Stella di David - Giorno Due
Pietro.
Il viaggio di ritorno dalla parete terminale fu istantaneo; il Maestro aveva stretto le nostre mani e in un lampo di tempo ci eravamo materializzati sulla Stella di David, nel giardino fiorito di fronte alla casetta di legno. Il sole era nascosto dietro le montagne in attesa di scalare il cielo, lì dove lo avevamo lasciato prima della partenza.
Le leggi universali dell'equilibrio cosmico, la parete terminale, l'Esistente...
Ero felice, desideravo vivere e ridare la vita alle vittime di Satana. La guerra incombeva minacciosa, ma non avevo paura; ero stato partecipe della più grande realtà dell'universo. In quell'istante, come al risveglio da un sogno, realizzai cosa fosse successo davvero, e fui travolto da una miriade di sensazioni contrastanti. Dal panico all'esaltazione, dall'ansia all'abbandono, dalla voglia di piangere all'irrefrenabile desiderio di ridere, e nella mente il presente proiettò le sue onde verso l'infinito, come un sasso che cade nell'acqua e produce cerchi sempre più ampi. A un tratto la voce del Messia fece evaporare quello tsunami di emozioni, riportandomi alla realtà.
"Non c'è tempo da perdere" disse. "Vi attende un lungo e faticoso addestramento."
Ormai era chiaro che l'importanza della creazione di un buco nero era assoluta. Se i cavalieri dell'apocalisse fossero stati intrappolati in una sezione dell'universo nulla, una galassia senza tempo, nessuna delle leggi universali dell'equilibrio cosmico sarebbe stata corrotta, e Satana e i suoi seguaci sarebbero rimasti imprigionati per l'eternità tra la galassia Inferno e la galassia Purgatorio. Eppure dei brividi lungo la schiena mi suggerivano che la situazione non era poi così chiara, e che qualcosa mi sfuggiva dalle mani, senza riuscire ad afferrarla, come un fantasma nella notte.
"Maestro" disse Giacomo con un filo di voce. "La galassia Purgatorio, quindi, esiste ancora? Finiranno lì, i cavalieri dell'apocalisse, una volta risucchiati dal buco nero, oppure ci stai nascondendo qualche altra verità? Un'altra sezione dell'universo che non conosciamo, per esempio?"
"Come vi ho già detto," proferì il Messia "ci sono cose che non posso dirvi, e altre che aspettano solo voi."
"E se riuscissimo a vincere questa guerra" domandai "e Lux diventasse ugualmente la Madre della nuova stirpe del Male, cosa accadrebbe?"
"Lux è in buone mani, figli miei" rispose il figlio di Dio. "Venite con me, adesso. Basta parlare. Ci attende un lungo viaggio."
Il Maestro si incamminò nella valle. Inarcai le sopracciglia e rivolsi lo sguardo perplesso su Giacomo, che lo ricambiò con la stessa espressione; mi strinsi nelle spalle e scossi la testa, dopodiché, uno di fianco all'altro, seguimmo i passi del Messia, che si alternavano alla cadenza dettata dal bastone di legno.
Una distesa verde ammantava il terreno perlopiù pianeggiante, i fili d'erba ondulavano all'aria fresca e si doravano alla luce del sole. Respirai a pieni polmoni. Le spighe di grano si piegavano ossequiose al nostro passaggio, le farfalle danzavano intorno agli alberi dalla corteccia ruvida e rossastra, bluastra, castana e grigio cenere. Alcune chiome sembravano toccare il cielo, altre erano basse e ricche di frutti succosi. Un usignolo cantava una melodia soave appollaiato su un ramo di una grande quercia.
A distanza di mezz'ora giungemmo alle porte di una fitta foresta; il Maestro vi si addentrò senza esitare e così continuammo a seguire i suoi passi, in silenzio. La cima del folto fogliame dei cerri, che faceva da tetto al bosco, permetteva l'accesso solo a qualche raggio solare, che si stendeva su un sottobosco morbido, adornato da piante tonde e vellutate, tra le quali serpeggiavano grosse radici ricoperte di muschio.
