continua a non farlo."

Goethe strattonò Giuda per le spalle. Le sue mani tremavano.

"Siamo nei guai! Cosa facciamo adesso? Satana... Oh no, Satana..."

Giuda non rispose. Fissò i rettili giganti, ridotti a quattro statue di ghiaccio, con aria assente. Erode cacciò un urlo di collera mentre la sua energia vitale scemava rapidamente. Goethe, con il fiatone e la potenza della sua aura ridotta alla metà, scosse di nuovo Giuda per le spalle, per farlo tornare in sé. Djoser, umiliato dall'affronto della sconfitta, inclinò l'elmo verso il basso e lo nascose dietro le mani. I servi di Satana, per la prima volta durante la battaglia, si ritrovarono in seria difficoltà, e soltanto un miracolo avrebbe potuto salvarli dalla loro disfatta.

"Astaroth, mi senti? Abbiamo bisogno del tuo aiuto."

La voce di Giuda piombò sul campo di battaglia come una voragine in fondo al cuore.

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