Capitolo 30 - L'era del buio (R)



Kariot.

In men che non si dica atterrai nei pressi del Colosseo, saltai fuori dalla navicella antigravitazionale e indossai gli occhiali del dottor Goethe. Il nemico era davanti ai miei occhi; un altro grattacielo identico a quello di Milano, contenente i capi di tutti i governi mondiali, che a quanto pare avevano in mente di portare a termine il loro progetto apocalittico: annientare la razza umana... eccetto loro, ovviamente.

Tolsi gli occhiali e stropicciai le palpebre con il palmo delle dita, senza riuscire ad arginare alcune lacrime che scesero sulle guance contratte in una smorfia. Singhiozzai per il dolore; solo ora cominciavo a metabolizzare lentamente l'accaduto. Sofia... Lux...

Dannazione, cosa era successo?

Alzai gli occhi al cielo in cerca di conforto, tuttavia anch'egli parve diverso, strano. Il sole sarebbe dovuto spuntare da un pezzo con le prime luci dell'alba, ma questa mattina era rimasto sfocato dietro l'orizzonte, come una qualsiasi stella della notte.

Sofia era morta nel suo letto e, a giudicare dalla posizione supina, sembrava non avesse neppure avvertito l'esplosione... come se la sua anima, in quel momento, fosse talmente distante dal corpo da non accorgersi di nulla...

Abbassai di poco lo sguardo, osservando il confine fra cielo e terra, ancora coperto da un sottile strato di nubi che lo rendeva grigiastro. I colori della primavera non esplosero nemmeno a distanza di mezz'ora, intanto che, respirando con leggero affanno, cercavo il coraggio di muovere le gambe in direzione del grattacielo nemico. Le stelle lumeggiavano deboli insieme alla luna.

Perché Goethe non aveva mai parlato di questo posto, se non con Kephas? Chi aveva disegnato quel simbolo sulla fronte di Sofia? Chi ero io e perché non ricordavo più il mio vero nome?

Una macchia scura ammantò la sagoma della stella madre, e un senso di angoscia si estese senza limiti sulla terra e sul cuore. Una dopo l'altra, le figlie della notte si spensero come lampi in accordo con la regina Luna e, come avvoltoi, le tenebre calarono indisturbate sulla terraferma, divenuta gelida di colpo.

Cosa stava succedendo al pianeta? Mi ero mai svegliato davvero?

Volsi gli occhi dappertutto, inquieto, e all'improvviso forti colpi di vento si scagliarono sulla città; nubi sporche e luttuose scesero dal cielo, formando un'onda minacciosa che avanzò densa come il piombo, mentre lampi rosso fuoco squarciavano l'orizzonte a seguito di violenti tuoni. A poco a poco la terra veniva inghiottita da una spessa coltre di ghiaccio.

Le mie gambe tremarono; ebbi freddo, paura, timore. Dei brividi mi scesero lungo la schiena e solo allora indossai gli occhiali e gli auricolari che Goethe mi aveva consegnato prima della partenza. Inaspettatamente il grattacielo nemico, adesso, mi sembrava l'unico posto sicuro di questo pianeta. Mi avvicinai ad esso correndo, fermandomi davanti alla porta girevole d'ingresso.

"Sto entrando!" esclamai, avvicinando le labbra al microfono degli auricolari.

La microcamera incastrata su un'anta di vetro scansionò il mio viso, e una scritta rossa lampeggiante apparve su uno schermo elettronico collocato poco sotto.

"Accesso vietato!" diceva.

Scossi la testa, infastidito.

"Goethe!" dissi. "Che cosa aspetti a buttare giù il sistema di difesa?"

Neanche il tempo di riempire la mente di pensieri negativi, che la scritta rossa divenne verde e smise di lampeggiare.

"Accesso consentito!" esclamò una voce metallica, il cui timbro sembrò somigliare a quello di R.E.

Rimasi fermo per qualche istante con la mano poggiata sulla porta, in cerca di un pensiero felice che mi spingesse a varcarla. Nella mente apparve il volto di Lux, ancora fresco, genuino e splendente; ella fluttuava come una creatura celeste dipinta in uno spazio dove il male non trovava fondamenta. Sembrava felice; il suo viso era rilassato e i suoi occhi brillavano con un'intensità superiore a quella delle stelle.

Mi spinsi in avanti per provare a toccarla, ma persi l'equilibrio e caddi sul pavimento del grattacielo, dopo aver spalancato bruscamente la porta d'ingresso. Mi rialzai da terra stordito e abbandonai quel pensiero alla svelta, battendo più volte le mani sui jeans; tutt'intorno l'aria era pesante e la polvere copriva ogni cosa... il pavimento, le vetrate, le scale. Sembrava che per anni nessuno fosse mai entrato o uscito dall'edificio.

