Capitolo 44 - Nulla sarà più come prima (R)
Kephas.
"Se Goethe è un cavaliere dell'apocalisse, come faremo?"
L'aura celeste svanì, e il corpo di Federico tornò a essere pallido come un tempo. Nell'antichissima foresta, l'albero bianco come neve brillava nella penombra.
"Kephas!" sussurrò Andrea, al mio fianco. "Nulla sarà più come prima."
Mi voltai. Lisci capelli biondi scendevano sul petto prosperoso della gemella, arricciandosi verso la fine in corposi boccoli, e splendevano con la stessa intensità degli occhi. Provai un grande piacere nell'osservare i suoi zigomi pronunciati, le labbra sottili e delicate, il naso greco, la pelle rosea; ero felice.
"Raggiungere l'albero è volare!" dissi. "Restare fermi a porsi delle domande sarebbe come continuare a calpestare i pezzi del puzzle."
Andrea distolse lo sguardo dalla foresta e mi guardò negli occhi, mostrando un sorriso tenero. Fece un cenno con la testa, mi prese per mano e un fremito scosse entrambi. Giacomino diede un forte colpo di tosse, ma nessuno dei due si voltò a guardarlo.
"Kephas..." pronunciò, timidamente. "La tua era un'altra metafora, vero?"
Egli non ricevette risposta, e il silenzio fu interrotto da un verso di stupore.
"Ehi!" esclamò Tommaso. "Dove sono finite le nostre cose?"
Mi girai con uno scatto, abbandonando la mano di Andrea. Gli zaini erano spariti, e con essi le medicine, gli alimenti e le bevande. Anche le armi erano scomparse.
"Niente domande!" strillò Andrea. "Abbiamo detto niente domande."
"Dobbiamo reagire!" rinforzò Simone. "Volare, non più calpestare."
Giacomino agitò le braccia, confuso. Gli angoli della bocca piegati verso il basso.
"Ma che significa?"
Giacomo gli si avvicinò da dietro e gli diede uno scappellotto.
"Significa che dobbiamo andare. Raggiungere quell'albero, aprire quella porta e vedere dove ci porterà."
Alberi fioriti, schiere di viola acceso, giallo squillante e azzurro apparvero magicamente chiassosi nella foresta; lungo il sentiero che portava al fiume, il sottobosco venne invaso da papaveri, fiordalisi, margherite e campanule. Simone si caricò in spalla il corpo di Federico e fece strada verso l'albero bianco, che adesso era talmente lontano da sembrare una stella.
"Andiamo!" esclamò il militare.
Nastri di polvere giallastra, simile al polline, esplosero in aria dai formicai calpestati; si levarono al cielo come mulinelli e fioccarono adagio. Un clima generale di ottimismo si diffuse negli occhi dei presenti, come se la polvere colorata, ora sopra di noi, fosse in grado di intorpidire la paura. Sul far della sera, il cielo si dipinse di blu oltremare, ma i colori caldi del tramonto tardavano a svanire, e quindi erano numerose le venature violacee.
"Andrà tutto bene" pensai ad alta voce. "Andrà tutto bene."
Camminammo schivando papaveri, fiordalisi, margherite e campanule, troppo incantevoli per essere rovinati, ma d'un tratto il manto colorato divenne fittissimo e fu impossibile aggirarli. Non appena Simone, il capofila, calpestò il primo papavero, una stella cadente rosso fuoco attraversò la volta celeste, scese in picchiata e scomparve all'orizzonte, lasciando dietro di sé una granulosa scia bianca. Il sibilo che produsse mi fece tremare il cuore, e fu simile al rombo di un aereo fuori controllo. Un'esplosione echeggiò lontana.
"Mio Dio!" sussultai.
Mi voltai verso Andrea. Il suo sguardo era inquieto, sconvolto, non più inalterabile alla paura. Mi fissò con gli occhi sgranati, la bocca aperta, le labbra tremanti, poi si girò intorno. Scossi la testa e mi diedi degli schiaffi sul viso, prima con la mano destra, poi con la sinistra. Le palpebre assalite da un ticchettio fastidioso.
"Quel polline ci ha drogati tutti!" disse Giacomino.
