Capitolo 80 - Una tregua lunga una notte (R)
Antico Egitto - Giorno Due
Andrea.
La luce del giorno si affievolì lentamente su Saqqara, e l'atmosfera prese a colorarsi di riflessi dorati e vermiglio. Il vento soffiava una melodia grave e tenebrosa. Tutti i miei fratelli erano crollati al suolo, e nessuno di loro aveva più provato a rialzarsi. Un silenzio angosciante era sceso sulla necropoli, e una lacrima si era spenta sulle mie labbra.
Ero rimasta sola. Avevo fallito miseramente. Il Messia si era fidato di me, ed io l'avevo deluso, avevo deluso tutti quanti. I cavalieri dell'apocalisse avevano vinto, erano riusciti a batterci con la forza e con l'inganno. I tre cavalli! Morti! Era stato Goethe a dirmelo. Ma lo eravamo anche noi, morti, seppure non fisicamente. Cosa sarebbe accaduto, adesso?
"Andrea" mi sussurrò la voce calda e profonda del figlio di Dio nella mente.
"Maestro" risposi festosa con il pensiero, rattristandomi un attimo dopo. "Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Io... ci ho provato, con tutta me stessa, e anche Simone, Giovanni e gli altri, ma siamo stati sconfitti."
"Sapevo dei cavalli" mi disse, e il mio cuore perse un battito. "E anche delle leggi universali dell'equilibrio cosmico di cui vi ho tenuto all'oscuro. C'è un motivo per il quale l'ho fatto, e questo motivo è che mi serviva un po' di tempo per preparare Pietro e Giacomo, per mantenere l'equilibrio tra Bene e Male. E per farlo ho dovuto sacrificare voi."
"Maestro..."
"Il Bene e il Male oscillano da sempre come un pendolo ed è stato, ed è tuttora, mio dovere mantenere l'equilibrio tra le due forze, e far rispettare le leggi dell'Esistente."
"Maestro, io... credo di aver capito."
"Allora non hai motivo di dispiacerti, perché la mia scelta è caduta sulla persona giusta. Adesso inganna Goethe e prendi tempo fino a domani, fino all'arrivo dei tuoi fratelli."
Il contatto telepatico si interruppe in quell'istante con uno schiocco sordo, e solo allora ebbi il coraggio di ammettere a me stessa di avere mentito. Ero dispiaciuta, sì, ma per il trattamento che il Messia aveva riservato alla maggior parte dei suoi figli, mandandoli a combattere una guerra di cui non conoscevano nemmeno le regole.
Il pendolo, l'equilibrio, l'Esistente... cosa?
Eppure la mia mente si era già proiettata su uno scenario differente; la rabbia che provavo nei confronti di Goethe annientava qualsiasi altra questione. Lui aveva ucciso Sofia, lui doveva pagare. E l'unico modo che avevo per recuperare le energie, e vederlo soffrire tra le mie mani, era ottenere una tregua lunga una notte. A un tratto Goethe si allontanò dal mio corpo e mi rivolse le spalle.
"Siete stati davvero ingenui" mi disse.
Provai a sollevarmi da terra lentamente; mani, braccia e gambe tremarono come foglie sospinte da una raffica di vento per lo sforzo immane che stavo chiedendo al mio corpo. Il dolore fu lancinante e dovetti fermarmi subito. Le ossa rotte gridavano al ritmo forsennato del cuore. Goethe volse la testa e mi fissò con la coda dell'occhio.
"La forza di volontà è l'unica cosa che non ti manca, a quanto vedo. Vuoi ancora combattere, per caso?"
Ebbi un accesso di tosse, poi mostrai una smorfia di stizza.
"Sì, ho ancora voglia di combattere. Ma devi concedermi un po' di tempo."
Goethe sbottò in una risata priva di allegria.
"Stai forse delirando? Perché mai dovrei concederti del tempo?"
La mia gola era asciutta, le labbra secche.
