Capitolo 55 - Galassia Inferno (R)



Giuda.

I riflessi luminosi delle continue scariche elettriche e delle fiamme dorate, che soggiogavano i contorni del portale dimensionale, sedussero la mia anima che, attratta dalla malvagità della galassia Inferno, non vedeva l'ora di giungere dinnanzi al trono del sovrano del Male. Dunque attraversai il varco plasmato da Goethe subito dopo di lui, ed entrambi ci materializzammo a casa, in qualche punto del cielo. Dopodiché il portale si chiuse alle mie spalle, e una linea sottile e argentea si estese da una parte all'altra dell'orizzonte, per poi sfumare nel nulla.

Caldo e afoso era il 'luogo del peccato', così soprannominato dal Padre Onnipotente, in cui la desolazione e il silenzio di qualsiasi forma vitale lasciavano trapelare ben poco, a primo impatto. Goethe strattonò le redini del cavallo come per volare verso terra, ma gli afferrai il braccio con uno scatto. Egli sospese le sue intenzioni e mi fissò con la coda dell'occhio.

"Cosa c'è?" biascicò.

"So che questa è la mia casa" mormorai. "Eppure non ho alcun ricordo di questo posto. Perché?"

"Attualmente, i tuoi ricordi sono le quattro leggi che hai stampate dentro la testa" rispose con un tono di stizza. "Satana possiede la nostra mente. Egli può decidere cosa dobbiamo pensare e ricordare in ogni momento della nostra esistenza; questo è il destino dei cavalieri dell'apocalisse e anche il tuo."

Allentai la presa dal suo braccio e mi voltai intorno.

"Sono soddisfatto!" dissi con noncuranza.

Un vento di scirocco flagellava il paesaggio e sembrava ringhiare a ogni frustata soffocante, fulmini e saette rosso sangue squarciavano il cielo bordeaux, ottenebrato da un mantello di nuvolaglie acciaio scuro, ma nessun tuono li susseguiva.

"Quanto più sarai fedele al Principe, tanto più sarai libero di pensare e ricordare" concluse Goethe.

In basso, il suolo era formato da un pavimento di ghiaccio che si estendeva per l'intera galassia, ricoperto da schiere di evanescenti fiamme rosse, alte un metro. Sotto la superficie della lastra gelida giacevano tutte le anime che nel corso dei millenni erano state giudicate incapaci da Osiride, sovrano e giudice imparziale del Regno dei morti.

In alto, all'orizzonte, un sole tre volte più grande di quello presente nel braccio di Orione della Via Lattea rigettava piccole palle di fuoco; esse precipitavano in diagonale sul pavimento di ghiaccio, slittavano e alimentavano di continuo le fiamme rosse. Così come il sole, il loro nucleo era nero, la zona radiativa rosso corallo, e la corona violacea. Goethe sollevò il braccio e indicò un punto all'orizzonte.

"Vedi quella cattedrale gotica lì in fondo?" mi domandò con tono sereno.

Rivolsi lo sguardo nel luogo da lui indicato e un brivido mi fece venire la pelle d'oca. Gli occhi pieni di stupore.

"Sì!" risposi.

"Quella è la dimora di Satana, principe del Male. È li che ci sta aspettando."

Quando Goethe finì di parlare, uno scenario pieno di colori caldi mi accarezzò la mente e, priva del mio consenso, la ragione annegò in un luogo lontano anni luce. Una campagna assolata e silenziosa affollava l'orizzonte verso est, e gli alberi svettavano alti nel cielo azzurro. A ovest, i raggi del sole si specchiavano su un laghetto, la cui superficie sembrava una lastra di colori accecanti. Piombai in piedi sopra un deserto e all'improvviso un'ombra scese in picchiata dal cielo, schizzò sopra la sabbia e si fermò davanti ai miei occhi. Sembrava un uomo invisibile avvolto da un'aura nera e luminosa.

