Capitolo 35 - Il tatuaggio (R)
Kephas.
"Andate..." aveva detto Simone, con un filo di voce tremolante. "Lasciatemi da solo con mio fratello. Tornerò quando gli avrò dato una degna sepoltura."
Mentre aveva pronunciato quelle parole, le uniche che era riuscito ad articolare prima che ci allontanassimo, i suoi occhi si erano trasformati in uno spazio desolato e inospitale simile a un deserto. Un velo fitto di misteri era sceso su di me, sovrastando la mente da una rete caotica di pensieri negativi.
Com'era possibile che la morte ci avesse strappato Alessio in questo modo? Cosa aveva fatto di male per meritarsi questa fine?
Correvo a più non posso, con in mano i vestiti di Andrea, preso da un incontrollabile panico, evitando gli alberi per istinto, incapace di vedere, di sentire o di pensare lucidamente, nella notte ancora giovane. Schivai un ramo prima che mi trafiggesse gli occhi e mi voltai verso Federico, che mi restituì uno sguardo amareggiato e sfuggente.
"Perché?" gli domandai. "Perché hai lasciato che Taddeo e Tommaso andassero da soli, se pensavi che Andrea fosse pericolosa?"
"Io..." esitò lui, mordendosi il labbro inferiore. "Ho avuto come la sensazione che volesse me in particolare... spero solo di non essermi sbagliato."
Giunsi al fiume, lo attraversai e al volo afferrai il mio zaino, e lo misi in spalla. Dunque impugnai la pistola e ripresi a correre, e così fecero anche il resto dei Viaggiatori. Non c'era un attimo da perdere; Tommaso e Taddeo erano in grave pericolo. Fissai nuovamente il bodybuilder per un lasso di tempo breve, ma questa volta non ricambiò lo sguardo, palesemente assorto nei suoi pensieri. Il viso accigliato.
"A Taddeo hai detto qualcosa all'orecchio" dissi con severità. "Cosa?"
Federico scosse la testa, come per cacciare via le immagini che scorrevano nella mente, e mi osservò per un istante.
"Non è Andrea..." rispose, con gli occhi appesi ai miei.
I nostri passi, duri come massi, calpestarono dinamici la pianura spoglia d'erbe, di fiori e d'alberi nella quale era atterrata la piattaforma temporale; ancora un paio di chilometri e l'oscurità della notte si sarebbe infittita anche nel cuore.
"Perlomeno, in un certo senso lo hai messo in guardia" meditai ad alta voce. "Speriamo solo che non sia troppo tardi."
Tutt'intorno il paesaggio brulicava di insetti e serpenti. L'aria risultava rarefatta e umida, il suolo freddo da gelare persino la suola delle scarpe.
"Kephas..." pronunciò Federico con aria preoccupata. "Ho il timore che saremo costretti a vedere delle cose che non ci piaceranno."
Lo fissai con la coda dell'occhio, sospettoso; nel suo sguardo distinsi il senso d'angoscia che gli stava divorando lentamente l'anima, divulgandosi come il risultato di un'infinita attesa che non riusciva più a sopportare. Sembrava essere sicuro che, alla fine di questo tunnel stretto e buio, non avremmo trovato alcuna luce ad aspettarci. All'improvviso la navicella si affacciò nel nostro campo visivo, luminosa come non mai. Somigliava alla luna piena che, assente nel cielo, si era trasferita per una notte sulla terraferma. Rallentai il passo fino a fermarmi.
"Cosa facciamo adesso?" domandò Giacomino, tremando a seguito di un brivido di freddo.
"Potremmo appostarci sotto gli oblò e spiarli" propose Filippo.
"No!" rispose sottovoce Giovanni. "È troppo pericoloso. Rischiamo di farci scoprire e di mettere in pericolo la vita di Tommaso e Taddeo."
"Dobbiamo ragionare!" esclamò Matteo.
"Agire secondo un piano stabilito" andò avanti Bartolomeo.
"Mettere fuori gioco Andrea prima che si accorga delle nostre intenzioni" proseguì Giacomo.
Una sottile folata di vento mi fece venire la pelle d'oca sul torso nudo.
"Purtroppo Federico ha ragione!" dissi, affranto. "Andrea non è più Andrea..."
Le luci della piattaforma temporale si accesero all'improvviso, e una sagoma fece avanti e indietro più volte nella sala comandi. Mi abbassai sui talloni e poggiai le mani sul terreno, e così fecero anche gli altri. Nonostante il rischio di essere avvistati era pressoché nullo, tra l'oscurità della notte e la nebbia che rotolava sul paesaggio da ore, il cuore prese a tamburellare nel petto.
