Capitolo 39 - Scopri chi sei! (R)
Kariot.
Panico, ansia e adrenalina scorrevano deliranti nelle vene. Mi ero lasciato alle spalle un muro di fiamme ardenti, e adesso volavano al mio fianco i frammenti incandescenti della vetrata del grattacielo, novantanove piani dal suolo. Ora novantasette. Strinsi i pugni rabbiosamente e la mia vita urlò: "Nulla è per sempre!". Le luci del mondo si spensero tutt'intorno e mi abbandonai al mio unico e insormontabile destino: la morte.
Come un albatro ferito nell'anima, lasciai che la mente librasse con le sue maestose ali, per un'ultima volta, nei ricordi più intensi di un'esistenza combattuta e tormentata. Mentre il suolo, ferito da una grandine che cadeva sul cemento gelato, si avvicinava sempre più ai miei occhi, chiusi le palpebre, e il cervello si spense come un lampo isolato nella notte. Poi fu solo buio per quella che mi parve un'eternità.
Improvvisamente mi ritrovai appeso a una soffice nuvola sospesa nel cielo, in un punto dove sembrava che l'orizzonte del mare si confondesse con la volta celeste, e le acque dell'oceano trasmigrassero nella profondità dei fondali marini. La porzione della nuvola nella quale ero aggrappato, con una presa stretta tale da farmi male alle dita, cominciò a sfaldarsi. La fetta bianco latte acciuffata dalla mano destra si staccò e il braccio crollò sul fianco. Poi fu la volta della mano sinistra, e così precipitai nel vuoto.
L'aria fresca soffiava minimo a cento all'ora verso l'alto, ma la forza di gravità mi risucchiava con molta più energia verso l'oceano. I vestiti sbattevano con schiocchi continui sul corpo, che roteava come l'elica di un elicottero alla deriva. Ebbi un vuoto allo stomaco e, agitato, iniziai a nuotare con braccia e gambe, dando colpi di reni, ma fu tutto inutile. Da questa altezza, l'oceano sarebbe diventato una lastra di marmo, e io mi sarei sfracellato in una poltiglia.
All'improvviso apparve un puntino sulle acque, che pian piano crebbe fino a diventare un'isola tropicale, e non appena fui distratto dalla presenza di donne in bikini striminziti, ecco che mi schiantai al suolo. Tuttavia il petto rimbalzò su una sabbia morbida ed elastica, che mi fece volteggiare in aria e atterrare di schiena, e poi ancora rimbalzare avanti e indietro per quattro o cinque volte, fino a quando precipitai di testa e mi ritrovai conficcato nella sabbia.
Con l'aiuto delle braccia, stappai il cranio dalla distesa dorata come fosse il tappo di una bottiglia di vino, e caddi di lato. A fatica mi alzai in piedi e per poco non stramazzai svenuto, talmente mi girava la testa. Feci per sputare la sabbia che avevo in gola e sulla lingua, e passai una mano sul viso. I granelli giallo oro si erano infilati perfino nelle orecchie, e non volevano andare via a causa del manto di sudore che aveva coperto la pelle durante la caduta, per l'ansia.
Se questo era il paradiso, avrebbero dovuto ascoltare le mie lamentele riguardo al benvenuto.
Lasciai perdere quel pensiero e mi guardai intorno. Una fitta giungla palpitava nel cuore dell'isola, e una spiaggia orlata di dune sembrava girarle intorno. Tra gli alberi saltavano agili scimmie, e uccelli dai colori smaglianti sorvolavano il cielo. Il suono delle onde che accarezzavano la riva donava pace e tranquillità al luogo. Mi avvicinai di corsa a una delle donne in bikini che, distesa su un telo da mare, si cospargeva la pelle di crema abbronzante.
"Cos'è questo posto?" le domandai.
Lei non rispose; si slacciò il pezzo di sopra del costume e lo lasciò cadere sul telo, poi massaggiò il seno morbido con le mani unte. La pelle olivastra e brillante. La donna adagiò il tubetto di crema accanto a uno stereo portatile, che azionò un attimo dopo. Raccolse i capelli in un elegante chignon e iniziò a ballare maliziosamente intorno al mio corpo, al ritmo di musica caraibica. Lo sguardo provocante.
"Ti trovi dove hai sempre desiderato di essere" sussurrò al mio orecchio, facendomi venire la pelle d'oca. "Spegni la tua mente, rilassati e abbandonati sul mio corpo. Non dovrai più pensare a niente."
La sua voce mi inondò di così tanti brividi che la testa divenne leggera come una piuma, e i pensieri terreni volarono via verso il cielo infinito. La sabbia sembrava ondeggiare come l'insieme di curve e di forme della donna.
"Cosa ne sarà della Terra?" domandai, aggrappandomi ai suoi fianchi per non cadere. "E Lux? Dove la stanno portando?"
La donna mi strinse a sé, strusciò il seno sul mio petto e mi diede piccoli baci sul collo. Un'aura luminosa le apparve intorno.
"Adesso è questo il tuo pianeta, Kariot. Potrai plasmarlo come tu vorrai, portare tutte le persone a te più care. Balla con me."
