Capitolo 27 - L'impostore (R)
Sofia.
La testa si riempì di grida e suoni provenienti da un mondo lontano: incudini e martelli sbattevano tra loro incandescenti per forgiare antiche armi scintillanti, colpi furiosi di spada vibravano nelle possenti braccia di cavalieri, zoccoli massicci fracassavano le ossa dei fanti sotto la pioggia di un cielo accecato d'ira. Le donne urlavano tutto il loro dolore per la perdita dei propri mariti, e teste mozzate ruzzolavano sotto cavalli impazziti a cui era stato aperto il ventre da roncole ben affilate.
"Adesso svegliati!" tuonò al mio orecchio una voce maschile.
Spalancai gli occhi di colpo e mi ritrovai in piedi sul pavimento, accanto al mio corpo fisico disteso sul letto, che a tratti veniva travolto da spasmi involontari. La mia testa era avvolta intorno alle mani di Lux, i capelli sparpagliati sul suo petto, la guancia adagiata sul suo soffice seno. Con un po' di imbarazzo, volai su di lei, chiusi le palpebre e le diedi un bacio sulla fronte.
"Addio Lux... sento che questo sarà un viaggio di sola andata... e anche se non mi puoi sentire, vorrei dirti alcune cose. È stato difficile trattenere i miei sentimenti finora, evitare di rimanere incastrata in situazioni imbarazzanti, non farmi notare quando i miei occhi si incantavano sulle tue labbra. Ho cercato di evitarti più volte, anche se non è stato poi così difficile. Sei sempre stata la più desiderata dagli uomini... come avrei potuto competere con loro? Io, una ragazza debole, timida e impaurita... con nessuna qualità particolare. E tu, una donna forte e valorosa, sempre piena di idee. A questo proposito ti ringrazio per aver convinto mia sorella a farmi rimanere qua; mi hai fatto sentire indispensabile e ho adorato questa sensazione. Adesso credo di dover andare, sento che lei mi attende nel Regno dei morti. Lux... anche se non puoi vedermi né sentirmi, sappi che... so che può sembrarti banale, ma sappi che ti amo... e ti amerò per sempre."
La bocca di Lux si piegò in un lieve sorriso, e dalle labbra fuoriuscirono delle deboli parole impastate e incomprensibili; poi cadde in un sonno beato. Mi girai intorno, alla ricerca di quella voce che mi aveva svegliata. L'oscurità della notte fece i suoi primi passi nella stanza, e le pareti si macchiarono d'ombre.
"È il momento!" esclamò l'uomo con tono profondo ed echeggiante.
Fissai un'ombra sul muro e mi avvicinai ad essa, carezzandola con la mano. Un brivido mi solleticò le dita e si cosparse sul braccio, per poi arrivare al cuore. La sensazione che questa fosse la mia ultima notte era sempre più intensa, come se dal piano astrale riuscissi ad averne la certezza, ma stranamente non temevo la morte. E, anche se il mio corpo fisico tremava dalla paura, e le mani strizzavano il lenzuolo, sentivo accendersi un barlume di speranza.
"Dove ti nascondi?" chiesi, girandomi intorno.
"Non sono nascosto" rispose quella voce. "Mi trovo nel Regno dei morti, e ho solamente pochi minuti per sfruttare questo collegamento. Tua sorella ti sta cercando in maniera ostinata, ma rischia di allontanarsi troppo dalla grande Porta Rossa... e di perdersi per sempre."
Una fitta mi colpì dritta al cuore e l'ansia si impadronì del mio corpo astrale.
"Ma tu chi sei? Mi aiuterai a trovarla?"
Tutt'a un tratto le ombre fluttuarono sui muri della stanza, fino a dissolversi nella notte.
"Ti porterò da lei!" rispose la voce. "Non c'è più tempo..."
Al centro della camera apparve la grande Porta Rossa, alta fino al tetto e con un pomello nero sul lato sinistro dell'infisso, contornata da uno strato sottile di nebbia bianca. Non appena la attraversai, il Regno dei morti si estese davanti ai miei occhi. Era un luogo cupo e buio, lacerato dal grido delle anime che vagavano smarrite.