Simone si sistemò il corpo di Federico sulla spalla, perse l'equilibrio e calpestò una margherita. A seguire un piccolo meteorite bianchissimo brillò alle nostre spalle, scese dal cielo a tutta velocità, lo squarciò con una linea retta di fumo nero, produsse il fragore del tuono ed esplose nella foresta incantata. I lamenti acuti di alcuni dinosauri giunsero a noi lancinanti.
"Dobbiamo raggiungere quell'albero!" urlai, e la mia voce sembrò rimbombarmi nelle orecchie.
"Ma così calpesteremo tutti i fiori!" tuonò Giacomo.
"Sarà l'estinzione dei dinosauri..." bisbigliò Andrea.
All'improvviso, in mezzo ai nostri corpi, una porzione circolare del suolo divenne bordeaux; i granelli di terra cedettero, i fiori e i formicai vennero risucchiati, e si formò una profonda voragine vorticosa. Seguì un terremoto fortissimo, e ognuno di noi fece leva sull'altro formando un cerchio barcollante, ma i più deboli trascinarono tutti per terra.
Una gigantesca gemma verde smeraldo emerse dalla voragine, e al suo interno brillavano i colori dell'arcobaleno. La terra smise di sgretolarsi dopo qualche secondo, poi si solidificò intorno alla base dell'oggetto misterioso, e il terremoto si placò di colpo.
Lanciai uno sguardo sbigottito ad Andrea, a Simone, a Giacomo, e nessuno di loro ebbe la capacità di pronunciare una parola. Le labbra aperte appena e le palpebre immobili. Mi alzai in piedi, la schiena ingobbita, i muscoli delle gambe in contrazione, attratto dallo splendore di quella pietra piena di spigoli e baie di luce. Feci un piccolo passo, allungai la testa, le mani fremettero per il desiderio di toccarla. Undici volti incuriositi spiccavano sopra la gemma luminosa.
"Ma..." balbettai. "Ma questi siamo noi!"
Angoscianti segni profondi erano intagliati su di essa, e raffiguravano dodici uomini inginocchiati a formare un cerchio, attorno a un uomo ritto in piedi con le mani rivolte al cielo. Un'aura a più strati color platino, porpora, cobalto e bronzo rischiarava i contorni del suo corpo.
"Sì!" sospirò Andrea. "Siamo noi."
"E quello è Kariot!" disse Giacomino.
"Chi sarà l'uomo al centro?" chiese Tommaso.
Ognuno di noi scrutò con attenzione le figure intagliate nella pietra preziosa. Provai una strana sensazione di appartenenza, di benessere fisico e mentale. Allungai la mano sopra la gemma strofinandola sul ritratto del mio viso, poi ognuno, ammaliato da quei disegni, seguì il mio gesto imitandone i movimenti.
"Cristo Santo!" sbottai.
La pietra verde smeraldo sprigionò un campo magnetico che ci scaraventò sul terreno, a una distanza di circa dieci metri da essa. Non ebbi nemmeno il tempo di rialzarmi da terra, che la gemma prese a levitare a mezz'aria, e schizzò sull'erba in direzione del fiume. L'attrito incenerì gran parte dei papaveri, dei fiordalisi, delle margherite e delle campanule, e prima di travolgere la porta disegnata sul tronco del rigoglioso albero bianco, curvò la sua traiettoria e guizzò in cielo.
"È la fine!" farfugliai, aggredito dal panico.
La gemma scomparve. Stelle cadenti dai colori platino, porpora, cobalto e bronzo squarciarono l'ultimo spicchio di tramonto, piombarono sulla foresta e deflagrarono con un boato terrificante. Le infinite esplosioni fecero tremare la terra, crollare gli alberi, creare profondi crateri, guaire gli animali preistorici. Presto o tardi, la pioggia di meteoriti avrebbe disintegrato anche noi.
"Dobbiamo correre!" urlò Simone. "Via! Via!"
Il cuore batté all'impazzata, le gambe tremarono, e le parole uscirono tartagliate.
"L'albero. La porta. Andiamo."