Un velo di mistero avvolse lo scenario, specialmente quando mi accorsi che la struttura somigliava alla perfezione a quella di Milano. Le telecamere disposte su tutto il perimetro, però, non avevano percepito la mia presenza, segno che Goethe avesse fatto un buon lavoro. Dunque mi avvicinai all'ascensore; le ante erano già aperte e le varcai con passo deciso. Dopodiché selezionai l'unico pulsante presente nel quadro elettrico di manovra, il piano numero novantanove. Le due porte scorrevoli si chiusero lentamente e un brivido mi fece venire la pelle d'oca.

"Quale onore avervi qui, dottor Goethe!" disse la voce metallica.

Sussultai e volsi lo sguardo in alto.

"Che significa?" pensai nella testa, d'improvviso turbato.

Il sistema di difesa era stato reso inoffensivo e l'intelligenza artificiale avrebbe dovuto essere fuori uso. Provai a contattare lo scienziato attraverso gli auricolari, ma non ebbi alcuna risposta.

Perché il grattacielo aveva dato il benvenuto al suo presunto acerrimo nemico?

"Ce ne hai messo di tempo!" riprese a dire la voce metallica. "Hai già spedito i superstiti nell'era mesozoica?"

I secondi parvero cristallizzarsi di colpo, l'ossigeno sembrò non bastare. Non capivo più nulla e mi sentivo vuoto dentro.

"Cosa vuol dire?" pensai.

Quando l'ascensore giunse all'ultimo piano, le porte scorrevoli si schiusero lentamente, sprigionando uno sfiato di vapore grigio genere verso l'esterno. Misi i piedi fuori dalla cabina passeggeri e volsi lo sguardo intorno, ancora scosso da quelle parole; la stanza era grande a tal punto da contenere circa duecento capsule d'ibernazione.

"Kariot!" esclamò la voce metallica. "Questo grattacielo è sotto il mio controllo, così come lo è quello di Milano. Sei stato uno sciocco a venire qua, non credi?"

Una morsa soffocante mi attanagliò dalla testa ai piedi.

"Che hai fatto a Lux?" domandai con un filo di voce strozzato.

"Lux si è svegliata da poco e soffre molto. Continua a dimenarsi davanti ai miei occhi, vacillante in quel filo sottile tra la vita e la morte. Non preoccuparti però, è destinata a una sorte prosperosa e gratificante. Mi prenderò cura di lei."

"Vigliacco!" urlai inferocito. "Sei sempre stato tu, fin dall'inizio. Lo sapevo che non c'era da fidarsi! Io... avrei dovuto fare qualcosa!"

Sulla parete di fronte ai miei occhi venne sparato un raggio laser, e un ologramma cominciò a prendere forma. Il volto era quello di un anziano con lisci capelli candidi che scendevano sulle guance; spessi baffi ricoprivano labbra sottili e un lungo pizzetto scendeva fino al collo. Era lui, era il dottor Goethe.

"Che importanza ha ormai?" domandò lo scienziato.

Il mio cuore iniziò a battere più forte nel petto.

"L'ologramma! Era tutto un modo per farci credere che fossi morto. Perché lo hai fatto?"

Egli mi lanciò uno sguardo derisorio.

"È una lunga storia, dico davvero. Magari un giorno ti scriverò tutto in una lettera."

Scossi la testa, confuso.

"Avresti potuto ucciderci tutti quanti all'interno del tuo grattacielo, ma hai preferito prenderti gioco di noi. Hai spedito Kephas nell'era mesozoica? Perché? Perché vuoi Lux?"

Goethe mostrò un ghigno infastidito.

"Pensi davvero che sia così semplice? Che ti basti vedere la fotografia di un castello per conoscerne la storia? La verità è figlia del tempo, Kariot. Adesso, manda in cortocircuito il sistema elettrico dell'edificio. Scoprirai chi sei con i tuoi occhi."

"Dici sul serio? Mi hai preso per un idiota?"

"No!" rispose secco.

La sua espressione era diventata di colpo severa, i suoi occhi scuri e tenebrosi. Una vampata di calore mi infuocò la testa e la vista si annebbiò, ma cercai di mantenere la calma.

"Ucciderò tutti loro!" dissi. "Ma al mio ritorno porterò Lux via con me, e tu sparirai dalla faccia della terra."

Goethe elargì un ghigno sprezzante.

"Questo non è proprio possibile! Lux sopravvivrà, ma in un'altra galassia. E tu non potrai venire con noi, perché morirai qui, da solo."

Le mie gambe tremarono e caddi indietro, sbattendo forte per terra. Quelle parole mi avevano travolto come un uragano.

"Cosa... cosa stai dicendo?" domandai con voce sommessa. "Un'altra galassia? Chi sei tu?"

