Capitolo 63 - Goethe vs Giuda (R)



Galassia Inferno - Giorno Uno

Kariot.

Astaroth espose le sue teorie sul futuro del massacro imminente. Una luce fioca scendeva dal lucernario aperto al centro del soffitto e rischiarava i contorni della sagoma maestosa che sedeva sul trono di marmo scuro. Tutto il resto era immerso nella semioscurità; dalle capsule di ibernazione ai condottieri di Satana. La donna, spogliata delle sue vesti e priva di sensi, era distesa supina ai piedi del trono, i capelli strinati e sparpagliati sotto la nuca.

Silenziosamente una scia di granelli luminosi fioccò dal lucernario e si depositò sul corpo di Lux. Le particelle di energia spirituale rimarginarono le squame rosso purpureo marchiate sulla sua pelle, facendola risplendere di una luce grigiastra, tra il bianco e il nero, tra il Bene e il Male. Il destino della donna era ancora incerto.

"Lei diverrà la Madre della nuova stirpe del Male" disse rauco il Principe.

"Sì, mio Signore!" esclamai con lo sguardo basso. "La donna è vostra, adesso. Astaroth dice che c'è una minima probabilità di fallimento, ma in tal caso nessuno oserebbe mai mettere piede sulla galassia Inferno, per venire a prendere la donna, intendo. Lux è vostra e di nessun altro."

Satana fece un sospiro lungo, profondo, rauco... e l'aria tremò.

"Questo luogo ti farà bene, Giuda. Ti aiuterà a crescere non solo fisicamente, ma anche spiritualmente."

Senza sollevare lo sguardo, feci un cenno con la testa e accennai un inchino rispettoso.

"Goethe!" esclamò Satana con voce tuonante.

"Mio Signore!" rispose il cavaliere dell'apocalisse, inginocchiandosi su una gamba.

Il lucernario lasciò trapelare i fischi pungenti del vento provenienti dall'esterno.

"Giuda non è ancora pronto per la battaglia, e gli apostoli di Dio non hanno ancora raggiunto l'antico Egitto. Addestralo come fosse un tuo discepolo e risveglia la sua rabbia."

I miei pensieri si contorsero come fiamme piegate da una tormenta e il volto di Goethe tramutò all'istante, probabilmente infastidito all'idea di dovermi allenare.

"Mio Signore!" esclamai, incrociando il suo sguardo. "Con tutto il rispetto che nutro per voi... non credo che Goethe possa insegnarmi qualcosa. Non sarebbe meglio Astaroth, con il quale condivido la padronanza dello stesso elemento?"

Il Principe tossì per mascherare una risata, mentre Goethe mi fissava con un'occhiata torva. Astaroth rimase impassibile in groppa al suo cavallo, che sbuffò accanto al trono infernale; si rivolse al terzo cavaliere dell'apocalisse e disse: "Non trattenerti con lui, è ancora troppo immaturo per affrontare una battaglia così importante. Riducilo in fin di vita, forse capirà".

Goethe mostrò un ghigno di godimento e si passò la lingua umida sulle labbra, come stesse assaporando un piatto succulento. Indossò l'elmo e salì in groppa al suo cavallo bianco. Lanciai uno sguardo truce all'angelo caduto e strinsi i pugni fino a sentire dolore alle dita.

"Due allenamenti..." meditò il Principe con voce sommessa. "Che ottima idea! Adesso vai con Goethe, così ho deciso e così sarà."

Abbassai lo sguardo, liberai l'aria trattenuta nei polmoni e schiusi i pugni, rassegnato.

"Seguirò il vostro volere, Maestro."

Goethe tirò le redini del suo cavallo e si diresse verso l'uscita. Il rumore degli zoccoli echeggiò lungo il corridoio. Accennai un inchino davanti al trono infernale, mi voltai di spalle e avanzai sul tappeto rosso di velluto cosparso di petali di rosa nera.

"Vuoi che vada con loro?" chiese Astaroth.