Il maestro trascinava il suo bastone con un movimento circolare, affondandolo sul terreno a ogni due passi. Quando accadeva, il brecciolino scricchiolava sotto la base di legno e diventava polvere. Il vento sibilava tra i rami nodosi degli arbusti più tozzi, gli uccellini cinguettavano dal tetto della foresta, alcuni insetti strisciavano rapidi nel sottosuolo. Camminavo con passo felpato, guardingo, senza un apparente motivo, mentre Giacomo, al mio fianco, si girava intorno come se si sentisse spiato da qualcuno o qualcosa.
A un tratto un forte bagliore biancastro investì il terreno davanti a noi, e il bosco sembrò interrompersi di colpo. Varcata l'uscita, i raggi del sole tornarono a stendersi uniformemente senza ostacoli, e il mio sguardo trasvolò su un'ampia pianura vestita soltanto da un raso manto d'erba. Il Maestro arrestò i suoi passi e si girò intorno.
"Qui andrà bene!" esclamò.
Fissai le sue spalle possenti.
"Bene per cosa, esattamente?" domandai.
Il Messia si levò a sedere a gambe incrociate, il bastone disteso sull'erba.
"Bene per non distruggere la mia dimora" disse con tono sarcastico.
Inarcai le sopracciglia e sollevai un angolo della bocca.
"Mi stai dicendo che abbiamo fatto tutta questa strada, a piedi, perché avevi paura che ti distruggessimo la casa?"
Il Maestro si lasciò andare a una risata allegra portando indietro la testa, dondolando la schiena con gli occhi rivolti al cielo, come se si stesse godendo il momento.
"Fa bene camminare" rispose. "Apre la mente e spazza via i brutti pensieri."
Mi grattai la tempia con l'indice, perplesso.
"E di solito funziona?" chiesi con sarcasmo.
"Funziona o meno," si intromise Giacomo "adesso dobbiamo pensare all'addestramento."
Feci un cenno con la testa in segno di approvazione. Il Maestro si fece serio all'improvviso.
"Venite qui, davanti a me," disse "e posizionatevi uno di fronte all'altro, a una distanza di circa venti passi."
Scrutai le spalle possenti del Messia ancora un istante, poi feci come ci aveva ordinato e mi andai a sistemare in mezzo alla pianura. Giacomo mi venne incontro, poi si allontanò contando venti passi e si andò a piazzare dall'altra parte.
"Adesso sfoderate tutta la vostra energia spirituale" disse il figlio di Dio.
Non me lo lasciai ripetere due volte, dunque contrassi le braccia inarcando in avanti la schiena. Cominciai a sentire un lieve bruciore animarmi lo spirito, i contorni del corpo luminescenti. Chiusi gli occhi e, non appena sprofondai in uno stato di trance, evocai l'elemento Aria. Sentivo il sangue scorrermi nelle vene, mentre l'aura color platino palpitava sulla pelle. Un attimo dopo avevo raccolto tutta la mia energia spirituale.
Quindi spalancai le palpebre e sprigionai un campo magnetico intorno al corpo, che si fuse con l'aura color platino, riversando scintille ed esplodendo in boati tonanti. Come un orologio sincronizzato sullo stesso secondo, dall'altra parte Giacomo ripeté i miei stessi movimenti.
"Adesso statemi bene a sentire" disse il figlio di Dio. "La vostra energia è molto simile, ma non uguale. Quella di Pietro è leggermente superiore a quella di Giacomo. Dunque, il vostro compito, in primo luogo, sarà quello di portare l'energia allo stesso livello, plasmando l'intensità della vostra aura. A seguire, ognuno di voi dovrà proiettare contro l'altro il flusso energetico più potente che potete generare. Se la vostra aura sarà uguale, e quindi anche la vostra energia spirituale, allora i due flussi si fonderanno. In caso contrario, i due flussi finiranno per distruggersi a vicenda."