"Giuda!" esclamò con un tono di voce grave ed echeggiante. "Ho solo poco tempo o lui mi scoprirà! Non potevamo fare altrimenti, pensavamo fosse la cosa giusta, eravamo tutti d'accordo; io, Osiride, il Messia. Solo adesso comincio a dubitare. Vorrei poterti spiegare le mie ragioni, ma non c'è tempo; sappi che sei vittima di un disegno complesso, di un destino che potrebbe vedere la tua morte. Puoi ancora salvarti, ma devi riprendere a ogni costo il controllo della tua mente. Sii fedele al Principe, ma non lasciarti soggiogare dal Male."

Provai un senso di stordimento. La testa prese a girare e le palpebre si chiusero senza il mio assenso, affaticate. In quell'istante mi sembrò di coesistere in due realtà opposte, entrambe palpabili.

"Chi sei?" domandai con la forza del pensiero.

"Sono il vecchio prete!" esclamò.

Egli si smaterializzò a seguito di una folata di vento torrida, così come il luogo lontano anni luce. Quando sgranai gli occhi, notai che Goethe mi stava fissando.

"Hai bisbigliato!" mi disse. "Con chi stavi parlando?"

"Con nessuno!" risposi di getto.

Il cavaliere mi osservò e mugugnò qualcosa di incomprensibile. Poi gettò lo sguardo davanti a sé, tra le fiamme.

"Miliardi di anni fa, Dio privò Satana della sua libertà, imprigionandolo dentro quella cattedrale che vedi lì in fondo. Un tempo, questa galassia era un luogo inabitabile per qualsiasi essere inferiore agli angeli caduti, e se oggi siamo qui, lo dobbiamo al Principe. L'ira gli ha permesso di incrementare la sua forza psichica e riconquistare la libertà, la stessa che ha donato a te e al popolo della Terra. Io ero un semplice uomo, ma Satana mi ha concesso l'onore di diventare un Dominatore del fuoco e cavaliere dell'apocalisse. L'energia che senti scorrere nelle vene, la capacità di controllare l'aria, di volare, a te non è stata donata; era dentro il tuo cuore ancora prima che nascessi. Tu sei un Dominatore dell'aria, Giuda, lo sei sempre stato, e il Principe ti ha mostrato la verità. Se vinceremo la nostra battaglia, le sue leggi diventeranno i nuovi comandamenti da seguire e tramandare alle generazioni future, e saremo liberi."

Al termine di quelle parole, provai una sensazione di beatitudine. Dunque fissai la cattedrale gotica ubicata sopra la lastra di ghiaccio e notai che le evanescenti fiamme rosse, ardenti intorno alla struttura, la accarezzavano a ogni folata di vento. Eppure non la danneggiavano, come se entrambi vivessero un legame eterno e incorruttibile.

"Sai Goethe..." meditai a voce alta. "Non riesco a ricordarmi il suo volto."

Egli fece uno sbuffo sarcastico e si voltò verso di me.

"Non vuole che il suo viso venga ricordato" disse.

Aggrottai le sopracciglia e scossi la testa.

"Perché mai ci priva di un privilegio simile?"

Il cavaliere strattonò le redini del cavallo e, prima di volare verso terra, rispose: "Non essere impaziente. Lo vedrai con i tuoi stessi occhi".

Goethe scese in picchiata in sella al suo maestoso cavallo bianco, con Lux adagiata sul dorso dell'animale, quindi mi piazzai alle sue calcagna. Poco dopo atterrammo sopra una passerella di marmo bordeaux, allestita con una schiera di candele nere ai lati, le cui fiamme guizzavano dal lucignolo inestinguibile.

Camminai lungo la passerella alle spalle del cavaliere, dopodiché un portone di legno massiccio, dello stesso colore del marmo, frenò i nostri passi. Sollevai lo sguardo e rimasi incantato dalla sua mole; quell'ingresso era stato spettatore di dubbi, sfoghi e inganni, e aveva ascoltato taciturno il disegno che avrebbe inflitto sofferenza ai suoi oppositori.

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