"Perché non è stata una battaglia alla pari. Hai vinto solo per merito del tuo cavallo, senza di lui non saresti riuscito a farci nemmeno un graffio. È così che Satana e i suoi seguaci vogliono ricordare questo giorno? Come coloro che, per paura di essere sconfitti, hanno dovuto ricorrere all'inganno pur di vincere la battaglia più grandiosa di tutti i tempi?"
Goethe strinse i pugni con rabbia e mi venne incontro a passo svelto.
"Come osi parlami in questo modo? Quello che hai visto oggi è solo l'inizio! Quando domani, Giuda arriverà su Saqqara, la malvagità impregnerà ogni angolo della galassia Paradiso. Le vostre anime verranno estirpate e imprigionate nella galassia Inferno, e Lux darà alla vita una nuova stirpe che spezzerà le leggi universali dell'equilibrio cosmico."
Goethe fece come per schiacciarmi il collo con la piastra d'acciaio che avvolgeva il suo piede, ma all'improvviso sembrò ripensarci; si voltò di spalle e fece qualche passo verso il sangue rappreso sotto la testa del suo cavallo.
"Un po' di tempo, dici?" rifletté a voce alta, meditabondo. "Mi stai chiedendo, forse, una tregua?"
Un senso di stupore mi pervase adagio il viso e pensai di avere colpito il cavaliere nel punto giusto.
"Sì, se preferisci chiamarla in questo modo."
Goethe sospirò portando una mano al mento, continuando a darmi le spalle.
"D'altronde perché non dovrei farlo?" meditò ad alta voce. "Perché non dovrei concedergli questa tregua? Sono solo degli sciocchi in fin di vita; degli insetti che hanno creduto di poter salvare la Terra. Il Messia, nel rispetto delle leggi universali dell'equilibrio cosmico, non può intervenire nella battaglia. Pietro e Giacomo, seppure con un giorno di addestramento in più rispetto agli altri apostoli, non riusciranno mai a ostacolare il Disegno. E anche se così fosse, con l'arrivo di Giuda nessuno di loro avrebbe più scampo."
Goethe si volse di scatto verso di me, e il bagliore tenebroso che gli usciva dalle fessure dell'elmo sembrò schiarirsi.
"Non mi rimane altro che parlarne con Erode e Djoser," continuò a dire tra sé e sé "e vedere cosa ne pensano di questa proposta. Se accettassero anche loro, la tregua si farebbe, Saqqara assisterebbe alla nostra pietà e la voce si spargerebbe in fretta. A quel punto verremmo osannati come coloro che, nonostante una tregua lunga una notte, avranno vinto la battaglia più grande di tutti i tempi, conquistando l'egemonia dell'universo senza inganni."
All'improvviso Goethe si levò nel cielo alla velocità della luce e scomparve. A distanza di qualche minuto, i tre cavalieri dell'apocalisse atterrarono dinanzi alla piramide di Saqqara e varcarono il suo ingresso senza degnarmi di uno sguardo o comunicarmi il verdetto finale. Le loro sagome svanirono al di là del buio, nel silenzio più totale.
Passarono le ore e, intanto che il tramonto si affievoliva in braci moribonde, e la necropoli si immergeva nell'oscurità, il cielo divenne una massa di vapori turgidi che nascondeva le poche stelle fioche affacciatesi alla morte del sole. In quell'istante le teste di Simone e Giovanni sbucarono nel mio raggio visivo, e a seguire anche quelle del resto dei miei fratelli; erano vivi, stavano bene, sorridevano.
"Ehi..." dissi.
"Ssht!" mi interruppe Simone. "Non c'è bisogno che tu dica niente. Abbiamo sentito tutto."
Simone mi prese in braccio senza troppa fatica, e così mi rannicchiai su di lui. Non ricordavo quando si fossero rigenerate, ma le mie ossa non erano più rotte; tuttavia sentivo di non potermi ancora muovere. Camminammo per un centinaio di metri, fino ad arrivare in un'area in cui vi erano dei mattoni di terra accatastati uno sull'altro e disposti in fila.
