Capitolo 65 - Scintille (R)



Galassia Inferno - Giorno Uno

Giuda.


Sopra il pavimento di ghiaccio, raffiche di vento afoso flettevano le evanescenti fiamme rosse intorno al mio corpo. Sotto la superficie gelida, le anime sembravano manichini pallidi, logori, rinsecchiti. Mi sollevai in piedi a fatica, lo sguardo basso, il respiro spezzato, la schiena curva. Le mani sulla bocca dello stomaco contratto. Piegai la testa di lato e con la coda dell'occhio scorsi la proiezione del volto di Satana, ingigantita di dieci volte al suo aspetto consueto, i bordi come fiammelle grigio grafite, sospesa sopra il campanile della cattedrale. Il Principe mi stava osservando.

"Dannazione!" esclamai con il fiato corto. "Qui sopra la gravità è cento volte superiore a quella terrestre? Bene! Vedo che per te non è un problema. Avresti dovuto dirmelo, però, è stato scorretto da parte tua."

"Avrei dovuto?" ridacchiò Goethe, con le mani allo stomaco. Si tolse l'elmo e lo fece volteggiare in aria con uno slancio del braccio. Un tonfo metallico risuonò all'impatto contro la passerella di marmo. Dopodiché l'elmo rotolò ai piedi del cavallo bianco con un rumore stridente. "Volevo dirtelo, in effetti, ma in guerra non ci sono regole, e tu ci sei già dentro."

Ogni sua lettera pronunciata fomentò l'odio recintato malamente nel mio cuore, che non vedeva l'ora di schizzare fuori dal petto e scagliarsi contro la sua armatura. Drizzai la schiena e alzai lo sguardo sul mio avversario; i suoi occhi erano freddi come il ghiaccio.

"Credo che non mi abituerò mai alla tua faccia" dissi, sollevando un angolo della bocca. "Ho sempre provato un certo... disgusto."

Il cavaliere assunse una posa di combattimento, spostando in avanti il baricentro del corpo. Le mani si aprivano e chiudevano dinanzi al torace.

"Ti sembra questo il momento per mostrarmi le tue attenzioni?"

"Volevo solo metterti in guardia, adesso che il tuo faccino è scoperto."

Goethe fece quattro scattanti volteggi all'indietro, mostrò un ghigno provocatorio e rilassò i muscoli. Mi puntò l'indice contro e disse: "Fammi vedere che sai fare! Tu parli troppo per i miei gusti".

A quel punto contrasse le braccia davanti al busto, una gamba più avanti dell'altra ed entrambe flesse, i pugni a coprire il volto. Sentivo il sudore sulla pelle, il desiderio di fargli del male. Il corpo rispondeva bene alla nuova gravità; perlomeno era questa la sensazione che mi trasmetteva. Forse non sarei ancora riuscito a fare grandi movimenti, se non altro non percepivo più la brutale pesantezza dei muscoli. Mi sarebbe bastato volare rasoterra e infliggergli uno dei miei pugni migliori per metterlo al tappeto.

"Se non vieni tu, lo farò io!" disse Goethe. "E ti assicuro che sarà peggio."

Mostrai un ghigno di disprezzo, poi feci esplodere l'aura color platino intorno al corpo. Contrassi i muscoli, inarcai in avanti la schiena, l'adrenalina scorreva nelle vene, staccai i piedi da terra e mi fiondai contro di lui; il busto flesso e il pugno sinistro pronto a spaccargli la mascella. Il cavaliere esplose in una grassa risata.

"Uuuh, che paura!" mi canzonò.

Provai imbarazzo. Quello che sarebbe dovuto essere un attacco fulmineo si trasformò in una sgradevole catastrofe. Mentre Goethe continuava a beffarsi di me, volavo rasoterra a una velocità irrisoria; dopo sei interminabili secondi, potei scagliare il mio pugno sulla sua faccia. Il risultato fu un movimento a effetto rallenty. Goethe non ebbe nemmeno bisogno di scansarsi, al contrario sospirò come fosse deluso e inibì il colpo dentro la sua mano. Serrò la presa, mi soffocò le dita fino a farmi urlare dal dolore, e sussurrò: "Adesso tocca di nuovo a me".

