Capitolo 56 - Il principe del Male (R)



Kariot.

Da fuori, l'architettura della dimora del Principe, una filigrana simile a merletti, appariva come il frutto di tanta magnificenza. Un luogo molto antico, una fortezza dalla struttura squadrata, impreziosita da un campanile spigoloso che sembrava infilzare il cielo. Le varie facciate, verniciate di nero lucido, erano adornate da una serie di lucernari con le coperture a spiovente. Profili di creature angeliche e demoniache, impegnati nella guerra primordiale, erano stati incisi nel legno massiccio del portone.

Allungai la mano e feci per toccarlo, e non appena lo sfiorai questo si aprì da solo verso l'interno, cigolando. L'odore acre della carta antica, sofferente per il caldo e l'umidità atmosferica, mescolato al pizzicore della polvere salì su per le narici, e respirai a pieni polmoni. Una luce soffusa di mistici silenzi pioveva dalle vetrate incuneate nelle pareti; Goethe varcò l'ingresso in groppa al suo cavallo, il rumore secco e squillante degli zoccoli vibrava nell'aria, così procedetti al suo fianco.

Ai lati del corridoio di marmo scuro vi erano vecchie sculture in stile gotico ritraenti gli eredi nascituri della stirpe del Male, scaffali pesanti di libri sacri e manoscritti di nozioni antiche, arazzi decorati da sontuosi ricami che illustravano l'universo primordiale. Era un luogo di estasi, di abissale contemplazione, di profonda e ineffabile malinconia. Tutto era in ordine e l'atmosfera era calda e accogliente.

All'improvviso sussultai; dei brividi mi tormentarono la schiena, le braccia, il collo, le guance, e la visione apparsami davanti agli occhi mi tolse il respiro. Arrestai i passi e sgranai gli occhi, intanto che Goethe procedeva. Un tappeto rosso di velluto cosparso di petali di rosa nera si allungava tra la foschia di una stanza semibuia; lungo le pareti erano disposte, verticalmente, una schiera di capsule di ibernazione contenenti gli angeli caduti. A un tratto una luce fioca cadde da un lucernario aperto al centro del soffitto e rischiarò i contorni di una sagoma seduta su un trono di marmo scuro.

"Vieni avanti!" esclamò una voce solenne.

Inebriato da quel suono vibrante avanzai con passo ansioso fino ad arrivare dinnanzi a Satana, principe del Male. La prima cosa che balzarono ai miei occhi furono le spesse catene di energia pura, forgiate dal potere di Dio, che stringevano il suo corpo al trono. Nel silenzio dello stupore, un sospiro lungo, profondo e rauco fece tremare l'aria.

"Sei qui, Giuda" pronunciò Satana con un colpo di tosse secca.

Trattenni un verso di meraviglia. Le sue sembianze erano pressoché uguali a quelle umane tranne che per la statura, che si aggirava intorno ai tre metri di altezza.

"Sono onorato di essere al vostro cospetto, Maestro!" risposi, sentendo farsi strada sulle guance il tipico rossore dell'emozione.

I suoi occhi rosso fuoco erano sovrastati da folte sopracciglia grigie; la fronte alta, la forma delicata delle palpebre, e i lisci capelli candidi, raccolti dietro la nuca in una coda di cavallo che toccava terra, gli conferivano un'espressione intensa e perspicace. Qualche ciuffo ribelle cadeva spettinato sulle spalle e lasciava intravedere due orecchie appuntite, decorate da una fila di orecchini d'oro.

La pelle era di un colore ambrato e metteva in risalto il viso logoro condannato alla vecchiaia. Al contrario, gli angeli caduti, ibernati nelle loro capsule, non sembravano invecchiati affatto; la circostanza mi indusse a pensare che il castigo di Dio era stato stratificato su più livelli: per Satana, Principe del male, la condanna sarebbe stata quella di vedere marcire la sua smisurata bellezza giorno dopo giorno, per l'eternità.

"Cosa significa questo sguardo, Giuda?" chiese il Maestro. "Non ti aspettavi che il tuo Principe fosse un vecchio flaccido denutrito, incatenato su un trono di marmo?"

