Capitolo 23 - Dove siamo finiti? (R)
Pianeta Terra - Data non pervenuta
Kephas.
"Marie! Ettore!" pensai nella testa. "Riuscirò mai ad abbracciarvi di nuovo?"
I Viaggiatori si slacciarono in fretta e furia l'imbracatura e balzarono dalle poltrone, curiosi di vedere con i loro occhi dove eravamo atterrati. Dunque mi gettai di lato, incollando le spalle alla parete. Dopodiché feci scivolare la schiena in basso, fino a quando il fondoschiena sbatté sul pavimento. Quattro oblò per tredici persone erano davvero pochi, e i Viaggiatori lo sapevano bene, e fu per questo che per poco non si venne a creare una rissa per chi dovesse guardare fuori per prima. Alessio, Giacomino e Tommaso erano rimasti nelle retrovie, e già confabulavano tra loro sulle possibili eventualità.
"C'è Cleopatra?" domandò il militare più giovane, ridacchiando. E Simone gli diede uno scappellotto sul collo.
"Forse ci sono le Amazzoni!" esclamò Giacomino, facendo finta di agitare con le mani un'ascia e uno scudo.
"O magari siamo al Polo Nord!" esultò Tommaso, stringendo un pugno davanti al corpo. "Nella fortezza di Kal-El."
Tutti e tre erano ben distanti dalla realtà, ma non dissi nulla per evitare di infrangere i loro desideri, seppur sciocchi e infantili. Quando, dopo aver osservato lo scenario al di là degli oblò, i Viaggiatori tornarono a sedersi uno dopo l'altro sulle loro poltrone, i tre sempliciotti poterono farsi una loro idea sull'accaduto.
"Ma questo cambia tutto!" esclamò Alessio sconvolto, immobile come una statua.
"Improvvisamente non ho più voglia di scherzare" replicò Giacomino, scrollando la testa.
"Dove diavolo siamo finiti?" urlò Tommaso, tremando come un cagnolino intirizzito dal freddo.
I tre si accasciarono sul pavimento al mio fianco, senza dire più una parola. Lo sguardo basso e assente, e le mani chiuse in preghiera poggiate sulla fronte. Il silenzio scese sulla sala comandi e nessuno fiatò per quasi un minuto intero.
"Com'è possibile?" chiesi ad alta voce, rivolgendo lo sguardo verso Giacomo. Egli si mise le mani tra i capelli e mi fissò senza aprire bocca. "Abbiamo fatto tutto esattamente come descritto dal dottor Goethe."
All'improvviso Filippo si alzò dalla sua poltrona e si catapultò sul quadro comandi, premendo lo stesso tasto più volte.
"Niente!" urlò, lasciando penzolare le braccia lungo i fianchi. "È tutto morto. Non c'è corrente."
Giovanni balzò in piedi e urtò Filippo con la spalla per prendere il suo posto.
"Levati!" esclamò. "Fai dare un'occhiata a chi ne capisce di più."
Dunque si piegò sulle ginocchia, aprì uno sportello sotto il quadro comandi e controllò la centralina del sistema elettrico. Si sistemò gli occhiali e guardò meglio, provando ad allungare in avanti una mano, che ritrasse come un fulmine dopo che una scintilla esplose all'improvviso.
"Qui è tutto andato!" disse tirandosi su, agitando la mano come se si fosse scottato. "Ci vorranno dei mesi per sistemare questo disastro."
"E dove troveremo il necessario?" domandò Filippo. "Hai visto cosa c'è fuori?"
Giovanni si accasciò sul pavimento, sospirò amaramente e si mise a pulire gli occhiali.
"Ho visto..." rispose. "Non c'è niente."
Filippo piegò il collo in basso e si sedette accanto all'ingegnere elettronico, sostenendo la testa con le nocche pressate contro le guance.
"Esatto..." sospirò. "Niente..."
Il silenzio avvolse ancora una volta la sala comandi.
"Marie!" urlai nella testa. "Ho sbagliato qualcosa? Non sarei dovuto partire? Ho forse sbagliato a pensare di poter cambiare la storia?"
Cercai di spremere le meningi e riflettere su una possibile soluzione, ma tutt'a un tratto giunsero solamente dei cattivi pensieri.