In quell'istante emisi un gemito di stupore: un sentiero delimitato da piccole candele rosse cominciò a prendere forma davanti ai miei piedi nudi. L'oscurità era avvolta da una pallida foschia. Fluttuai in avanti per oltre cento metri e, quando giunsi accanto all'ultima candela accesa, la voce profonda e misteriosa che mi aveva svegliata nel grattacielo echeggiò alle mie spalle.
"Fermati!" esclamò con tono imponente.
Rimasi paralizzata sul posto. Il respiro mi si fermò in gola come se aspettassi intimidita il suo prossimo ordine.
"Ascolta bene le mie parole," riprese a dire "non ti rimane molto tempo."
All'improvviso quella voce mi sembrò familiare, ma non riuscivo più a muovermi; le gambe erano rigide come due tronchi d'albero, i piedi incollati al suolo, le mani intirizzite dallo spavento. Tentai di ricreare nella mente l'immagine del volto che pronunciava quelle parole, ma continuava a sfuggirmi ogni qualvolta sembrava l'avessi acciuffata... come se fosse nascosta in un angolo inaccessibile della mia memoria.
"So quello che stai pensando in questo momento" disse l'uomo. "Avevi già assaggiato questa sensazione prima di addormentarti. Riesci a sentirla scorrere liberamente nelle vene, mentre disinibita si fa spazio tra i grandi vasi sanguigni che alimentano il cuore. Un misto di paura e ansia ti stanno assalendo irrefrenabilmente e inizi ad avvertire un senso di smarrimento e di terrore."
L'inconfondibile cigolio dell'acciaio risuonò alle mie spalle e la mia anima vibrò per un istante, intimorita.
Come faceva quell'uomo a sapere cosa avevo avvertito nel grattacielo prima di prendere sonno, e cosa stessi provando in questo esatto momento?
Con uno sforzo di coraggio, girai di poco la testa, e con la coda dell'occhio intravidi due grandi ombre illuminate dalle candele rosse.
"Mi hai portata qui per uccidermi?" domandai con voce tremante. "Ora capisco... sei stato tu a marchiarmi la fronte."
"Sì, lo ammetto!" rispose con spudoratezza.
Un brivido mi fece sussultare, e per un attimo una morsa mi strinse la gola al punto di farmi soffocare. Portai le mani al collo e mi piegai sulle ginocchia, ansimando. Il fiato non riusciva a passare attraverso la faringe, lo sentivo stridere nel torace. Stramazzai al suolo e, quando pensavo che la paura mi stesse uccidendo, chiusi gli occhi e contai fino a dieci. Non appena spalancai le palpebre, mi rialzai da terra per guardare in faccia il mio destino.
Era successo tutto molto in fretta; mentre ero al suolo, avevo rivisto la scena più importante della mia vita. Spirali di fumo salivano al cielo da una macchina, un'utilitaria rossa, accartocciata contro il tronco di un albero, e i miei genitori erano seduti sui sedili anteriori. Le lacrime scendevano copiose sul mio viso, al punto che tutto mi appariva sfocato. Andrea mi stringeva forte al suo fianco, mentre i poliziotti parlavano in continuazione del nostro futuro, e di tante altre cose che non riuscivo a sentire. Uno di loro pensava che l'incidente fosse stato provocato da un malfunzionamento dei freni, ma non riusciva a spiegarsi il simbolo dell'Ankh apparso sulla fiancata dell'auto, per di più disegnato con il sangue. Il poliziotto non poteva capire, ma io conoscevo la verità già allora. I miei genitori erano volati via perché il Regno dei morti aveva reclamato le loro anime.
Con gli occhi socchiusi e la mente assolta da ogni paura, mi voltai verso colui che si era divertito a giocare con la mia mente. Sgranai gli occhi non appena lo vidi: l'uomo era seduto sopra un maestoso cavallo bianco, e indossava un'armatura rossa d'acciaio dotata di un elmo che impediva la visione del suo volto. Con la mano destra stringeva una larga spada avvolta da fiamme color porpora dai contorni bluastri, mentre con l'altra impugnava un grosso scudo circolare.
"Chi sei tu?" domandai con stupore.
"Sai già chi sono!" rispose con indifferenza.
"La tua voce... l'ho già sentita."