"No, Maestro!" risposi chinando il volto. "Posso assicurarvi che la devozione che nutro nei confronti della vostra magnifica maestà, da quando ho messo piede in questa stanza, è aumentata senza alcun dubbio."

Satana emise un brontolio sommesso nel fondo della gola in una sorta di stato meditativo.

"Mi aspetto grandi cose da te, Giuda. Non tradire la mia fiducia."

"Non succederà, Maestro. Farò tutto il possibile per non deludervi, ve lo garantisco."

A quel punto Goethe, al mio fianco, scese dalla sella con un balzo, afferrò il corpo di Lux ancora privo di sensi e lo distese supino ai piedi del trono. Dopodiché si sfilò l'elmo dalla testa, si inginocchiò su una gamba e disse: "Signore, ho fatto tutto ciò che mi è stato richiesto. La Madre deve ancora assorbire molta energia, ma durante l'iniziazione del processo avvenuto sulla Terra il corpo ha reagito perfettamente. Spero di avere soddisfatto appieno le sue esigenze, il suo giudizio sarà per me grande fonte di saggezza."

Il lucernario lasciò trapelare i fischi del vento provenienti dall'esterno, che si quietarono nel giro di qualche secondo.

"Hai fatto un buon lavoro, Goethe" proferì il Principe. "Tuttavia non è ancora abbastanza."

I miei pensieri guizzarono come fiamme spinte dal vento quando vidi apparire una smorfia di terrore puro sul volto di Goethe. Il cavaliere fece un respiro strozzato e dalla semioscurità, alle spalle di Satana, apparve una figura in sella a un maestoso cavallo verdastro: era Astaroth, angelo caduto e braccio destro del principe del Male. La sua capsula d'ibernazione era l'unica aperta e impolverata.

Il rumore degli zoccoli echeggiò nella stanza e contai sei passi, dopodiché la luce fioca che cadeva dal lucernario rischiarò un'armatura nera d'acciaio, dotata di un elmo che non lasciava trasparire nulla. Come me, Astaroth era un Dominatore dell'aria, e inoltre possedeva la capacità di prevedere il futuro.

Egli rivolse lo sguardo a Goethe e disse: "Come avevo tristemente ipotizzato, la linea del tempo ha subito numerose oscillazioni a seguito del viaggio nel passato remoto degli apostoli. Mi duole ammettere che le mie previsioni si stanno rivelando sempre più incongruenti con la realtà tangibile, ma d'altro canto non è stata mia l'idea di spedire gli apostoli nell'era Mesozoica, idea dalla quale mi ero distaccato freddamente. Per farla breve, Goethe, gli apostoli hanno incontrato il Messia prima del previsto, e molto probabilmente stanno già affinando le loro abilità sulla famosa, quanto introvabile, stella di David".

Trattenni un verso di stupore, poi Goethe si sollevò da terra e strinse i pugni con un ringhio. Le palpebre tese e gli occhi fissi su Astaroth.

"Pensavo fossero rimasti in quell'era sperduta per molto più tempo!" esclamò.

L'angelo caduto scese dal suo cavallo verdastro con un balzo deciso ed elegante, si sistemò l'armatura e disse: "Tuttavia c'era da aspettarselo. Il Messia ha previsto in anticipo le nostre mosse e ha trovato il modo di creare una via di fuga per i suoi figli. Dunque, adesso, saremo costretti a cambiare il nostro piano".

"Quegli inutili pescatori!" sbottò Goethe. "Come faremo adesso?"

"Troveremo una soluzione" rispose di rimando Astaroth.

Il terzo cavaliere dell'apocalisse si inginocchiò nuovamente su una gamba ai piedi del trono e, dopo un lungo sospiro che affievolì in parte il rossore sul volto, chiese: "Mio Signore, qual è il suo volere?".

Satana emise un lamento ovattato nel fondo della gola in uno stato di trance; chiuse gli occhi e abbassò il mento sul petto. Le mani fremevano. I fischi del vento provenienti dall'esterno riempirono il silenzio per una dozzina di secondi, poi il Principe schiuse le palpebre e fissò la sua donna.

"Faremo quello che sappiamo fare meglio" bisbigliò rauco. "Infliggere sofferenza."

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