"Andremo gattoni fino al portellone della navicella," espose Federico "e cercheremo di prenderla di sorpresa. Non c'è altro modo."
Feci un cenno con la testa in segno di approvazione, seppur titubante, e dopo una ventina di minuti eravamo di fronte alla nostra meta. L'assenza di qualsiasi rumore proveniente dall'interno della piattaforma, mi fece supporre che fosse già troppo tardi. Provai ad accostare l'orecchio al portellone, ma il risultato non mutò. Nell'aria, le note della natura si seguivano evanescenti e lievi, e a tratti si alternavano al silenzio assoluto. Fissai il bottone d'apertura del portellone e sospirai.
"Entrerò prima io" dissi a bassa voce, voltandomi.
Un tonfo sordo rimbombò tra le pareti della navicella in quell'istante, come il suono di un corpo abbattuto al suolo. Anticipato da due spari, di cui uno perforò la lente di un oblò, e l'altro parve esplodere su un oggetto di vetro, un grido di dolore echeggiò stridulo, facendomi rizzare i capelli sulla nuca.
Mosso da un impeto di coraggio, premetti il bottone e varcai il portellone, mirando alla testa di Andrea con la pistola. I Viaggiatori, alle mie spalle, si dispersero lungo il perimetro della sala subito dopo di me, e protesero davanti al corpo le loro armi. Feci scattare le pupille a destra e a sinistra, benché il busto rimase immobile, e lasciai cadere i vestiti di Andrea per terra.
Taddeo era disteso sul pavimento con la schiena poggiata alla parete, e premeva la mano sul braccio sinistro tinto di rosso, stringendo i denti per il dolore. A giudicare dalla quantità di sangue che fuoriusciva dalla ferita, sembrava che il proiettile lo avesse colpito di striscio e fosse poi esploso sul quadro comandi. Tommaso era seduto su una poltrona centrale dell'ultima fila, di fronte al portellone, mentre Andrea, alle sue spalle, gli lambiva il collo piegato all'indietro con un pugnale molto affilato. Gocce di sudore mi imperlarono la fronte.
"Chiunque tu sia, getta via quel pugnale!" esclamai.
Le mie mani tremavano, le sopracciglia erano aggrottate e sentivo la pelle umida.
"Non vi aspettavo così presto!" disse la gemella con un ghigno. "Immaginavo che Federico avesse percepito qualcosa di strano nella vostra Andrea, ma stimavo che avreste impiegato più tempo a scoprire la differenza." Il suo sguardo divenne di colpo serio e impenetrabile. "Vi ho sottovalutati, e adesso non potrò più sperimentare la morte sui vostri corpi. Avrei tanto voluto trovare il modo..."
Emisi un grugnito di disgusto.
"Getta via quel pugnale o sarò costretto a spararti!" gridai.
Andrea mostrò un sorriso malefico.
"Oh, che paura!" disse con scherno. "Sai che mi importa di questo stupido corpo."
Una gocciolina di sudore mi scese in mezzo alle sopracciglia e si fermò sulla punta del naso, dondolando.
"Kephas!" disse Tommaso con voce strozzata. "Fa' quello che devi fare, non preoccuparti per me."
Il cuore batté dentro al petto sempre più forte. La tensione crebbe di secondo in secondo. Una mossa errata e sarebbe stata la fine.
"Credo che Tommaso abbia preso la giusta decisione!" esclamò Andrea, rallegrata.
A un tratto Taddeo si rialzò da terra lentamente, barcollando, e indicò la gemella con la mano sporca di sangue.
"Chi sei tu?" chiese, mostrando una smorfia di dolore.
Fu allora che Andrea, approfittando della nostra labile distrazione, colse l'attimo propizio per scagliare il suo attacco. Dunque levò il pugnale al cielo, e lo spedì con furia sul collo del povero Tommaso.
"Muori!" urlò Andrea, con le labbra aperte e i denti stretti.
Inaspettatamente, poco prima che la lama squarciasse l'arteria carotide, il corpo di Tommaso sprigionò un'aura luminosa, e il braccio della gemella si paralizzò a mezz'aria, come se qualcuno o qualcosa le impedisse di affondare il colpo.