"La conosci, solo che ti rifiuti di crederci. Sei così tanto impegnata a cercare di reprimere la paura, che non riesci a pensare ad altro."
"Non è vero!" esclamai innervosita. "Togliti quell'elmo dalla testa e facciamola finita."
Egli fece un ghigno diabolico e annuì con la testa.
"Perché vuoi conoscere il volto di chi porrà fine alla tua inutile esistenza?"
"Ti chiedo solo questo! Hai un cavallo, un'armatura, una spada... e l'unica via d'uscita dal Regno dei morti si trova alle tue spalle. Come potrei sottrarmi al mio destino?"
L'uomo fece un altro ghigno malvagio.
"Non puoi, infatti!" esclamò esultante. "Voglio stringere un patto con te."
Digrignai i denti.
"Sentiamo!" dissi.
"Simulerò un fendente con la mia spada proprio sopra la tua testa e, se riuscirai a rimanere immobile, ti lascerò viva, e potrai passare giorni felici con tua sorella in questo posto... per l'eternità. In caso contrario, sbriciolerò la tua anima davanti ai suoi occhi."
Una vampata di calore accese il mio volto di rabbia. Strinsi i pugni e contrassi le braccia; quel cavaliere stava cercando in tutti i modi di farmi crollare psicologicamente, ma non ci sarebbe riuscito. Abbassai il volto e il respiro divenne corto.
"Sei solo uno squilibrato!" esclamai con disgusto.
Tutt'a un tratto, il cavaliere ripose la spada nel fodero dell'armatura, appese lo scudo alla sella e tolse l'elmo dalla testa, avvolgendolo sotto il braccio. Lentamente avevo rialzato gli occhi.
"Tu..." sussurrai.
Ebbi un tuffo al cuore e le gambe tremarono per l'agitazione. Egli mostrò un sorriso sinistro.
"Sorpresa?" domandò.
Iniziai ad ansimare come una vecchia locomotiva a vapore. Il torace stava quasi per scoppiare.
"Come... com'è possibile? Perché?"
La mia voce uscì strozzata. Egli passò la mano sui capelli scombinati ed esibì un ghigno malefico.
"L'essere umano è stato abituato fin dalla nascita a fidarsi dei suoi occhi, a credere solo in ciò che vede chiaramente. Si priva di tante altre capacità, non le sfrutta a dovere, non le coltiva nemmeno. Tralascia eventi fortuiti per negligenza, e li classifica in maniera superficiale sotto forma di destino. Tu sei solo una pedina di un progetto più grande di quanto tu possa immaginare."
Chinai il volto e le mie pupille si riempirono di lacrime.
"Sei sempre stato tu... fin dall'inizio... cosa ne hai fatto di mia sorella..."
Egli scoppiò in un grassa risata, indossò nuovamente l'elmo ed estrasse la spada dal fodero.
"Era tutto un inganno, stupida Sofia. Un piano studiato nei minimi dettagli sin dall'inizio. Tu sei sola una pedina, non conti niente, saresti dovuta morire tanto tempo fa. Ma Pietro, Andrea e tanti altri... oh, loro non possono morire, sono diversi. Tuttavia ho giurato al principe del Male di metterli fuorigioco prima che scoprissero le loro origini, il loro ruolo, i loro poteri. Il Messia sta agendo in maniera subdola e silenziosa, e io non posso permettermi di fallire."
I miei occhi si persero nell'oscuro orizzonte, immobili, mentre sentivo l'ansia prendere il possesso della mia anima. Dovevo prendere una decisione prima che fosse troppo tardi, prima che quelle parole mi avrebbero fatta diventare pazza. Non avevo idea di cosa stesse dicendo quel traditore, sentivo solo di dover fuggire lontano.
Di colpo un flusso vitale nitido e distinto, di un bianco perlato, si fece spazio tra le grida delle anime dannate, fluttuando a tutta velocità. Era l'anima di Andrea. Fu allora che la verità si fece spazio in ogni molecola del mio corpo astrale; non ero venuta fin qua per appagare la mia sete di ingenuità, ma perché nel profondo sentivo che questa sarebbe stata l'ultima occasione per dire addio a mia sorella.
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