"È possibile" domandai "che qualcuno abbia alterato la quantità di plutonio?"
"In che senso?" replicò Matteo, incuriosito.
"Voglio dire... sappiamo che Giacomo è stato incaricato da Goethe di inserire il plutonio nel recipiente del carburante. Ma se qualcuno, dopo di lui, ne avesse aggiunto dell'altro?"
"E chi mai farebbe una cosa simile?" chiese Matteo, le cui sopracciglia adesso apparivano incurvate e rialzate.
"Ieri sera" dissi alzandomi da terra "ho visto Kariot impegnato a scrivere qualcosa su un foglio, ma non sono riuscito a capire esattamente cosa fosse." Mi avvicinai a un oblò e guardai fuori, sospirando. "Conosciamo tutti quello che ha fatto, e sappiamo anche come ci siamo comportati noi nei suoi riguardi." Mi voltai verso Matteo, fissandolo duramente con le labbra serrate. "Certo, è solo un'ipotesi, ma potrebbe essere stato lui."
"Dici sul serio?" sbottò Andrea, sollevandosi dalla poltrona. "Ma se così fosse, Sofia potrebbe essere in pericolo." Passò una mano tra i suoi lisci capelli biondi e sgranò gli occhi. "Se voleva mandarci qui di proposito, ucciderà mia sorella prima di stasera!"
Un vagito echeggiò nella sala e tutti ci girammo verso Taddeo, che stava rannicchiato sulla poltrona con la testa tra le gambe.
"Che ti succede?" gli domandai, avvicinandomi.
"Niente!" rispose. "Niente stazione elettromagnetica, niente plutonio. Rimarremo qui per il resto dei nostri giorni."
"Non tiriamo conclusioni affrettate!" urlò Simone, avvicinandosi al portellone. "Mi meraviglio di te, Kephas!" Si voltò di spalle e mi fissò con occhi torvi. "Da quando, anziché dare speranza, inciti al sospetto?"
Il suo sguardo mi provocò un tuffo al cuore e mi fece tremare l'anima. Il fiato sembrò spegnersi in gola e non una parola uscì dalla mia bocca.
"Sarà meglio andare fuori" riprese a dire il militare "e perlustrare la zona. Dobbiamo capire dove ci troviamo e quando ci troviamo. Solo dopo sarà permesso piangersi addosso."
Simone pigiò il pulsante sulla parete e il portellone si sganciò verso l'esterno, emettendo uno sfiato prolungato. A seguire la rampa di scale discese verso il suolo, e così uno dopo l'altro cominciammo a esplorare il paesaggio. La piattaforma era atterrata su una pianura spoglia d'erbe, di fiori e d'alberi; a sinistra si poteva scorgere il mare, le cui acque scorrevano da est a ovest senza mai una fine, mentre a destra vi era un'immensa campagna attraversata da un fiume. Tutt'intorno il paesaggio brulicava di insetti e serpenti. Afferrai la pistola e la tirai fuori dalla fondina.
Simone impugnò la sua arma, indicò il fiume e disse: "Di là!".
Prese a camminare guardandosi intorno, senza neppure chiedere l'approvazione dei Viaggiatori; tuttavia nessuno tentò di opporsi, e così lo seguimmo in silenzio. L'aria risultava rarefatta e umida, il suolo molto caldo. Il paesaggio sembrava pressoché pianeggiante e vi erano molti vulcani all'orizzonte. Dopo circa un paio d'ore, giungemmo alla riva del fiume.
L'acqua scorreva lenta, al ritmo sonnolento di quel luogo, e veniva carezzata da focosi raggi solari, aggirando rocce e massi per lambire le rive con un debole sciabordio. Mi accovacciai e affondai le mani nella sua limpida profondità, rinfrescando i polsi e le braccia, e poi ancora il viso e il collo: una sensazione di sollievo mi inebriò all'istante. Al mio fianco, Andrea fece lo stesso, regalandomi uno dei suoi dolci sorrisi.
"Non preoccuparti per Sofia" dissi, poggiandole una mano sulla spalla. "Kariot non farebbe mai una cosa simile. Pensavo finalmente di poter riabbracciare la mia famiglia, e quando ho visto che il viaggio era andato storto, ho solo pensato a dare la colpa a qualcuno."
Scossi la testa, serrando la mascella.