In quegli attimi che parvero scorrere a effetto rallenty, un fulmine mi attraversò la mente e mi incitò a prendere una decisione. D'istinto strinsi la pistola e premetti il grilletto, colpendo Andrea al braccio, fortunatamente di striscio, e il proiettile si frantumò contro la parete. L'aura luminosa di Tommaso si placò all'istante, ed egli si gettò sul pavimento, strisciando lontano dalla gemella.
Ella indietreggiò, inciampò e cadde a terra, e così Giacomo e Federico si precipitarono su di lei, trascinandola sopra una poltrona. Infine Federico afferrò le mani di Andrea, e le legò dietro lo schienale con una cintura che sbrogliò dall'imbracatura anticaduta, dopodiché Giacomo le bendò il braccio ferito. Abbassai la pistola e mi diressi verso la poltrona, dove Andrea, seduta e immobile, sogghignava con cattiveria.
"Chi sei tu?" domandai. "E cosa ne hai fatto della vera Andrea?"
Lei rideva talmente tanto che a un tratto le vennero le lacrime agli occhi.
"Andrea è nel Regno dei morti," rispose "e Sofia è morta. Alessio ormai avrà incontrato Andrea, o forse non ancora." Fissò Federico con un risolino leggero. "Tu morirai."
Impulsivamente afferrai Andrea per il collo.
"Basta!" le urlai in faccia. "Chiunque tu sia, ormai è finita!"
"Ne sei sicuro?" chiese con voce strozzata. "Perché non chiedi a Federico?"
Di colpo allentai la presa sul suo collo arrossato e mi voltai verso il bodybuilder. Egli fissava con stizza Andrea, e i suoi occhi erano lucidi.
"Lei è un demone, Kephas" disse, scuotendo di poco la testa. "Lo scambio sarà avvenuto nel Regno dei morti, quindi la vera Andrea si trova lì in questo momento."
Aggrottai le sopracciglia, quasi paralizzato.
"Come fai a sapere queste cose?" domandai.
Egli abbassò lo sguardo e indicò, con aria improvvisamente rattristata, il tatuaggio che aveva inciso sul basso ventre: il volto di una donna serena, con una rosa tra i capelli e un piccolo cuore sulla bocca.
"Lei è mia moglie" disse con tono delicato. "Clara è l'unica donna che io abbia mai amato nella mia vita." Fece un lungo respiro e mostrò un sorriso nostalgico. "E al contrario di quello che si pensa, l'amore non basta quando tua moglie viene posseduta da un demone malvagio." Alzò lo sguardo e fissò duramente Andrea. "Con questo non voglio dire che mi arresi facilmente al destino, o che non lottai minimamente per riaverla, anzi... tentai di tutto, anche rivolgermi a un prete esorcista. Egli mi aiutò a cacciare via il male dal suo corpo, e mi tramandò tutto ciò che c'era da sapere sugli esorcismi, per assistere mia moglie nei suoi deliri. Ma l'energia spirituale di Clara andava affievolendosi, e il demone se ne nutriva per stanziarsi per sempre nel suo corpo, e da un giorno all'altro lei non era più con me. L'esorcismo non poté risolvere nulla, l'amore peggio che mai. Poi, una mattina, mia moglie si tolse la vita gettandosi dal balcone di casa, davanti ai miei occhi."
Ebbi come un tuffo al cuore nel sentire quelle parole, e il fiato mi si spezzò in gola.
"Federico..." sussurrai. "Mi dispiace..."
Egli abbassò il volto e scosse la testa ancora una volta, mentre una lacrima scendeva dagli occhi lucidi.
"I demoni mentono e si prendono gioco di te" disse. "Agiscono secondo ordini precisi, si divertono a mettere gli umani uno contro l'altro. Lei voleva portarmi con sé qui dentro per uccidermi, perché probabilmente conosceva già la mia storia, e forse ha ucciso Alessio per far delirare Simone, e metterlo contro tutti. Ma non ho idea del perché sia spuntata quell'aura misteriosa intorno a Tommaso. Il demone non ci dirà niente, però la vera Andrea potrebbe conoscere la verità."
Sommessi versi di stupore serpeggiarono nella sala comandi.
"La verità..." meditai ad alta voce. "La verità è figlia del tempo..."
Federico mi lanciò uno sguardo stranito, intento a interpretare le mie parole, e in quella circostanza rammentai di non avergli parlato della lettera di Goethe.
"C'è un modo per riportare Andrea nel suo corpo?" chiesi, osservando il demone sogghignare senza sosta.
"L'unico che conosco" rispose Federico in tono arrendevole. "L'esorcismo."
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