Osservai Giacomo e mostrai un risolino di scherno.
"Guarda tu cosa mi tocca fare per allenarmi con te!" gli comunicai con il pensiero.
"Non fare lo sbruffone" disse con i denti stretti. "Un giorno o l'altro potrei diventare io il più forte."
Feci uno sbuffo ironico.
"Forse sarò già vecchio, quando accadrà."
Con un sospiro lento ridussi di poco la mia aura e protesi in avanti le braccia. Le mani aperte emanavano un bagliore grigio chiaro. Giacomo assunse la stessa posa, e stavo quasi per fare partire il colpo più potente che potessi generare, quando il Maestro disse: "Se esiste anche solo una remota possibilità di vincere questa guerra, quella possibilità siete voi due".
Senza perdere un secondo di più, Giacomo cacciò un urlo e proiettò in avanti il suo flusso di energia, e così feci partire il mio. Sembravano due giganti cilindri evanescenti di colore argenteo, attraversati al centro da una striscia di luce pura, che si stessero per riabbracciare dopo un triste addio durato millenni. Poi accadde; le due estremità si strinsero in una presa solida, mantenemmo la posa, e per un po' parvero andare d'accordo, poi però esplosero con un boato pazzesco, bruciando il manto d'erba adiacente e facendo tremare la terra. Avevamo fallito miseramente il primo tentativo.
"Riprovateci, figli miei" disse il Messia, impassibile. "Le gesta di quest'oggi getteranno il seme del futuro che verrà."
Quelle parole caddero come macigni sulle nostre spalle. Avevamo un obbligo. Un obiettivo. Un desiderio. L'universo sarebbe stato nostro. Il Bene avrebbe prevalso sul Male. Satana non avrebbe più manipolato nessuno.
"Riproviamoci!" esclamai.
Giacomo mosse la testa su e giù in segno d'intesa. Così, un paio di secondi più tardi, altri due flussi straripanti di energia si precipitarono uno sull'altro in un abbraccio, ancora una volta esplosivo. Un rombo fragoroso si levò al cielo e fece saltare in aria zolle di terra ed erba incenerita, e ne scaturì un terremoto che per poco non ci fece ruzzolare al suolo. Avevamo fallito di nuovo, ed ora la giornata appariva molto lunga e faticosa.
Gettai uno sguardo sul Maestro: aveva gli occhi chiusi, incastonati in un'espressione assorta e beata. Avrei voluto entrare nella sua testa e leggere i suoi pensieri, i suoi piani futuri, le sue verità nascoste. Ma non potevo distrarmi, non ora, non fin quando io e Giacomo non saremmo stati in grado di porre fine all'esistenza dei cavalieri dell'apocalisse.
Nelle ore successive ci provammo una terza, una quarta e una trentesima volta, e dopo ogni fallimento ne seguì un altro. E mentre il sudore caldo mi colava sugli occhi, sul collo e dietro le orecchie, e il respiro diventava affannoso come quello di un vecchio asmatico, i secondi si erano trasformati in minuti, i minuti in ore, e intanto l'alba aveva lasciato il posto al tramonto, e degli schizzi rossastri, violacei e rosati dipingevano il cielo come pennellate ad acquerello.
Abbandonai il mio peso sul terreno, stanco, spossato, le braccia lontane dal corpo e le gambe divaricate. Gli occhi scrutavano un punto fisso nel cielo e la testa diventava leggera. Assaporai la tranquillità del momento, la solitudine, il vento che portava via i rumori della giornata. Alcuni ricordi affiorarono nella mente e il mio cuore fu avvolto da un velo di malinconia. Immagini limpide del mio passato germogliarono nello spazio del pensiero; era tutto così reale...
