Capitolo 66 - Addestramento Acqua (R)
Stella di David - Giorno Uno
Matteo.
Volavo alto per scoprire il cielo, inalando il profumo dell'aria fresca mischiata a quello delle nuvole, che sapevano di mirra. Guardavo in basso mentre salivo di quota, brividi e tremori lungo il corpo, la mente aperta sui meravigliosi spazi sottostanti. Adesso vi era una pianura infinita e foglie sparse tra querce, spighe di grano e fiorellini bianchi.
Lo sguardo cadde all'improvviso su Giacomino, che volava al mio fianco. Il suo cuore, avvolto da una composizione di boccioli colorati e di malinconia, si spalancò come un cancello e potei osservarne il contenuto; risaltava il suo passato da artista di strada, in cui aveva sognato, e spesso dipinto, dimensioni che adesso gli si offrivano concrete.
Tornai indietro e accostai i battenti del cancello senza far rumore, mi distanziai dal suo cuore e voltai la testa dall'altra parte, osservando Tommaso; i suoi occhi sembravano celle di una prigione, le cui sbarre di ferro lo avevano da sempre ingannato, illuso, persuaso che i videogiochi l'avrebbero protetto dalla realtà, e in un certo senso era stato così.
Ma a un tratto fissava il paesaggio con interesse, e si girava intorno famelico di imparare, divertirsi e apprendere dalla sua stessa vita, dalla realtà, e finalmente si rendeva conto che quelle sbarre non erano più necessarie. E così queste si spezzavano e sbriciolavano in lacrime di gioia, liberando gli occhi dalla prigione che era stato abituato a vedere come la sua casa.
La gravità cento aveva messo a dura prova le nostre forze, il sonno ristoratore le aveva ritemprate. In assenza di alcuna disposizione da parte del Messia, ci eravamo diretti a ovest, attratti dal suono di un gorgoglio molto lontano; dentro di me speravo che quel mormorio acquoso si sarebbe trasformato in un'oasi celeste.
"Matteo!" esclamò Tommaso, affiancandosi con una piroetta. I pugni protesi davanti alla testa fendevano l'aria. "Sei ancora convinto che quel gorgoglio ci darà le rispose che cerchiamo?"
"Sì!" dissi. "Non ho alcun dubbio."
Sotto di noi adesso scorreva una campagna maculata di settembrini e ortensie che, con i raggi tiepidi del sole, effondevano colori armonici. I rami degli alberi si levavano al cielo alcuni rinsecchiti e altri in procinto di diventarlo, le foglie ingiallite dondolavano al suolo; il vento poi le spazzava via e loro rivolgevano ai rami un ultimo saluto, il loro fruscio. Turbini di foglie anziane sorvolavano i campi.
"Ci siamo!" esclamò Giacomino. "Il gorgoglio è sempre più vicino."
Ora un fiume si snodava flessuoso in mezzo a una serie di catene montuose. Ogni tanto si piegava in ampie curve, come un enorme serpente che striscia agile sul terreno. Le sue calme acque azzurre brillavano sotto il sole, e mostravano segni di increspature man mano che il suono del gorgoglio diveniva più intenso.
"Eccolo!" dissi.
All'improvviso il fiume si trasformò in una cascata. Questa si riversava su un lago, in uno strapiombo vertiginoso, le cui sponde lambivano i confini di una fitta foresta. Scendemmo di quota fino ad atterrare su tre massi incastrati ai bordi dello specchio d'acqua pieghettato. Alle spalle, strani versi echeggiavano dalla selva.
"Benvenuti nell'oasi celeste!" esclamò il figlio di Dio, attivando la comunicazione telepatica.
In quell'istante mi sembrò come se l'aria mi stesse stringendo in un abbraccio.
"Maestro!" risposi con il pensiero. Gli occhi rivolti al cielo. "Ero sicuro di trovarti qui."
"Bene, Matteo" disse. "Dovevo vedere come ve la sareste cavata da soli. A tal proposito, vorrei mettervi a conoscenza di un fatto: siete riusciti ad abituarvi alla gravità e a raggiungere questo posto in duecentoquarantacinque giorni."
Al suono di quella cifra mi voltai verso i miei fratelli e schiusi le labbra, incredulo. Gli occhi sgranati.
"Duecentoquarantacinque giorni?"
"Sì!" rispose con tono sereno. "Adesso dovrete seguire alla lettera ciò che vi dirò di fare."
Abbassai lo sguardo con le sopracciglia contratte. Il silenzio parve inghiottire ogni rumore. La superficie del lago era solcata da venature bianche e luminose. Non riuscivo a credere a quelle parole appena apprese. Più della metà del tempo a disposizione era trascorsa per abituare il corpo alla gravità cento. Strinsi i pugni.
"Maestro!" esclamai, alzando di nuovo gli occhi al cielo. "In cosa consisterà il nostro addestramento?"
"Dovrete imparare a coesistere con il vostro elemento" rispose. "Affronterete due prove, ognuna delle quali vi aiuterà a comunicare con la natura e a incrementare la vostra potenza. Al termine dell'addestramento, l'energia che risiede in voi sprigionerà un potente grido nell'universo, e ogni creazione divina acclamerà il vostro avvento."
Le parole del Maestro mi infusero dei brividi lungo le braccia; non vedevo l'ora di procedere con la prima prova. Dunque mi voltai verso i miei fratelli, feci un cenno con la testa, notando l'eccitazione nei loro sguardi, poi fissai il lago e mi concentrai sul mio unico obiettivo: dare il meglio per equiparare la forza dei cavalieri dell'apocalisse.
