Capitolo 57 - Stella di David (R)



Kephas.

"Maestro!" sussultò Giacomino, con gli occhi strabuzzati. "Sarebbe questo il luogo in cui hai vissuto finora?"

Al termine del viaggio dimensionale, ci eravamo materializzati in fila indiana in un posto increscioso, gelido, umido, somigliante a una cella frigorifera rocciosa.

"Non essere sciocco, Giacomo il minore" rispose il Messia. "Sii paziente e tieni per te il tuo sarcasmo."

Giacomino sogghignò e Simone gli diede uno scappellotto che lo fece ammutolire all'istante; eppure dalla nostra posizione non si riusciva a vedere nient'altro che un lungo tunnel caratterizzato da sporgenze rocciose, stalattiti e stalagmiti. Il Maestro sollevò le sopracciglia e contorse le labbra in una smorfia.

"Pietro, cosa aspetti?" mi domandò. "Guidaci verso l'uscita."

Fissai il Maestro con imbarazzo, poi guardai alle mie spalle con la coda dell'occhio; in quel momento mi accorsi di essere il primo della fila.

"Sì!" bisbigliai, dopo un attimo di esitazione.

Osservai la grotta ruotando le pupille; il tunnel era buio e si riusciva a malapena a scorgere l'uscita, una crepa di luce bianca avvolta dall'oscurità. Abbassai gli occhi; il sentiero di pietra lavica era ruvido e tortuoso, eroso dal vento e dall'acqua che gocciolava dalle stalattiti pendenti dalla volta. Brividi di stupore corsero lungo il corpo quando mi accorsi di indossare una tunica di lino platino, stretta ai fianchi da una spessa corda.

"Ma quando è avvenuto lo scambio dei vestiti?" domandò Tommaso dalle retrovie.

"Immagino durante il viaggio dimensionale" rispose Simone.

"A me piace!" affermò Andrea. "Mette in risalto le mie curve."

"A me no!" replicò Tommaso con un grugnito. "Mette in risalto la mia zona addominale."

Giacomino scoppiò in una risata sardonica e disse: "La tua pancia, tutt'al più!".

Allora Tommaso gli tappò la bocca con una mano e strillò: "Kephas, che aspetti ad andare?".

Distesi gli angoli della bocca fino a sollevarli in un sorriso, dunque presi a camminare verso l'uscita a passo lento, aggirando le stalagmiti che sbucavano come coni acuminati dal suolo. Il silenzio distorto dal gocciolio della volta rocciosa fu presto ricoperto dal rumore dei passi, poi dal respiro teso dei presenti. Dopo una dozzina di secondi inciampai per colpa della semioscurità e quasi caddi a terra, ebbene arrestai i passi e un'idea mi fulminò il cervello. Mi voltai e fissai coloro dalla tunica porpora.

"Perché ci guardi così?" domandò Giovanni, increspando le sopracciglia.

"Tu, Simone e Andrea siete dei Dominatori del fuoco" meditai ad alta voce. "Se riusciste a fare luce, potremmo vedere meglio dove mettiamo i piedi."

I miei fratelli drizzarono le orecchie, incuriositi.

"Gli stai chiedendo di trasformarsi in torce umane?" domandò Giacomino.

Aggrottai la fronte e scossi il capo.

"No! Anche una cosa più semplice andrà bene."

Il figlio di Dio picchiettò il suolo con la base tondeggiante del suo bastone e, con un lieve sorriso, esclamò: "Ce ne hai messo di tempo, Pietro!". Si voltò verso i Dominatori del fuoco e continuò: "Forza! Fate come vi ha detto".

Simone, Andrea e Giovanni si guardarono negli occhi; i loro sguardi manifestavano un senso di stupore, perplessità e insicurezza.

"Sapete come fare!" disse il Maestro. "La risposta è dentro di voi. Dovete crederci."

