Capitolo 4 - L'alba di un nuovo giorno (R)


Palermo - 22 marzo 2026

Kephas.


Il buio cedette lentamente all'orizzonte. Il cielo divenne rosa, giallo, arancio, rosso brillante, fino a quando finalmente il sole si alzò dietro la sagoma della montagna. Me ne stavo sdraiato su una coperta di pile dentro la mia tenda da campeggio, con la testa rivolta verso l'esterno e gli occhi puntati oltre il cielo. Era il mio piccolo rituale di ogni mattina.

Mentre inspiravo il profumo intenso dell'erba bagnata dalla rugiada, lo sguardo si perdeva tra le nuvole paffute, cercando quelle dalla forma più buffa. Un lungo bruco con tante zampe, una farfalla con un'ala un po' rovinata, un grasso coniglio bianco che correva verso un albero.

Visioni sorridenti di mondi esistiti realmente in un'altra epoca, in un'altra terra, in un'altra società. Emozioni utopiche create da menti anacronistiche, a cui adesso l'azzurro infinito si rifaceva. E così la mia anima lasciava il fardello del corpo, sganciandosi da una terra antica e fradicia per poi attraversare il mare celeste e abitare, per qualche istante, il sorriso di quelle emozioni.

Ma la mia anima era lì per un motivo ben preciso, non soltanto per sorridere: ella cercava risposte. Pensava che quel bruco, quella farfalla e quel coniglio avrebbero potuto giocare con lei, e forse aiutarla. Chissà un giorno, ma oggi no.

E allora rintanava nel mio corpo dispiaciuta ma fiduciosa al tempo stesso, e, tenendo incollato a sé quell'insolito sorriso, sperava e sognava tempi migliori. Magari un'epoca, non troppo lontana, in cui l'artefice di quelle creature avrebbe disegnato anche noi dentro lo stesso cielo.

I Superstiti iniziarono a svegliarsi uno dopo l'altro; il sole era ormai sorto da un pezzo. Il profumo di un nuovo inizio aleggiava nell'aria ed ero fiducioso. Tuttavia non avevo dormito molto; le parole di Lux avevano continuato a ruotare nella mia testa per tutta la notte. Partire o restare? Non era questo il dilemma, bensì cosa avremmo trovato a Milano, se mai ci fosse stato qualcosa.

Senza considerare i pericoli di un viaggio così lungo, in una nazione di cui non sapevamo nulla da anni. In fondo Lux aveva ragione; partire era una follia. D'altro canto mi sembrava di naufragare da tempo in un oceano folle e ostinato. Mi sollevai in piedi e, dopo una rapida colazione a base di frutta secca e miele, predisposi il mio zaino in previsione della nuova avventura, e così fecero anche gli altri. Durante la notte, poco prima di spegnere del tutto il cervello, avevamo definito i dettagli del viaggio tutti insieme.

Secondo Alessio e suo fratello, con un po' di fortuna, esisteva ancora il modo di muoversi via mare. Dunque non dovevamo fare altro che raggiungere il porto e sperare che almeno una delle navi ormeggiate fosse in buone condizioni. Dopodiché, forti della loro esperienza nella Marina militare, ci avrebbero condotti a Genova, città natale di Federico. Da lì, Milano sarebbe divenuta una meta sempre più vicina, salvo imprevisti. Radunate armi, munizioni e viveri, ci dirigemmo verso il luogo in cui, nel tempo, avevamo riunito tutti i mezzi di trasporto rinvenuti in buone condizioni, tra cui la mia amata Range Rover.

Durante il percorso mi soffermai a guardare Lux. Aveva un'espressione solare: scherzava e sorrideva con Alessio, come se la sera prima non fosse successo nulla. Forse nel suo cuore si era accesa la luce della speranza. Probabilmente era anche merito di Alessio, che con affetto aveva continuato a mantenere una promessa data nel lontano duemilaventitre, tenendo Lux al sicuro dalle sue paure.

Tuttavia Alessio non era un tipo molto affidabile e nemmeno uno stinco di santo: parlava troppo, faceva spesso delle vanterie fuori luogo, e tendeva a mettersi nei guai. Eppure con Lux i suoi lati negativi svanivano come nebbia nel vento. Aveva persino smesso di fumare marijuana per vederla felice e poterle stare accanto senza infastidirla, e dopotutto raffigurava l'esempio pratico di quanto una persona potesse staccarsi dalle proprie radici e imparare dalle ingiustizie.

