Capitolo 25 - La verità è figlia del tempo (R)



Pianeta Terra - Data non pervenuta
Kephas.

"Non può essere! Non è reale."

Le mani erano aggrappate alla parete della navicella, le gambe deboli, gli occhi incollati all'oblò. La terra continuava a tremare, seppur con scosse leggere, e delle sagome svanivano all'orizzonte. La gola arsa, il respiro fermo in gola, le labbra schiuse appena. Un brivido improvviso mi scosse talmente forte da farmi perdere la presa dai pannelli di gommapiuma, e così mi accasciai al suolo, con gli occhi rivolti al soffitto. Un lieve formicolio mi solleticò dalla testa ai piedi; sentivo il mio peso leggero, quasi assente, come fossi narcotizzato.

Non potevo credere a ciò che avevo visto: ombre di animali giganteschi, rettili e volatili riuniti in gruppo e in marcia per scampare a un'improvvisa tempesta di pioggia, che adesso si abbatteva fuori dalla navicella. Nonostante la stazza, quelle ombre erano scomparse in fretta nelle tenebre, rifugiandosi chissà dove, non lasciando altro che un panorama infinito e desolato, illuminato soltanto dal chiarore delle stelle e dal bagliore pallido della luna. Ma per quanto fossi distante dall'oblò, quelle immagini continuavano a scorrere davanti ai miei occhi.

Il suono del calpestio di quelle enormi zampe sulla pianura spoglia d'erbe, e delle correnti d'aria incitate dallo sbattere di quelle imponenti ali, era svanito all'orizzonte, ma alcune vibrazioni echeggiavano ancora nell'atmosfera. Giacomo si precipitò sopra di me e mi scosse per le braccia, cercando di tirare a sé l'attenzione dei miei occhi distratti da quelle visioni.

"Kephas, stai bene?" domandò con aria preoccupata. "Sei con noi?"

Le sue parole mi parvero distanti. Egli mi aiutò ad alzare il busto da terra e assumere una posizione seduta. Lo guardai: l'ingegnere meccanico non sembrava riportare alcuna ferita, a parte un piccolo taglio sul lobo dell'orecchio.

"Credo di sì!" risposi. "Mi gira solo un po' la testa."

Le mie mani erano piene di tagli, le spalle e le guance pulsavano dal dolore. Il sangue sulle tempie si era asciugato. Giacomo mi diede una ripulita con un fazzoletto inumidito, poi medicò la ferita sulla fronte con acqua ossigenata. Applicò un cerotto, e dopodiché sollevò il suo braccio, indicando un punto dietro le mie spalle.

"Abbiamo un serio problema."

Mi voltai lentamente, in modo da analizzare la situazione, e una morsa mi strinse lo stomaco. Andrea era sdraiata per terra priva di sensi, con un taglio sanguinante sulla parte alta della fronte, e Simone la stava medicando.

"No!" dissi con un filo di voce. "Lei no."

Giacomo mi aiutò ad alzarmi da terra, la testa roteò un attimo, barcollai all'indietro ma l'ingegnere meccanico mi sorresse mettendo il mio braccio intorno al collo; a quel punto mi condusse lentamente verso la gemella. Se solo le fosse successo qualcosa, se solo non si fosse risvegliata, la nostra esistenza sarebbe finita. Lei doveva guarire, lei doveva vivere. Il viaggio astrale con la sorella era la nostra unica via di salvezza.

Tommaso balzò davanti a me in quell'istante, poco prima che potessi accertarmi delle condizioni di Andrea, e con aria euforica iniziò a dire: "Kephas, tu hai visto qualcosa? No, perché sto facendo delle domande in giro, e c'è chi dice di aver visto dei dinosauri... cioè, credono che siano stati loro a catapultare su e giù la navicella. Ci pensi? I dinosauri!".

Aggrottai le sopracciglia saettando uno sguardo truce, e all'improvviso la sua euforia si mutò in stupore. Con uno scatto lo afferrai per il collo e strinsi le dita con tutte le mie forze.

"Non ora!"

Tommaso portò le mani al collo come per volersi liberare, e con voce strozzata mi supplicò di lasciarlo andare. Così sciolsi la presa, pur mantenendo uno sguardo minaccioso, e massaggiandosi la gola con aria imbronciata, si scansò di lato, ritirandosi altrove senza più fiatare.

Dunque fece gli ultimi passi in avanti, mi piegai su un ginocchio alla sinistra di Simone, e Giacomo si posizionò alla destra, mentre il resto dei Viaggiatori sembrava occupato a scrutare il paesaggio dagli oblò, a quanto pare senza riportare ferite rilevanti.