Così corremmo. Le esplosioni vicine ci facevano balzare al suolo. Ci rialzavamo, insanguinati, e riprendevamo a muoverci. I piedi si staccavano appena da terra, le scarpe strappavano gli steli d'erba; inciampavamo, barcollavamo, spiccavamo il volo e il corpo si schiantava contro la terra dura, nel migliore dei casi, o contro i ciottoli spezzati, nel peggiore. Le braccia e le gambe ricoperti di tagli purpurei.
Iniziai a sudare freddo. La mente turbata dal panico, la vista annebbiata, la paura che il gigantesco albero bianco fosse solo un miraggio. Correvamo, pestavamo i fiori che la gemma non era riuscita a incenerire, confusi dall'angoscia, e altri meteoriti precipitavano tutt'intorno.
Saltammo i tronchi d'albero abbattuti, incespicammo sulle radici sradicate del sottosuolo, schivammo i rami acuminati che sbucavano dal terreno. Poi apparve il fiume davanti ai nostri occhi, e alle spalle il rigoglioso albero bianco come neve. Attraversammo il corso d'acqua passando sopra il sentiero di ciottoli che rallentava la corrente, e giungemmo davanti la porta intagliata nel tronco. Feci per aprirla girando un pomello di legno, ed essa si spalancò con un lieve cigolio. Dentro, vi era buio pesto.
"Nulla sarà più come prima" pensai tra me e me.
"La paura può farti prigioniero, la speranza può renderti libero" sussurrò Andrea, alle mie spalle.
"Dobbiamo reagire!" urlò Giacomino, finalmente persuaso. "Volare, non più calpestare."
Dunque feci un passo avanti e caddi nel vuoto. Strinsi le braccia lungo i fianchi, accostai le gambe, chiusi gli occhi; divenni rigido come un bastone di legno. Emisi un urlo e pregai Dio di non sfracellarmi. Caddi a tutta velocità, e il vuoto sembrò interminabile. L'aria sapeva di muffa e decomposizione.
Spalancai una palpebra. Le pareti erano morbide, umide, e ovunque spuntavano radici sottili che mi schiaffeggiavano la faccia. Adesso le pareti erano dure e levigate, oleose e lucide. Sentivo il vuoto aggrovigliarmi lo stomaco, il senso di caduta libera. A un tratto un lontano gorgoglio.
"Un fiume sotterraneo?" pensai. "Un ruscello?"
L'aria si fece rigida e il rumore dell'acqua divenne più intenso. Chinai il volto; un bagliore di luce mi avvolse e di colpo mi ritrovai costretto a nuotare per risalire in superficie. Tutt'intorno blu notte e migliaia di bollicine bianche.
Agitai le mani, le gambe, diedi un colpo di reni, poi ancora un altro. La paura mi fece inghiottire acqua, la cui temperatura era poco sopra lo zero, e per un attimo pensai di annegare. Nuotavo con tutte le forze, nuotavo e ingerivo acqua, e l'orizzonte pareva spegnersi. Chiusi gli occhi e mi imposi di dare le ultime bracciate. Manca poco, mi dicevo. Manca poco. Presto sarai salvo.
Mi ritrovai in superficie senza nemmeno rendermene conto. Inclinai il collo indietro e presi a respirare, a tossire, a respirare convulsamente. Spalancai le palpebre: mi trovavo in una grotta. Raggiunsi un'area rocciosa ubicata sopra le acque e vi rotolai sopra, poi mi distesi sulla schiena e allargai le braccia, privo di forze. Seguirono dieci tonfi.
Dalla sommità della grotta pendevano stalattiti che brillavano come diamanti, e dalle pareti rocciose sbucavano cristalli salini. Camminai carponi con le poche forze rimanenti, e allungai un braccio per aiutare i Viaggiatori a uscire dall'acqua gelida, e solo allora mi accorsi che le ferite erano sparite. Inzuppato fradicio, tremai. Una vampata di fuoco scintillò nella parete al mio fianco, infiammando l'estremità di un bastone di legno incastrato tra le rocce. Sussultai dallo spavento.
"Chi è stato?" domandai.
La mia voce echeggiò nella grotta, ma non ricevette alcuna risposta.
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