"Cosa dobbiamo fare?" domandai al Messia, impaziente.
"Osservate il lago!" disse con voce profonda. "Dovrete diventare un tutt'uno con esso, modificare le molecole del vostro corpo e camminarci sopra."
Dopo un attimo di esitazione, scesi dal masso con un volteggio in aria e toccai il suolo, infine mi avvicinai alla sponda del lago. L'acqua sfiorava la terra umida e l'adrenalina fremeva nelle vene. I palmi delle mani rivolti verso il basso davanti all'addome, gli occhi chiusi. Il tiepido calore dei raggi solari svanì dalla mia tunica, la brezza che soffiava nella selva si ammutolì. Nella mente privata di ogni pensiero superfluo apparve l'immagine del lago; in superficie galleggiavano fiori di loto con foglie larghe e rotonde.
Evocai l'elemento Acqua, facendo vibrare l'aura cobalto intorno al corpo. Meditai fino a immergermi nell'angolo più remoto del mio spirito, sentivo l'energia vitale strisciare nei vasi sanguigni. La trasportai verso il basso a coprire i piedi e, quando ebbi la fermezza per procedere, schiusi le palpebre e feci un passo in avanti. Dubitai per un istante delle mie capacità, barcollai e quasi caddi indietro, tenendomi in equilibrio con le braccia distese lontane dai fianchi.
Tuttavia la pianta del piede galleggiava perfettamente in superficie, pur provando a fare pressione. Affascinato, avanzai anche con l'altra gamba e barcollai nuovamente, piegandomi sulle ginocchia come per paura di cadere. Strinsi le palpebre d'istinto e quando ne allargai uno spiraglio mi resi conto di essere sospeso sul lago.
Distesi i muscoli delle gambe tremanti con le braccia parallele alla superficie liquida, mentre Tommaso e Giacomino correvano sull'acqua facendo capriole acrobatiche. Pieno d'invidia, allontanai la paura dal corpo e cominciai a prendere familiarità con lo specchio celeste, ispirandomi al loro gioco.
"Ottimo lavoro!" esclamò il Messia con il contatto telepatico, dopo qualche minuto.
All'improvviso il sole scomparve dietro le montagne, e l'alba fece posto al tramonto. Le acque si agitarono sotto i nostri piedi, scosse da un tremendo terremoto. Mi girai intorno, il respiro fermo in gola; un grido stridulo ascese dalle viscere della terra, l'intera foresta parve inclinarsi di lato, il suolo si sgretolò sotto di essa e la inghiottì con un rumore sordo. I tronchi d'albero altissimi con le loro folte chiome erano spariti come se non fossero mai esistiti, le stelle apparvero nel cielo semibuio mentre la terra continuava a tremare; poi un vulcano emerse dal sottosuolo, lì dove poc'anzi era rimasto il nulla, elevandosi per una decina di metri.
"Ehm..." disse Tommaso. "Quel coso non promette nulla di buono."
In quell'istante fontane di lava schizzarono fuori dalla camera magmatica, lanciando lapilli incandescenti tutt'intorno.
"Via!" esclamò Giacomino. "Via!"
Con un guizzo volammo in alto fino ad arrivare accanto alle stelle. Rivoli di fluido ardente scendevano dai pendii del vulcano, creando depositi di cenere e scorie fumanti sui bordi pietrosi. Si udì il ruggito del magma, poi nubi nerastre si levarono al cielo. Nella foschia alcune colate di lava si solidificarono sulle pareti rocciose, formando il disegno di un mostro infernale. Cadde un improvviso silenzio. Qualsiasi attività eruttiva parve sospendersi.
"Cos'è quello?" domandò Tommaso, con voce tremante.
"Nulla di buono" risposi, mandando giù la saliva.
"Questo silenzio è angosciante..." sussurrò Giacomino.
Ebbi il tempo di fare solo un mezzo respiro, prima che un urlo demoniaco esplodesse dalla camera magmatica. Tre spruzzi di lava si fiondarono contro di noi e li schivammo per un pelo. Dalle profondità del vulcano, un soffio sinistro sibilò verso l'alto e dei ciottoli rotolarono dalle pareti esterne. Dopodiché, il cratere iniziò a sputarci contro grumi di lava incandescente.
"Cosa state aspettando?" urlò il figlio di Dio, attivando la connessione telepatica. "Forza! Congelate il vulcano prima di finire abbrustoliti."
I nostri corpi guizzavano da una parte all'altra del cielo rabbuiato dalla notte, intenti a non diventare cenere. I grumi di lava erano diventati sfere roventi, luminose, spietate. Bisognava agire alla svelta.
"Tuffiamoci nel lago!" urlai.
I miei fratelli mi rivolsero uno sguardo fugace, dunque ci fiondammo dentro le acque fumanti, in modo da scampare alla violenza del vulcano... o almeno in parte. Il lago era ricoperto per metà da un fluido infernale, le sponde disastrate dalla roccia fusa. Una volta in profondità, sollevai entrambe le braccia verso il cielo, i palmi aperti, evocando l'elemento Acqua. Come polvere di fata scese su di me, avvolgendomi della sua essenza cristallina.
A quel punto sprigionai tutta l'energia acquisita, e lo stesso fecero Tommaso e Giacomino al mio fianco. Migliaia di bollicine mulinarono verso l'alto, tre vortici d'acqua esplosero fuori dalla superficie del lago, si allungarono come fossero delle molle e, nel modo di precipitare all'interno del vulcano, si trasformarono in ghiaccio e congelarono l'inferno da esso creato.
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