"Che le è successo?" domandai al militare, osservando il viso spento di Andrea.

Il taglio sulla fronte si era ormai ridotto a una sottile linea rossa ed era stato cucito con dei punti; e, anche se le avrebbero lasciato una cicatrice indelebile, erano vicini all'attaccatura dei capelli, e non si sarebbero visti troppo.

"La scossa di terremoto non è stata clemente con lei" rispose Simone. "Deve essersi procurata questo taglio a seguito di una brusca caduta."

Sospirai, stropicciando gli occhi con le nocche delle mani.

"Si riprenderà?"

"Ha subito una forte botta alla testa, ma si riprenderà."

Piegai il volto di lato e fissai Simone, che nel mentre avvolgeva una benda bianca intorno alla fronte di Andrea, con scrupolosa diligenza.

"Non funziona niente in questa navicella," gli mormorai "e ormai saranno quasi le 9; Sofia la starà aspettando nel Regno dei morti."

"Questo è un guaio..." disse Giacomo dall'altra parte. "Un vero guaio."

Simone sospirò, angustiato.

"Non posso sapere quando riprenderà i sensi. Potrebbe accadere tra mezz'ora, o due ore, o addirittura domani. Il mio lavoro qui è finito, sarà il suo corpo a stabilire quando tornare tra noi. Non possiamo fare altro che aspettare."

Chinai il volto, triste e furioso allo stesso tempo, e strinsi i pugni fino a che le nocche non mi fecero male.

"Questa non ci voleva" brontolai. "Questa proprio non ci voleva."

Trascinai le gambe fino alla parete, e con una mezza giravolta piombai con il fondoschiena per terra, poggiando la schiena sui pannelli di gommapiuma. Distesi le gambe, e chiesi gentilmente a Giacomo di cercare un cuscino, o qualsiasi cosa altrettanto morbida, da poter posizionare sotto la testa della gemella. E così fece.

"Passerò la notte sveglio" dissi a Simone, con uno sguardo severo. "Terrò d'occhio Andrea mentre voi cercherete di riposare. Il viaggio nel tempo ci ha scombussolato parecchio, e gli ultimi avvenimenti non stanno di certo remando a nostro favore."

Distolsi lo sguardo altrove, su un oblò poco distante.

"La premonizione di Sofia non si è avverata, ma è stato un bene per noi che abbia deciso di restare nel grattacielo. Le due gemelle, ora come ora, sono la nostra unica via di salvezza."

Simone si gettò sul pavimento al mio fianco e strofinò le mani sporche di sangue sui jeans.

"Non è colpa tua..." disse, con lo sguardo basso. "Non devi per forza fare tutto da solo, hai preso una bella botta anche tu... ma se questo ti farà sentire meglio, te lo lascerò fare. Per questa notte faremo così; la pioggia è molto forte e al buio è inutile ispezionare la zona. Domani, con le prime luci del giorno, tutto ci sarà più chiaro."

Simone si strofinò il naso e fece un cenno con la testa, e stava per alzarsi quando lo afferrai per il braccio.

"Le voci che girano sono vere," sussurrai "li ho visti anch'io. Erano dinosauri."

Il militare posò una mano sulla mia e la allontanò dal suo braccio lentamente. Lo sguardo serio e impenetrabile.

"Kephas... in ogni caso non dovremmo preoccuparci, sono animali erbivori. Ciò che mi interessa adesso è come sopravvivere in questo posto."

Feci un cenno con la testa in segno di approvazione e così si allontanò, verificando la condizione di salute del resto dei Viaggiatori. Fulmini rossastri illuminavano il cielo, echi di tuoni risuonavano lontani. Giacomo tornò dall'ispezione con due pannelli di gommapiuma e me li porse.

"È l'unica cosa morbida che sono riuscito a trovare" disse con affanno.

Li adagiai sotto la testa di Andrea e delicatamente le carezzai i lisci capelli biondi.

"È ancora meglio delle mie aspettative" risposi.

Tutt'a un tratto Matteo corse verso il portellone e premette il pulsante d'apertura.

"Diamine!" gli urlò Simone. "Cosa fai?"

"Credo di aver capito perché non cresce nulla in questa valle" disse lui, con tono sicuro di sé.

Non appena il portellone si aprì e la rampa di scale scese sulla terraferma, un odore poco gradevole simile a uova marce serpeggiò sotto i nostri nasi. Matteo tuffò la mano fuori e, non appena questa si bagnò sotto la pioggia, portò due dita alla bocca, assaggiandone il liquido. Assaporò un istante, poi il suo volto si contrasse in una smorfia disgustata. Gli occhi stretti e le labbra arricciate. Chiuse il portellone, voltò la testa di lato e cominciò a sputare.

