Capitolo 64 - Addestramento Fuoco (R)



Stella di David - Giorno Uno

Andrea.

"Ancora non riesco a capire" dissi.

"Cosa?" Simone inclinò la testa di lato.

"Perché il Maestro ha voluto che fossi io il leader dei Dominatori del fuoco?"

"Forse perché sei l'unica donna." Giovanni assunse un'aria saccente.

"O forse perché te lo meritavi" disse Simone.

"Non lo so." Afferrai la mia testa tra le mani e la scossi. Le ciocche dei capelli fluttuarono sul petto. "Kephas avrebbe scelto te, Simone."

"Kephas non è il Messia." Simone mi rivolse un sorriso consolatorio.

"Cosa pensi che accadrà, adesso?" I miei occhi fissavano i suoi.

"Qualcosa che non abbiamo mai visto."

I minuti, le ore o i giorni erano trascorsi tra un misto di sensazioni contrastanti. A seguito di un allenamento dedicato al miglioramento dell'equilibrio statico e dinamico, e di un lungo sonno ristoratore, eravamo riusciti ad adattarci alla gravità cento della dimensione. L'unico problema, che infliggeva un senso di vuoto allo stomaco, era l'assenza di una qualsiasi disposizione da parte del Messia.

"Perché il Maestro non si fa sentire?" ripeteva Giovanni, camminando avanti e indietro con le braccia conserte e il viso imbronciato.

Il tempo scorreva immobile e, in balia delle nostre insicurezze, attendevamo di conoscere l'addestramento vero e proprio. Le luci dell'alba si nascondevano ancora dietro le montagne, esageratamente timide per affacciarsi al cielo. La stagione estiva sembrava da poco iniziata o forse appena finita.

Alzai gli occhi al cielo e ne scrutai l'azzurro; la mia schiena era poggiata al tronco di un albero di ciliegio e sulle scapole avvertivo il ruvido spessore della sua corteccia. I piedi erano in equilibrio sull'ombra di un ramo che si stendeva fiero verso la luce. Intorno a me, pareti di foglie multicolori creavano un'atmosfera ovattata, dove la penombra si animava di magico grazie ai timidi raggi del sole che filtravano dalle montagne. Presi a giocherellare con alcune ciliegie tra le dita, mentre la mente si cullava dei suoni ipnotici della natura... il fruscio del vento tra le foglie, il canto melodioso dei pettirossi.

Perché il Maestro non si fa sentire?

Lanciai uno sguardo all'orizzonte e un brivido mi elettrizzò dalla testa ai piedi. La parte più a nord era una linea rossa dipinta dai papaveri che sfumava nell'arancione dei tulipani. Scorrendo verso ovest seguiva un'area gialla colma di girasoli che confinava con quella verde dei trifogli. L'indaco delle ortensie, il viola della lavanda e l'azzurro dei fiordalisi completavano lo spettacolo a est.

Alle mie spalle, lì dove era scomparso il portale dimensionale, era tutto nero. Quel posto incuteva timore, sembrava privo di materia, buio, nullo. Nel mentre Giovanni continuava a calpestare il terreno con le braccia conserte e un'espressione immusonita; Simone volava nel cielo inseguendo gli uccelli più veloci. Sollevai gli angoli della bocca.

Chi lo avrebbe mai immaginato che le nostre avventure, fatte di gioie, inganni e dolore, fossero solo l'inizio di tutto? Che un giorno ci saremmo ritrovati a combattere la battaglia più grande di tutti i tempi?

"Mi sentite?" domandò a un tratto il figlio di Dio, attivando la comunicazione telepatica.

"Maestro!" esclamai con il pensiero, sussultando. "Dov'eri finito?"

"Vi stavo osservando."

Le sue parole risuonarono nella mia mente con una profondità unica. Mi levai in piedi, lasciando rotolare sul prato le ultime ciliegie che avevo in mano, e osservai il volto di Giovanni: un lieve sorriso aveva preso il posto del broncio. Gli feci segno di avvicinarsi, poi agitai le braccia guardando in alto.

"Era ora!" urlò Simone, scendendo in picchiata.

Come un meteorite la sua aura si illuminò di un colore porpora acceso, lasciando dietro di sé una scia bianca nebulosa.

"Ti sento forte e chiaro, Maestro" disse Giovanni, giunto al mio fianco con uno scatto.