Il mio pensiero volò un'altra verso Lux, e d'un tratto la donna prese le sue sembianze.
"Lux!" esclamai con meraviglia. Le afferrai il viso e lo portai davanti al mio. "Come sei bella, non hai più ustioni." Il suo sguardo era sorridente e trasmetteva gioia, tuttavia mi rattristai di colpo. "Sei scomparsa oltre il cielo e non sono riuscito a salvarti. Ti avevo promesso un futuro, dei bambini, una vita felice. È tutto svanito."
Sospirai e chinai il volto. Le braccia penzoloni lungo i fianchi.
"Non devi preoccuparti" disse lei. Intrecciò le dita tra i miei capelli e mi spinse la testa piegata di lato sul seno. "Adesso sono qui con te, e rimarrò per sempre al tuo fianco."
All'improvviso un corpo luminoso piombò dal cielo come una stella cadente, formando un solco profondo nella sabbia. La terra tremò intensamente e la donna mi trascinò al suolo con sé. Le acque divennero agitate, e onde gigantesche si infransero sulla riva; guaiti di animali sofferenti si levarono dalla giungla. Il cielo annerito e brumoso.
Nascosto dietro quella luminosità, adesso smorzata, vi era un uomo alto tre metri, il cui viso era identico al mio. Se non fosse per l'altezza, avrei giurato di trovarmi di fronte a uno specchio. Egli prese a camminare verso di me, e a ogni passo la terra tremò. Il busto eretto, le gambe possenti, l'aria solenne. La donna rabbrividì dalla paura e si dileguò nella giungla, correndo, inciampando e rotolando nella sabbia. L'ansia mi paralizzò.
"Chi sei?" balbettai. "Cosa vuoi da me?"
Egli mi porse una mano, mentre scalciavo la sabbia e indietreggiavo con le mani.
"Sono te!" rispose con tono trionfale, facendo alcuni passi in avanti. "La porzione della tua coscienza che non vuole lasciarsi andare."
Un brivido snodò l'ansia dal mio corpo, e così mi alzai in piedi, stringendo i pugni rabbiosamente.
"Lasciami stare!" gli urlai contro. "Sono morto e sto bene così, abbandonato a me stesso."
"Hai intenzione di vanificare tutti i sacrifici che hai fatto finora?"
"Non posso più fare nulla! Sono morto! Lasciami vivere una vita serena almeno in paradiso."
"Una donna prende le sembianze di Lux e tu pensi che questo sia il paradiso? La vera Lux ha ancora bisogno di te."
"Sono volato da un grattacielo di quasi cento piani. Sono morto, non posso fare più nulla per Lux."
"Non è così! Tu sei vivo! Tu hai creato questo mondo per paura di rialzarti e affrontare il tuo destino. Tu lo sai, lo senti. Ti aspetta l'inferno, perché una vita senza Lux equivale a questo: l'inferno. Ma non è finita, tu sei vivo, tu puoi ancora salvarla."
In quell'istante mi fissò con uno sguardo così intenso da trafiggere l'oscurità che c'era in me e spazzarla via. Con uno scatto mi afferrò le braccia, imprimendo una tale forza che sembrò triturarle. Dunque, disse: "Adesso chiudi gli occhi e scopri chi sei".
Come per magia, egli tornò a essere una stella scintillante. Fece un altro passo in avanti e si fuse con il mio corpo, donandomi un'immediata percezione di pace e serenità. Mi mancò il respiro e caddi con la faccia per terra, e di colpo fu buio.
Mi svegliai di soprassalto in preda alla terribile sensazione di soffocare, completamente ricoperto di sudore. Non riuscivo a percepire alcun suono, se non l'incessante e forsennato battito del cuore. Mi dimenai sotto alcuni blocchi pesanti di macerie, mentre respiravo la polvere del cemento sbriciolato, tentando di salire in superficie. A distanza di qualche minuto apparve un esile bagliore, dopodiché il cielo notturno.
In quell'istante compresi che qualcosa, nel piano della morte, era andato storto, e che quell'uomo alto tre metri, inspiegabilmente, aveva avuto ragione: ero ancora vivo. Girai su me stesso, incredulo. Il grattacielo, in cui erano ibernati i vari capi di tutti i governi del mondo, era crollato dopo l'incendio, e cumuli di macerie ricoprivano adesso una vasta area.
Com'era possibile che fossi ancora vivo?
Forti colpi di vento trasportarono una tempesta di ghiaccio, e un esercito di granelli acuminati di grandine mi assalì come una furia. Portai le mani davanti al viso con i gomiti stretti al corpo e un pensiero mi balenò nella mente.
La lettera di Goethe! Esisterà davvero?
Osservai in un girotondo il pianeta che andava cristallizzandosi lentamente. Sollevai lo sguardo in un ritaglio a caso del cielo nero venato di viola e blu scuro, e tremai. A seguito di un fastidioso formicolio, grattai l'orecchio destro con l'indice; poi, perplesso, portai le mani davanti agli occhi. Le guardai e sussultai: erano madide di sudore, polvere e sabbia. La stessa sabbia dorata dell'isola tropicale.
E se non avessi vissuto una realtà del tutto immaginaria?
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