Capitolo 38 - Vi guarderò da lassù (R)



Federico.

Nella profondità della notte, avvolta dal canto della vittoria, crisantemi bianchi e colorati sbocciarono dal soffitto della navicella, mentre fuori i lampi illuminavano il cielo. Con le mani incrociate dietro la nuca, la schiena distesa sul pavimento e gli occhi stregati dai soffici petali dei fiori, aspettavo ardentemente il giudizio divino. Un bagliore intenso mi accecò e d'un tratto mi ritrovai fuori dal mio corpo fisico, che adesso vedevo sotto di me, privo di sensi.

Il mondo non era poi così diverso agli occhi della propria anima; solo un po' più cupo... e picchiettato da minuscoli granelli di rugiada. Una sensazione di beatitudine fermentò nel mio corpo astrale, e bianchissime bollicine schiumose si sparsero dalla testa ai piedi, in maniera ordinata e uniforme.

Una folata di vento gelido anticipò l'arrivo silenzioso della Morte, che attraversò la parete della navicella librandosi a mezz'aria. Approdata da chissà quale mondo lontano, ella si rivelò come un'ombra gigantesca, alta circa quattro metri, la cui materia si sarebbe mescolata con la notte, se non fosse che il suo nero era più olivastro e denso.

Con estrema compostezza, mi si avvicinò fluttuando nell'aria sopra i corpi, adesso tremanti, dei Viaggiatori. Il suo sguardo penetrante mi paralizzò: non un sussurro, non un movimento. Il respiro fermo in gola. All'improvviso mi sembrò come se stesse leggendo la mia coscienza. In quell'occasione, strinse il bastone di legno scuro che aveva nella mano e accese gli occhi di un bianco latte.

"Federico!" esclamò la Morte, facendo vibrare le pareti della navicella. "Hai pagato il prezzo di una vita con la tua stessa vita, consapevole della tua scelta. Questo ti fa onore, ma l'esorcismo è una pratica illecita, eppure sapevi anche questo."

La morte chinò il volto e portò una mano alle labbra, meditando con un basso lamento rauco. La paralisi sfumò e ripresi a respirare, affannosamente, ma non ebbi il coraggio di parlare.

"In un'altra circostanza ti avrei spedito nel Regno dei morti a scontare la tua pena," disse "ma qui la questione è diversa, ed io ho ricevuto chiare istruzioni da cui non posso sottrarmi."

Sollevò lo sguardo e mi atrofizzò nuovamente. La gola stretta da una morsa.

"Dal momento che sei stato investito dalla grazia divina del Messia, non mi rimane altro che offrirti il futuro eterno che hai sempre desiderato. Il luogo che raggiungerai a breve, l'aldilà terrestre, potrà sembrarti... eccentrico. Ecco tutto."

A seguito di quelle parole, egli sollevò il bastone al soffitto e fissò la sua estremità. Di colpo ripresi a respirare, e colpi di tosse tuonarono nella gola. Lo sguardo sul pavimento.

"Rivedrò mia moglie?" chiesi timidamente.

"Sì!" esclamò, facendo vacillare un'altra volta le pareti della piattaforma.

Il silenzio scese su di noi. Provai un immediato bruciore agli occhi, poi un brivido alla schiena: avrei rivisto mia moglie. Caddi in uno stato di intontimento, ma fui scosso all'istante da un evento strabiliante: la Morte aveva fatto apparire un portale celeste nella parete laterale, che sprigionava raggi di luce bianca e cascatelle di vapore. Schiusi le labbra e lo fissai con meraviglia; le gambe pungolate da un formicolio.

"L'aldilà terrestre" disse la Morte con tono formale "è un luogo di purificazione, dove lo spirito umano si libera delle sue imperfezioni, della sua ignoranza e dei godimenti terreni. Un ambiente di trasformazione, evoluzione e ascensione verso Dio."

Il canto di una voce soave echeggiò distante, e le vibrazioni sonore fecero ondeggiare la consistenza semifluida e collosa del portale.

"È giunto il momento!" esclamò la Morte con voce profonda. "Presto, scoprirai il perché di tutto quello che ti è successo in questi ultimi anni, e che deve ancora accadere. Ecco tutto. Il mio tempo qui è finito."

La Morte si voltò di spalle e oltrepassò la parete della navicella, volando a mezz'aria silenziosamente. La voce, che dapprima aveva allietato le mie orecchie con il suo canto soave, adesso sussurrava il mio nome. Lanciai uno sguardo malinconico a Kephas, poi a ognuno dei Viaggiatori, e feci un sorriso.

Addio, amici miei... d'ora in avanti vi guarderò da lassù. Quante ne abbiamo passate, quanti ricordi. Ma le nostre avventure non sono ancora finite, adesso lo sento.

Attraversai il portale celeste dopo un attimo di esitazione, immergendomi nei raggi di luce bianca che infilzavano le cascatelle di vapore. Di colpo, mi ritrovai in un immenso giardino incontaminato. Mi librai in alto e osservai il paesaggio con meraviglia.