Simone adagiò il mio corpo sul terreno, con la schiena poggiata sui mattoni, e si levò a sedere al mio fianco, chiudendo gli occhi, mentre il resto dei miei fratelli si sistemava per la notte. Avrei riposato in quel luogo, ignorando la sete che mi bruciava la gola e la fame che ringhiava nel mio stomaco.
A un tratto non fui più capace di trattenere le emozioni e le lacrime presero a scorrere copiose sul mio viso. Non capivo quante di queste fossero dovute al vento che mi sbatteva sulla faccia e quante al dolore che avevo dentro. Le sentivo scivolare dagli angoli degli occhi sugli zigomi, per poi disegnare delle righe fino al mento e continuare giù per il collo. Saqqara sembrava un posto migliore, sbiadita dalle lacrime.
All'improvviso, in lontananza, apparve la sagoma sfocata di una figura minuta. Mi si avvicinò camminando lentamente, come fosse impaurita, poi cominciò a correre. Percorse una dozzina di metri e infine decelerò nuovamente: era la sagoma di un bambino. Quando mi fu abbastanza vicino, fermò i suoi passi e mi scrutò con aria assorta dalla testa ai piedi, come se mi stesse studiando. Sorrise e fece qualche altro passo in avanti, guardandomi negli occhi.
"Perché piangi?" mi domandò con una vocina tenera e sottile.
Il piccolo ometto poteva avere al massimo otto anni.
"Perché... sono preoccupata per te, per i tuoi genitori, e per tutti gli esseri umani."
Il bimbo protese una mano verso i miei capelli e li accarezzò con un sorriso timido.
"Tu sei una persona buona, vero?" mi chiese, ritraendo le dita.
"Certo, che lo sono" risposi. "Puoi stare tranquillo."
"Allora non preoccuparti per l'umanità" mi disse. "Il Bene vince sempre."
Rimasi interdetta. Il mio cuore tremò. Era un bambino, quello che avevo davanti, oppure? Quelle parole erano state pronunciate con una tale innocenza che fui a un passo dallo scoppiare di nuovo in lacrime. Che fosse un messaggio da parte del Messia? Gli occhi limpidi e celesti del bimbo brillarono alla luce della luna piena e mi trasmisero sicurezza.
"Chi sei?" gli domandai allora, con un filo di voce.
Il bambino fece qualche passo indietro e sorrise.
"Non importa chi sono io, dovresti chiederti chi sei tu."
Poi si girò di spalle, prese a correre sul terreno sabbioso e la sua sagoma scomparve all'orizzonte, e per un attimo pensai che fosse stata solo un'allucinazione. All'improvviso ci fu un suono; timido, lento, quasi trattenuto. Rispecchiava la fragilità di una donna che non aveva ancora trovato il suo equilibrio nel mondo. Dopodiché, un po' alla volta, quel suono prese la forma di un canto ricco di serenità e di fiducia nel futuro, e infine esplose in un crescendo orchestrale che tuonò di sentimenti travolgenti e di amore per la vita. In quell'istante la musica fu poesia e dramma, sole e tempesta, passione e tormento. Il ritmo intenso, forte e commovente raffigurò il semplice ritratto di una donna che, a un tratto, credeva nelle sue capacità.
Chi ero io?
Colei che avrebbe aiutato il figlio di Dio a rendere l'universo un posto migliore. Avevo nelle mani il fuoco, elemento essenziale della vita; nel mio cuore palpitava l'energia di mille fiumi di massa lavica e custodivo lo spirito di un angelo fedele al Padre Onnipotente. A un tratto un fulmine lampeggiò nel cielo e la sagoma del bambino riapparve dinanzi a me, eterea. Era lì per rincuorarmi, per dirmi che nulla era perduto, per ribadire che tutto era ancora possibile. Lo sapeva il cielo, e adesso lo credevo anch'io.
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