La sua voce vibrò tra le pareti della cattedrale gotica. Un lungo sospiro rauco si accodò a quella domanda.

"Non ce ne sarà bisogno" rispose il Principe. "Seguiremo lo scontro da qui."

Quelle parole mi fecero vacillare, il Maestro mi avrebbe osservato durante l'addestramento. Ma non avevo paura di sbagliare, sentivo solo un moto di rabbia pulsare nel cuore. Camminai a passo deciso lungo il corridoio, arazzi, sculture, l'odore acre della carta antica, particelle di polvere. Varcai il massiccio portone di legno e mi fermai al fianco di Goethe, sopra la passerella di marmo bordeaux. Lo sguardo fisso sulle fiamme evanescenti della galassia Inferno.

"Ti farò rimpiangere di avermi trattato con condiscendenza" disse.

Il cavaliere sostava immobile, in sella al suo cavallo. La testa reclinata e gli occhi al cielo.

"Ancora non comprendo perché devo perdere tempo con te" risposi.

Il portone alle mie spalle si chiuse con un sordo tonfo. Il cavallo prese un galoppo cadenzato e corto, e così avanzai al suo fianco con aria guardinga. Le fiamme guizzavano dal lucignolo delle candele nere disposte ai lati della passerella. Lo scalpitio degli zoccoli cessò.

"Ci alleneremo sul pavimento di ghiaccio" propose Goethe, fissandomi. "Le fiamme che lo ricoprono alimenteranno i nostri spiriti, rendendoli più forti e valorosi."

Dopo un attimo di esitazione, feci un cenno con la testa, accettando le sue condizioni. Dunque Goethe scese dalla sella, ordinò al suo cavallo di assistere allo scontro da quella posizione, poi si incamminò tra le evanescenti fiamme rosse, sopra la lastra gelida che conteneva le anime dannate. Il fuoco si piegò intorno al suo corpo.

"Cosa aspetti?" urlò, voltandosi.

Un vento di scirocco flagellò il paesaggio e sembrò ringhiare. Fulmini e saette color sangue squarciarono il cielo bordeaux, appannato da un mantello di nuvolaglie acciaio scuro. Serrai la mascella e scesi dalla passerella, ma all'improvviso mi ritrovai schiacciato al suolo, con la faccia incollata alla lastra di ghiaccio.

"Che spettacolo raccapricciante!" ridacchiò malignamente Goethe. "Forse avrei dovuto dirti che su quel pavimento la gravità è cento volte superiore a quella terrestre."

Sopportai lo scherno in silenzio e cercai di rialzarmi; spinsi le mani contro la lastra gelida, distesi le braccia, le gambe prive di mobilità, ma caddi di nuovo per terra violentemente. Sentivo ogni muscolo soffocare, il dolore delle ossa calpestate. Era bastato poggiare i piedi al suolo per esservi inghiottito come una calamita.

"Hai intenzione di fare un sonnellino o vuoi ancora combattere?" chiese Goethe con tono provocatorio.

Furioso, riprovai a sollevarmi da terra, cercando di spingere verso l'alto ogni muscolo del corpo. Dopo una serie di movimenti lenti e macchinosi, ebbi successo. Le gambe vacillavano, la schiena era inarcata in avanti come se avessi un peso legato al collo, il respiro affannoso. Il cuore galoppava dentro al petto, il sudore scendeva a grappoli fastidiosamente.

"Cosa significa tutto ciò?" ansimai.

"Che sei ancora troppo debole!" rispose Goethe.

Il cavaliere si teletrasportò in un baleno a un passo da me, e mi affondò un pugno nello stomaco. Mi piegai d'istinto, il fiato si spezzò, la bocca si aprì in un'espressione di dolore. Caddi nuovamente per terra, con le braccia a coprire il ventre.

"Te lo avevo detto..." bisbigliò. "Ti farò rimpiangere di avermi trattato con condiscendenza."

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top