Un tonfo fragoroso e una raffica di vento seguirono l'atterraggio di Simone.

Schiusi le labbra e dissi: "Maestro, il tempo qui sembra immobile. Come è possibile?".

"Semplicemente perché non siete abituati a vivere in una dimensione dove le leggi dello spazio-tempo discordano da quelle terrestri."

"Ma quanto tempo è passato dal nostro arrivo?"

"Duecentotrenta giorni."

Incrociai lo sguardo dei miei fratelli con gli occhi sgranati. Giovanni era sbiancato in viso, Simone mascherava lo stupore. Scossi la testa, passandomi una mano sui capelli.

"Duecentotrenta giorni, hai detto?"

"Sì!" rispose con aria fastidiosamente tranquilla. "Adesso dovrete affinare la vostra tecnica."

Rimasi interdetta. Non riuscivo a credere alle parole del Maestro. Avevamo speso la maggior parte del tempo ad abituarci alla gravità cento. Abbassai lo sguardo verso terra e Simone poggiò una mano sulla mia spalla.

"Ce la faremo, Andrea" mi disse con un filo di voce. "Alessio e Sofia ci stanno osservando dall'aldilà terrestre. Loro credono in noi."

Distesi gli angoli della bocca in un sorriso malinconico; sollevai la testa e i suoi grandi occhi castani infusero speranza ai miei. Affettuosamente strinsi il suo braccio con una mano e attivai il contatto telepatico con il Messia.

"Maestro!" esclamai. "Cosa ci aspetta, adesso?"

"Dovrete risvegliare la forza che giace dentro di voi, imparare a usarla e controllarla in condizioni avverse. Ci saranno due prove, ognuna di queste vi aiuterà a plasmare la natura con l'ausilio del vostro elemento, il fuoco. Al termine dell'addestramento, l'energia che risiede in voi sprigionerà un potente grido nell'universo, e ogni creazione di Dio acclamerà il vostro avvento."

Un brivido di eccitazione mi attraversò la pelle.

"Quale sarà la prima prova?" domandai, impaziente.

"Lo scoprirete presto."

All'improvviso, alle mie spalle, un frastuono reboante si levò al cielo. Il suolo tremò, si spaccò in delle crepe sottili, e un'enorme giungla emerse dal nulla lì dove prima era tutto nero e il portale era scomparso. Sopra le nostre teste, un corvo sbatté le sue ali con un verso stridulo e si diresse verso quello sfarzo di natura apparso come per magia. Una strana sensazione, seguita dalla pelle d'oca, mi suggerì che avremmo dovuto seguirlo. Incrociai lo sguardo dei miei fratelli e, dopo un cenno d'intesa, sfrecciammo come uccelli nell'aria, atterrando dinanzi al muro verde scuro e marrone della giungla. Il corvo scomparve al di là dell'ingresso.

Tre rintocchi secchi svanirono in fretta nel mistero dell'alta e fitta vegetazione. Il sibilo del vento si spostava tra i rami degli alberi secolari, il sole faceva fatica a oltrepassare la cupola verdeggiante, mammiferi di ogni specie e dimensione si muovevano con passo felpato; le loro sagome sbucavano per un attimo nella semioscurità del sottosuolo, poi sfumavano. Il cielo si riempì di dense nuvole plumbee.

"Beh!" esclamò Simone. "Ecco la prima prova. Chi vuole andare per primo?"

Nessuno rispose. Giovanni si sistemò gli occhiali sul naso e deglutì la saliva rumorosamente, mentre distoglievo lo sguardo altrove fischiettando. A quel punto Simone fece un sospiro e si addentrò nella foresta, e così lo seguimmo. Adesso l'aria era satura di umidità, goccioline di sudore si formavano sulla pelle. Da dentro, la selva sembrava ancora più buia, e il sottobosco era colmo di felci giganti, piante legnose e fusti sottili e allungati.

"Cosa mai ci sarà da fare qui dentro?" brontolò Giovanni.

Lo guardai di sbieco, l'indice teso davanti al naso. "Ssht."

All'improvviso un inquietante fruscio, simile allo strofinio di un fiammifero, si fece strada attraverso le foglie. Ci fermammo di colpo. La quiete si capovolse in un battito di ciglia. Gli occhi si accesero di rosso e un serpente incandescente si aizzò tra gli arbusti. Gli animali guairono, ulularono e calpestarono la terra come una mandria imbufalita. I rami degli alberi secolari andavano piegandosi, crepitando pietà.