Incoraggiati da quelle parole, i Dominatori del fuoco portarono le mani davanti ai fianchi, con i palmi rivolti verso l'alto; chiusero le palpebre e fecero danzare le loro aure porpora lungo i contorni del corpo, dopodiché una fiamma dalla luce vermiglia apparve sopra ogni palmo.

"Ben fatto!" esclamò il figlio di Dio. "Continuate ad alimentare la fiamma con la vostra energia vitale, ed essa cesserà di esistere solo quando sarete voi a volerlo."

Con le braccia protese in avanti, Simone, Andrea e Giovanni si distribuirono lungo la fila e illuminarono la grotta; adesso le pareti sembravano cosparse di pietre preziose, le stalattiti brillavano e le stalagmiti non raffiguravano più un pericolo. Qualche minuto dopo eravamo fuori dal tunnel, ogni stravagante fantasia aveva lasciato il posto alla realtà e uno sconfinato paesaggio si mostrava terso dinnanzi ai nostri occhi.

"Benvenuti sulla Stella di David" esultò il figlio di Dio, e la sua voce echeggiò calda e solenne tra le valli.

Il cielo nero e vellutato era trapunto di piccole stelle luminose e da una luna piena avorio. Tutt'intorno era ghiacciato: gli alberi, i fiori, le montagne, le sinuose colline, i fiumi. La neve scendeva copiosa e dipingeva ogni forma spigolosa e arrotondata di bianco, mentre spirali di vento gelido spazzavano via il silenzio ovattato del paesaggio. A un tratto distinsi un altro rumore all'orizzonte; le acque di un fiume scorrevano fumanti e gorgoglianti, come se al di sotto vi fosse la camera magmatica di un vulcano predisposta per effondere un po' di calore. Restai immobile a fissarlo, poi mi girai intorno e un senso di malinconia mi tormentò lo stomaco.

"Maestro..." sussurrai.

"Dimmi, Pietro."

"Questo posto è bellissimo, ma... sembra tutto così freddo e privo di vita."

"È proprio quello che sembra, allora."

"Perché? Perché non rendere questo pianeta simile alla Terra?"

"Questo doveva essere solo un luogo di contemplazione, Pietro, e così è stato."

"E da oggi cosa sarà?"

"Niente più di quello che è stato, com'è giusto che sia. Esiste un solo pianeta Terra, Dio ha voluto così e così sarà; inoltre per dare vita a un altro pianeta, senza scombussolare l'equilibrio cosmico, dovrei generare un'altra galassia, e per generare un'altra galassia dovrei sacrificare la mia stessa vita, giacché la mia energia vitale si esaurirebbe per lo sforzo."

Lo guardai con aria indagatrice; nei suoi occhi scorrevano fiumi di gioia e di malinconia, i ricordi di un passato zeppo di luce e oscurità. Segreti di cui forse non avrei mai fatto parte.

"È tempo di riposare!" esclamò il Maestro d'un tratto.

Egli sollevò e protese in avanti il bastone, indicando una piccola casetta di legno immersa nella neve, accanto a una legnaia. Una passerella traballante, incrostata di ghiaccio, con una ringhiera dall'aspetto fragile si protendeva su un laghetto gelato e permetteva l'accesso alla piccola dimora. Il figlio di Dio prese a camminare in direzione della casetta, affondando il bastone nella neve a ogni passo. Avrei dovuto seguirlo, così come avevano già cominciato a fare il resto dei miei fratelli, ma una serie di brutti pensieri mi avevano paralizzato gli arti.

"Maestro!" urlai. "Che fine hanno fatto Giuda e Lux? Cosa ci nascondi? Che intenzioni ha Satana?"

Il figlio di Dio arrestò i suoi passi, ma non si voltò a guardarmi. I miei fratelli, immobili sulla neve, fissavano le spalle del Messia. L'ultimo calpestio risuonò amaro nell'aria, e il silenzio sembrò pervadere ogni molecola dell'atmosfera.

"È tempo di riposare!" ribadì il Maestro.

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