Rividi casa mia, il giardino in cui giocava mio figlio, assaporai in bocca il gusto della marmellata di albicocche che mi preparava sempre mia moglie, e nelle orecchie risuonarono le nostre giornate passate al mare. Ma il tempo, nella mente, scorse veloce, quasi come un lampo, e la certezza di quei ricordi svanì in visioni incerte, confuse, annerite. Come di ritorno da un magico sogno, che stava quasi per trasformarsi in un incubo, mi levai in piedi con un balzo e fissai Giacomo, piegato su se stesso, il respiro corto, lo sguardo rivolto su di me, e desiderai ardentemente di rivivere quei ricordi.
"Questa volta non falliremo!" esclamai.
Giacomo, incoraggiato dalla fermezza delle mie parole, drizzò la schiena e protese in avanti le braccia. Così imitai la sua posa, plasmai la mia aura in modo da fare coincidere le nostre energie spirituali e, da entrambe le postazioni, partirono due flussi di energia, due giganti cilindri evanescenti di colore argenteo, attraversati al centro da una spirale di luce pura, che si incontrarono in un abbraccio selvaggio, animalesco, travolgente.
All'improvviso le due estremità diedero origine a una sfera elettrica. Essa crebbe fino a espandersi per oltre dieci metri di circonferenza, scatenando scariche di energia simili a fulmini. I suoi contorni erano argentei, il nucleo cristallino. Io e Giacomo mantenemmo la posa, affaticati ma gioiosi, e in quell'istante il Maestro spalancò le palpebre e si alzò in piedi.
"Molto bene" disse. "Continuate a trasferire energia dalle vostre mani. Adesso vi mostrerò una cosa."
Il Messia strinse il bastone con una presa ferrea e sollevò la punta tondeggiante al cielo. A un tratto un velo grigiastro impallidì i colori crepuscolari del firmamento, e grosse nubi burrascose fecero la loro comparsa. Tra queste, una si illuminò a intermittenza di un bagliore cinereo, e fu trafitta da uno spesso fulmine che scese in picchiata e si frantumò sulla nostra sfera elettrica.
Quest'ultima perse le sue sfumature argentee e cristalline, diventando nera come la pece, per poi prendere le sembianze di un buco nero. Le zolle di terra e l'erba incenerita si librarono verso l'alto lentamente, poi furono inghiottite in un baleno da quella che prima era una semplice sfera di energia. I miei piedi presero a slittare sul terreno, risucchiati da quel campo magnetico sempre più devastante.
"Ci siete riusciti!" esultò il Maestro. "Adesso sapete come generare un buco nero. Durante la battaglia, vi farete aiutare dai vostri fratelli. Loro dovranno fare esattamente quello che ho fatto io."
Prima che il buco nero inghiottisse anche noi, sia io che Giacomo chiudemmo le mani a pugno, e la sfera di energia svanì nel nulla. Sfiancato, mi piegai su me stesso, le mani poggiate sulle ginocchia. I capelli erano infradiciati di sudore, così come la fronte, le sopracciglia e la tunica. Ansimavo e il cuore mi sembrava guizzare fuori dal petto; tuttavia mi sentivo carico di adrenalina, come mai prima d'ora. La stanchezza e la gratificazione viaggiavano di pari passo.
"La notte è alle porte!" disse il figlio di Dio. "Sarà meglio rincasare."
Il Messia sollevò lo sguardo al cielo, poi batté per terra il bastone un paio di volte, assorto nei suoi pensieri segreti.
"Partirò con voi," continuò "ma solo per ristabilire l'ordine sul campo di battaglia."
Qualora la linfa cosmica di Dio dovesse cessare di esistere, e il suo Spirito dovesse reincarnarsi in un essere metà uomo e metà Dio, quest'ultimo, figlio del Padre, seguirà le sue leggi, fungendo da ritmo e compensando il disequilibrio tra Bene e Male.
Era ormai sera, e la luce del tramonto vibrava debole nel cielo, offuscata da una leggera nebbiolina che rendeva torbida la vetta delle montagne lontane. Lasciai che il mio sguardo vagasse libero all'orizzonte. Non c'erano confini. Non c'erano mai stati.
Ci sarebbe stato un futuro?
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