Con un'espressione spregevole mi afferrò il braccio disteso con tutte e due le mani, e prese a girare su se stesso come un uragano, tant'è che a un certo punto non vidi più la sua armatura, il suo viso. Sentivo la testa e il corpo divenire leggeri, privi di un peso, di attrito, liberi come l'aria.

"Fai un bel volo!" urlò con piena soddisfazione.

Goethe abbandonò la presa, volteggiai in alto nel cielo per metri e metri, precipitai al suolo come un macigno, scivolando lungo il pavimento di ghiaccio. Le fiamme evanescenti si arcuarono al mio passaggio e, quando per inerzia il mio corpo si fermò, rimasi per terra, indolenzito. Le braccia distese lontano dai fianchi e gli occhi rivolti al mantello di nuvolaglie acciaio scuro.

Se pensi di avere la vittoria in pugno, ti sbagli di grosso.

Fulmini e saette rosso sangue squarciavano il cielo bordeaux, il sole rigettava piccole palle di fuoco che precipitavano in diagonale sulla superficie della galassia. Lanciai un urlo di rabbia e tornai in piedi con un balzo. Le gambe vacillarono. Su mani e braccia correvano fitte di dolore. Feci un respiro profondo. A seguire piegai il collo a destra e a sinistra in modo da far scrocchiare le ossa, e saltellai sul posto.

"Ti sei rincretinito?" urlò Goethe, ridendo a crepapelle.

Il terzo cavaliere dell'apocalisse era distante quasi cento metri, ora; avrei avuto il tempo di ascoltare il mio corpo, riconoscere i miei limiti, abbatterli, prima della sua prossima mossa. Così provai a sferrare un pugno nel vuoto: il movimento fu rapido e deciso.

Ottimo! Più passa il tempo, più inconsciamente mi abituo alla forza di gravità e la mia forza cresce.

"Dovresti ringraziarmi per aver ridotto Lux in fin di vita" urlò Goethe. "Dopotutto le ho evitato di assistere a questo scempio."

Un miscuglio di adrenalina e ira appiccò un fuoco nel mio stomaco, nel petto, nel collo.

"Lux appartiene al Principe!" gridai a squarciagola.

Allargai le dita delle mani, chiusi gli occhi e sprofondai in uno stato di trance. Il ringhio del vento afoso scomparve insieme alla voce irritante di Goethe. Evocai l'elemento Aria e sprigionai l'aura color platino in una serie di scariche elettriche che mi avvolsero dalla testa ai piedi. Spalancai le palpebre e un'ondata di energia malvagia pulsò sottopelle.

"Hai detto bene" sbraitò il cavaliere. "Lux appartiene al Principe, oggi e sempre."

"In guardia!" urlai.

Spostai la gamba sinistra davanti al bacino flettendo il ginocchio, mentre l'altra rimase contratta e distesa dietro il tronco. La mano più forte chiusa a pugno lambiva il mento, quella destra copriva il viso. Le strinsi fino a far diventare le nocche bianche e digrignai i denti. Goethe fece uno sbuffo ironico.

"Ah! Di nuovo? Non avrò neppure il bisogno di parare il colpo, questa volta."

Non lasciai che le sue parole scalfissero la mia determinazione. Staccai i piedi dal pavimento e trasvolai rasoterra, le palpebre tese e i muscoli contratti. In un attimo mi ritrovai di fronte al mio avversario preso alla sprovvista; d'istinto Goethe incrociò le braccia davanti al volto e attese di incassare il montante. Fu allora che mi teletrasportai alle sue spalle. Il cavaliere emise un verso di stupore quando non sentì arrivare il colpo e, prima che potesse voltarsi, feci scorrere la mia energia vitale sui pugni e li tirai contro la sua armatura.

Goethe schizzò in avanti piroettando nell'aria senza controllo, poi crollò a terra e si udì un acuto strofinio assordante, che si strascicò per un paio di metri. Allentai la contrazione dei muscoli e smorzai l'aura platino.

Non avresti dovuto sottovalutarmi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top