"Presto!" urlai, assalita da un principio di panico. "Saliamo in cielo!"

I miei fratelli si voltarono verso di me e annuirono. Dunque affondammo i piedi per terra e schizzammo come tre fulmini nel cielo. Il colore grigiastro del fumo travolgeva il verde della natura e saliva nelle narici.

"Cosa state aspettando?" chiese il figlio di Dio, riattivando la connessione telepatica. "Presto! Assorbite quelle fiamme e salvate la giungla e i suoi abitanti."

Il paesaggio fu travolto da una folata di vento. L'inferno crebbe sotto di noi, cibandosi della selva. Guardai Simone, poi Giovanni; avrei voluto capirci di più, ma non c'era più tempo. Quindi chiusi gli occhi e meditai. I rumori si ammutolirono e tutto intorno a me si spense. Nella mia mente apparve una piccola fiamma che si mise a danzare nello spazio nero del pensiero. Mi trasmise sicurezza, coraggio, orgoglio.

L'adrenalina adesso mi bruciava nelle vene e l'immagine della giungla, schiava del gigante serpente di fuoco, aveva preso il posto della piccola fiamma. Il rettile rosso sembrava imbufalito, titanico, insaziabile. Distesi i palmi delle mani e li rivolsi verso il basso, mentre il calore dell'incendio mi sfiorava i piedi e grosse gocce di sudore rotolavano giù dalla fronte. Lasciai che i miei sensi vibrassero in subbuglio ed evocai l'elemento color porpora dell'universo, sprigionando un'aura fulminante.

L'energia vitale del fuoco scorse nei vasi sanguigni, attraversò l'intero corpo e sfociò nelle mani in un'unica soluzione. Solo quando ebbi la certezza di essere in simbiosi con essa, spalancai gli occhi e cercai di assorbire l'incendio. Al mio fianco, nello stesso istante, sia Giovanni che Simone ripeterono i miei stessi movimenti. Tre flussi di energia luccicante crearono un ponte tra noi e la selva, e il gigante serpente rosso venne assorbito dai palmi delle nostre mani. La giungla tornò a splendere come ai suoi albori e gli animali rincasarono in marcia, intonando versi gloriosi.

"Ottimo lavoro!" esclamò il Messia.

A un tratto il sole scomparve sotto la linea immaginaria dell'orizzonte e l'alba fece posto al tramonto. Il suolo cominciò ad ondeggiare, vittima di un terremoto. Mi guardai intorno, senza riuscire a trattenere un gemito di paura; qualcosa stava per cambiare.

Un vortice d'aria aggredì i nostri corpi, facendoli roteare in aria per una dozzina di metri. Distesi braccia e gambe contraendo i muscoli, ripresi il controllo e lanciai uno sguardo verso il basso. Un sottile strato di energia si estese in maniera fulminea sopra la fitta foresta, trasformandola in un luogo inanimato. Gli alberi, le piante e gli animali erano congelati, le loro sagome colore acciaio.

"Quegli animali hanno bisogno di voi" disse il Messia telepaticamente. "Forza! Rispedite sulla giungla l'energia che avete assorbito, scongelandola con il fuoco che arde nelle vostre vene."

Mi voltai verso i miei fratelli e feci un cenno con la testa, determinata. Non era una missione difficile, ma pericolosa. Se solo avessimo rilasciato l'energia di colpo, l'addestramento si sarebbe trasformato in un dramma terrificante. Dunque aguzzai lo sguardo e mi concentrai. Il mio corpo era sospeso in aria, l'energia scorreva ancora ardente nei vasi sanguigni, la tensione mi stringeva lo stomaco in una morsa.

Distesi le braccia verso il basso, davanti ai fianchi, e rievocai l'elemento Fuoco. Come polvere di fata scese su di me, avvolgendomi della sua essenza impetuosa. Le mani si accesero come due torce infuocate, le affiancai e, insieme a miei fratelli, feci partire un flusso cilindrico di energia color porpora. I tre flussi si intrecciarono nella discesa verso la giungla, formando un ampio raggio incandescente. Lingue di fuoco estinsero il castigo glaciale che avvolgeva gli alberi, le piante e gli animali.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top