Alessio non aveva mai conosciuto il padre, condannato per spaccio di sostanze stupefacenti e ucciso per una regolazione di conti all'interno del carcere. Aveva vissuto solo i primi cinque anni della sua vita con la madre che, non riuscendo a mantenere le spese familiari con il suo lavoro da cassiera, aveva ripreso il giro di droga interrotto dal capofamiglia, destando indignazione tra gli abitanti della zona. Gli stessi che, intimoriti per il futuro dei due bambini, avevano deciso di chiudere la faccenda chiamando i servizi sociali.

Raggiunta la maggiore età, spinti dalla loro forte passione per il mare, avevano fatto domanda per il corpo della Marina militare, decidendo di tuffarsi nello scenario più duro del mondo chiamato vita.

"Io e Kariot prenderemo la nostra Range Rover" dissi. "Con noi verranno Lux, Alessio e suo fratello. Gli altri si distribuiranno nei due fuoristrada restanti."

Eravamo appena arrivati al parcheggio. Il resto del gruppo sembrava carico e pieno di energia. C'era tutto l'occorrente per affrontare una sfida ai limiti del possibile, che avremmo potuto vincere rimanendo uniti e fiduciosi.

"Cos'è questa puzza?" domandò Lux all'improvviso.

Alessio si grattò la tempia, desolato.

"Scusate! Non ho avuto il tempo di fare i miei bisogni."

L'archeologa si tappò il naso con le dita e gli diede una sberla in faccia.

"Ti comporti ancora come un bambino!"

Durante il tragitto spalancai i finestrini anteriori e lo sguardo si perse sulle colline lontane. La luce che illuminava i residui della mia città era qualcosa di molto speciale; in questo periodo dell'anno il cielo non era completamente limpido e le nuvole giocavano a rincorrersi. Lo spettacolo della natura che prendeva forma sotto i primi raggi del sole era più grande di ogni paura.

Arrivati al porto scendemmo dalle nostre auto; il cuore batteva forte, così forte da ubriacarlo, e il respiro era diventato corto, così corto da fermarsi in gola. Alessio adocchiò, insieme al fratello maggiore, una nave della Marina militare che ormeggiava al fianco di una banchina. Da fuori non sembrava riportare alcun tipo di danno, dunque non ci restava altro che scoprire come fosse conciata al suo interno.

"Almeno galleggia!" esclamò Kariot, smorzando il clima di tensione.

La sua battuta mi suscitò un lieve sorriso sulle guance. D'altro canto, la circostanza smorzò subito l'espressione rallegrata. Quella nave non era solo l'unica a essere rimasta intatta, ma anche la sola a riposare nell'immensa distesa blu.

"Se non ti piace," disse Lux con aria altezzosa "fattela a nuoto."

Kariot si voltò verso di lei con le sopracciglia aggrottate.

"Che ne dici di venire con me? Almeno mi incoraggi." Portò le mani davanti alla bocca e mostrò un'espressione di finto dispiacere. "Oh, giusto... non sai nuotare."

Lux lo fulminò con gli occhi, poi sbuffò e li chiuse, girando la testa di lato.

"Se solo volessi, potrei imparare. Sempre meglio che difettare di intelligenza."

Kariot agitò la mano come per mandarla al diavolo e si voltò dall'altra parte, in silenzio.

"Solo a me sembra un'impronta del destino" domandai a voce alta "il fatto che ci sia un'unica scelta?"

Lux si girò verso di me e mi guardò sbuffando.

"Kephas, è solo una coincidenza... Il destino ci ha abbandonati da un pezzo!"

Poi s'incamminò verso la nave senza voltarsi, quasi infastidita. Alessio la seguì subito dopo, scortato dal fratello maggiore. Io e Kariot ci guardammo negli occhi e, dopo un cenno d'intesa, decidemmo di salire a bordo con il resto del gruppo. Superato il ponte che portava alla stiva, un lugubre scenario si estese davanti ai nostri occhi.

"Più che una nave, questo posto sembra un cimitero sospeso nell'acqua."

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