"Che ti succede?" gridò Bartolomeo con tono impaurito, accorrendo in suo aiuto.

Matteo placò i sentimenti dell'amante aprendo una mano.

"Come immaginavo..." disse con voce rauca, tossendo più volte. "Questa pioggia è acida."

Il silenzio cadde sulla piattaforma e, nonostante il portellone fosse ormai chiuso, la puzza di uova marce infestò l'aria. Gli occhi fissi su Matteo.

"Pioggia acida?" ripeté Filippo, con lo sguardo preoccupato. "Ed è pericolosa?"

Giovanni scoppiò a ridere e gli diede uno spintone.

"Cribbio, certo che è pericolosa! Altrimenti non si chiamerebbe acida."

Filippo lo guardò con aria perplessa e si rivolse al fisico: "È davvero così?".

Matteo si massaggiò il mento e scosse piano la testa.

"Non proprio. In teoria non dovrebbe essere pericolosa, ma a giudicare dal terreno spoglio, sarà meglio non rimanere fuori con tempeste come questa."

Fece qualche passo di lato e si avvicinò a un oblò, guardando la terra con aria pensierosa.

"Troppa acqua fa male, e se quella mandria imbufalita si è allontanata così in fretta, a noi potrebbe fare davvero male; scottarci la pelle, bruciarla, o addirittura scioglierla."

Taddeo mandò giù un groppo di saliva e, con voce tremante, balbettò: "Potrebbe... scioglierla?".

Il fisico si voltò con aria severa, si avvicinò al camionista e, poggiando una mano sulla sua spalla, annuì più volte dispiaciuto.

"No!" rispose Matteo. "Vi stavo solo prendendo in giro."

Timidi sorrisi apparvero su ogni bocca dei Viaggiatori, tranne in quella di Simone, che si sedette sulla sua poltrona con le braccia conserte e prese a riposare, stanco di quelle chiacchiere. La discussione andò avanti con qualche altra domanda sui dinosauri, ma dal momento che nessuno fosse informato a tal punto da saperne parlare per più di qualche minuto, dopo circa mezzora decidemmo di sistemarci per la notte, e aspettare il nuovo giorno per sanare ogni dubbio.

Anche se poc'anzi avevo annuito a Simone dandogli ragione, la priorità non era certo quella di trovare il modo di sopravvivere. Ma, se gliel'avessi fatto credere, avremmo potuto capeggiare su due file separate: io mi sarei occupato di Andrea, e lui di questo posto.

Una parte dei Viaggiatori, tra cui Federico, Alessio e Giacomino, decise di stendersi per terra, sul pavimento nero di gomma, mentre gli altri si sistemarono sulle poltrone foderate di camoscio. Ora la notte si rivelava più luminosa; la luna era un globo bianco nel cielo, e le stelle scintillavano come diamanti.

Per circa mezz'ora, nessuno riuscì a prendere sonno: chi si metteva a bocconi, chi supino, chi sui fianchi; ogni tanto schiudevo di poco le palpebre e vedevo i Viaggiatori girarsi e rigirarsi, poi la stanchezza prese il sopravvento e non si udì più nulla. Il silenzio si fece spazio nella semioscurità della sala, a tratti disturbato dai ronfi di Giovanni. Non appena ebbi la certezza che tutti dormissero, chiusi le palpebre e crollai in un sonno profondo.

Era già notte fonda quando all'improvviso spalancai gli occhi e Andrea, al mio fianco, cominciò ad avere degli spasmi involontari. Le gambe e le braccia sussultavano a intervalli regolari, soffici passi invisibili pestavano il pavimento; bisbigli femminili, ronzii e respiri profondi. Un brivido gelido mi fece rizzare i capelli sulla nuca e il corpo della gemella si quietò all'istante. Che Andrea fosse uscita dal suo corpo?

Allungai la mano sopra la sua testa, ma la ritrassi un attimo dopo. Se fossi andato con lei, sarei stato solo d'intralcio. Tutt'a un tratto una strana consistenza mi diede fastidio alla tasca dei jeans e così vi portai una mano sopra. Sgranai gli occhi: mi ero quasi dimenticato del biglietto che Goethe mi aveva consegnato la sera prima della partenza. Impaziente di conoscerne il contenuto, lo tirai fuori dalla tasca e lo lessi: "La verità è figlia del tempo!".

I miei occhi rimasero incollati su quel biglietto per un minuto intero, e per la prima volta dubitai dello scienziato. L'aria si fece opprimente, ma la tempesta era svanita.

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