Il sole irradiava con i suoi raggi una distesa verde, costellata da ginepri e cisti dai delicati fiorellini lilla. Il terreno veniva irrigato da un gigantesco fiume che si divideva in quattro rami, le cui acque gorgogliavano d'una spuma candida, e gli alberi verdeggianti, piegati sotto il peso dei frutti maturi, si rincorrevano tra i ciottoli della riva. Tutt'intorno spiccavano il volo uccelli di ogni grandezza e colore.

Di fronte a me, a chilometri di distanza, un arcobaleno spezzava i colori tristi di un cielo invernale. Allargai le braccia e volai nel cielo, a poco a poco pieno di nuvole grigio scuro. Sotto l'arcobaleno, al centro di un'isola circondata da un mare blu notte e una spiaggia dalla sabbia cristallina, svettava un castello bianco. Sia in acqua, che sulla terraferma, strisciavano figure animalesche traslucide, in una tenue sfumatura di celeste e grigio ghiaccio.

Mi voltai verso destra e ripresi a volare con le braccia lontane dai fianchi. Dopo chilometri e chilometri, un paesaggio del tutto bianco catturò la mia attenzione. La luce rosa del sole brillava sui blocchi di ghiaccio e tra le pareti spigolose degli iceberg, disegnando un luogo aspro, frastagliato e selvaggio. L'acqua atmosferica scendeva sotto forma di neve cristallina, e la scarsa visibilità lasciava intravedere goffi pinguini che scivolavano sulla distesa glaciale.

Mi girai di spalle e decisi di tornare indietro, al punto del mio arrivo, ma una frizzante sensazione mi suggerì di viaggiare nel cielo senza fermarmi. E così, a distanza di tempo, vidi un'arida distesa di sabbia, rocce e strapiombi dove la natura faticava per la sopravvivenza. Nell'apparente quiete si manifestavano forme di vita incredibili: la gazzella sfrecciava veloce sui grandi plateau, il varano scavava la sua tana alla ricerca di acqua, i topolini e i piccoli scarafaggi arrancavano su per le dune, e una vegetazione minuta si nascondeva negli anfratti più riparati.

Assalito da un'improvvisa stanchezza, decisi di tornare nel luogo in cui il portale mi aveva fatto approdare. Quando poggiai i piedi sul giardino incontaminato, una voce femminile sussurrò il mio nome e mi diede il benvenuto. Mi voltai di spalle e un nodo mi legò lo stomaco. Gli occhi lucidi di gioia. Lei era là, davanti a me, fasciata in un tubino celeste che metteva in risalto i suoi occhi azzurro ghiaccio.

"Clara..."

"Federico..."

"Credevo che non ti avrei mai più rivista..."

"Ed io ho sempre sperato che tu ci riuscissi..."

Mi gettai tra le sue braccia in quell'istante; le lacrime scesero sulle gote e singhiozzai. La strinsi forte come se avessi paura di perderla nuovamente, come se quel momento potesse svanire in un secondo. Nel mio corpo astrale scorreva tutto l'amore punito di una vita, la gioia dei ricordi più felici, la disperazione e la malinconia di un legame strappato prematuramente.

Clara mi avvolse tra le sue braccia con la stessa intensità, e il tempo smise di esistere e così tutto il resto. Chiusi gli occhi per un tempo indefinito e dimenticai tutto; ogni dolore, ogni rimpianto, e un'orchestra invisibile, composta da una decina di archi e violini, suonò per noi.

"Ho pregato per te ogni giorno..." mi sussurrò all'orecchio.

"Ho desiderato che tornassi da me ogni misero giorno..." le risposi.

"Sono rimasta sempre al tuo fianco, amore mio. Non mi sono mai allontanata."

Non risposi, ma la strinsi ancora più forte e le arruffai i capelli in un gesto affettuoso. Qualsiasi emozione negativa evaporò fuori dalla mia anima, ed ebbi come la sensazione di essere rinato. Clara mi prese per mano e un calore inebriante mi fece tremare. Dopodiché incrociò il mio sguardo e disse: "Seguimi, devo farti vedere una cosa!".

Nei suoi occhi apparve un velo di tristezza che mi colse alla sprovvista.

"Che succede?" le chiesi.

Scosse la testa e non aprì bocca, e in quella circostanza mi accorsi che non vi era più passione nel suo sguardo, ma solo il timore di non potermi concedere, al momento, le attenzioni di una moglie che dopo tanti anni rivede suo marito. Non ebbi il coraggio di fare altre domande, dunque rimasi in silenzio. Clara mi strinse la mano e ci librammo nel cielo, in direzione del paesaggio della luce rosa del sole, fino a quando un'enorme cascata solidificata dal gelo apparve dinanzi a noi. Clara si fermò e la fissò con un'espressione severa.

"Mostrami il pianeta Terra!" esclamò.

A un tratto, la lastra di ghiaccio funse da schermo e trasmise delle immagini nitide e colorate.

"Ma quello è Kariot!" sbottai, in preda al panico. "Cosa gli è successo?"

"Lui sta bene, al momento."

"E Lux?" chiesi, voltandomi verso Clara. "Dov'è Lux?"

"Lei..." rispose con un filo di voce. "Lei è in grave pericolo."

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