Goethe chiuse gli occhi e chinò il volto, curvando le labbra in un sorriso maligno.

"Colui che ha coperto il sole con un manto d'ombra e che porrà fine alla tua esistenza. Come hai potuto notare, le tenebre sono scese sulla terraferma e la temperatura si abbasserà sempre di più, fino a quando il pianeta diverrà una sfera di ghiaccio. Se non ti suiciderai prima per la disperazione, morirai per ipotermia."

Dei brividi solcarono le mie guance e gli occhi divennero di pietra.

"Io... ho fallito..."

"Beh... direi di sì! Ma hai ancora una scelta: puoi morire da solo, ignaro dell'arcana verità che si cela dietro il viaggio dei tuoi amici, la morte di Sofia e il futuro di Lux... oppure morire con la consapevolezza di sapere chi sei veramente."

Tutt'a un tratto provai una sensazione di smarrimento, come fossi stato drogato da un'essenza invisibile. Mi sembrava di inalare continuamente una tossina velenosa, diffusa attraverso i conduttori dell'aria, in grado di intorpidire parte del mio cervello e farmi sentire estraneo al corpo. Goethe aveva vinto la sua battaglia, ed io avevo perso in ogni caso.

"Voglio conoscere la verità!" esclamai con aria rassegnata.

"Bene!" rispose. "Osserva il quadro che si trova davanti a te. Al suo interno c'è un bottone rosso in mezzo a dei fili... premilo e sarà tutto finito."

Immobile, osservai un'ultima volta le capsule che mantenevano in vita la feccia dell'umanità e, in quel momento, mi convinsi di non essere stato meglio di loro, per tutta la vita. Avevo sbagliato tutto...

Presi a camminare nel corridoio centrale, in direzione del quadro di alimentazione del 'laboratorio', intanto che osservavo i corpi congelati all'interno dei vari involucri asettici e, dopo aver trovato e premuto il bottone rosso, numerose fiamme dorate si combinarono in un abile gioco di luci, dando vita a un prestigioso fenomeno pirotecnico.

"Bravo, Kariot!" esclamò Goethe. "Mi hai dato ascolto. Ne terrò conto quando sarà tutto finito."

Tutt'a un tratto i coperchi delle capsule d'ibernazione esplosero uno dopo l'altro, e mi ritrovai in mezzo a una sparatoria di schegge di vetro. Mi gettai per terra e percorsi il corridoio all'indietro, strisciando sul pavimento. Quando balzai in piedi e mi spinsi dentro l'ascensore, selezionai ripetutamente il pulsante del piano terra, ma solo allora mi accorsi che dal quadro fuoriuscisse del fumo. Di colpo fu buio dappertutto.

"Goethe!" urlai travolto dalla rabbia. "Mi avevi promesso la conoscenza della verità, e invece mi hai preso in giro un'altra volta."

"Non ti avevo parlato della lettera?" meditò lui con tono sarcastico. "Ho conservato lì la verità, nel grattacielo di Milano. Dopotutto non ti ho mai detto che sarebbe stato facile."

"Ma come farò a sopravvivere?" sbraitai, battendo un pugno sul quadro comandi dell'ascensore.

"Lo scoprirai con i tuoi occhi..." rispose con aria sinistra.

L'esplosione dei coperchi delle capsule si trasformò in un incendio in quell'istante; il fuoco si estese in tutta la stanza e una nube tossica pervase l'aria. In un baleno fui travolto, a ogni mio respiro, da violenti accessi di tosse, e gli occhi parvero bruciare per il calore delle fiamme e per l'irritazione fomentata dai gas nocivi.

Quasi certamente in preda a un'allucinazione, mi parve di vedere, attraverso le vetrate della stanza, un maestoso cavallo bianco prendere il volo sulle ali del vento, cavalcato da un uomo con un'armatura rossa che teneva in braccio Lux, con indosso la sua camicia da notte fatta a brandelli. La visione svanì in un attimo e mi ritrovai solo, dentro l'inferno, senza alcuna via di fuga. Avvertivo la pesantezza di ciascuna singola goccia di sudore defluirmi dalla fronte e rigarmi il viso, i brividi scuotermi le spalle dopo ogni folata di fumo, il vuoto del futuro senza Lux.

Come un piccolo e insignificante essere umano avevo sempre lottato per la vita, quando invece l'unica salvezza sarebbe stata la morte. Allora compresi di essere in realtà un prigioniero chiuso nella sua cella, e che esisteva un solo modo per venirne fuori. Pertanto feci due passi indietro per prendere la rincorsa e, tra le fiamme ardenti e asfissianti del laboratorio, mi scagliai contro le vetrate del novantanovesimo piano, verso i confini della libertà.

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