"Deve esserci stato di sicuro un problema nel dosaggio del plutonio. Dopotutto anche Goethe può aver sbagliato." Chinai il volto, pensieroso, e sospirai. "Stasera, quando ti metterai in contatto con tua sorella, vedremo come risolvere la situazione." Mi voltai verso di lei e le carezzai la guancia con il dorso delle dita. "Vedrai che andrà tutto bene."
Andrea fece un cenno con la testa, chiuse gli occhi e mi strinse le dita, come se volesse lasciarle sulla sua guancia ancora per un po'. Nel mentre i Viaggiatori si sedettero uno accanto all'altro e, come ipnotizzati, fissarono il letto del fiume, in silenzio. In profondità c'erano dei ciottoli colorati che, sotto la luce del sole, luccicavano formando un arcobaleno, e ogni tanto guizzava qualche pesciolino qua e là.
In quell'istante la natura alleviò ogni mia preoccupazione; un brivido attraversò le braccia e mi solleticò il petto. Per quanto fosse distante, ancora più di prima, sentivo la mia famiglia a un passo da me, come se potessi toccarla con un dito.
"A cosa stai pensando?" mi chiese Andrea con un filo di voce.
Sorrisi. Il mio sguardo era perso nello sciabordio delle acque.
"Alla mia famiglia..." sussurrai, con un lieve bruciore agli occhi.
Lei si avvicinò e mi strinse in un abbraccio, poggiando la testa sulla mia spalla.
"Vedrai che andrà tutto bene."
Mi lasciai andare in un lungo e silenzioso sbadiglio e un'improvvisa sonnolenza, forse dovuta al viaggio temporale, indusse la mia schiena a stendersi sui fili d'erba che rivestivano lo strato di terra della riva. Distesi anche le gambe, chiusi gli occhi e, mentre Andrea si accoccolava sul mio petto, mi lasciai cullare dal sibilo del vento. E così mi addormentai.
La mente viaggiò tra pensieri felici e nascosti, poi si introdusse in mezzo ad astruse formulazioni di verità. Quando mi risvegliai di colpo, l'alba aveva ceduto il suo posto al tramonto, e il freddo aveva congelato l'aria. D'istinto sollevai il busto da terra e il viso di Andrea, poc'anzi sul petto, scese fino all'inguine.
"Ehi!" disse lei, svegliandosi in quell'istante. "Che modi sono? Avresti potuto chiedermelo!"
Sollevò la faccia e mi fissò con le sopracciglia aggrottate.
"Ehi, no!" esclamai, scrollando la testa. "Non è come pensi."
Le guance divennero calde e un grumo di saliva mi si formò in gola. Andrea socchiuse le palpebre in uno sguardo sospettoso e fece più cenni con la testa.
"Certo... come no!"
Mi grattai la nuca e chiusi gli occhi, imbarazzato. Quando il calore scomparve dalle gote e la salivazione tornò regolare, spalancai le palpebre e mi girai intorno.
"Abbiamo dormito un sacco!" osservò Andrea, sfregando le mani sulle gambe e poi sulle braccia. I Viaggiatori erano avvolti in un sonno profondo. I visi beati.
"Sveglia!" esclamai, alzandomi in piedi. "Dobbiamo tornare subito alla piattaforma."
Simone aprì gli occhi per primo, balzò in piedi e mi aiutò a scuotere per le braccia il resto del gruppo che, assalito dal freddo, non perse tempo a lasciare quel posto. E così ci incamminammo per il sentiero di ritorno.
"Ma come faremo a sapere quando sono le 9?" domandò Alessio, durante il tragitto.
"Ci fideremo del nostro istinto" risposi. "Oppure puoi cominciare a contare, se vuoi."
Egli fece una smorfia.
"Ah ah... spiritoso."
Il sole cadeva a picco nell'oceano di fronte a noi, il cielo era un prisma di colori senza nuvole, e l'aria sapeva di pioggia. Dopo circa un paio d'ore, arrivammo a destinazione. Per prima cosa cercammo qualunque oggetto funzionante, mettendo a soqquadro ogni armadietto, cassetto o mensola della piattaforma. Tutt'a un tratto, durante la ricerca, la terra iniziò a tremare violentemente, e la navicella traballò così forte da catapultare i nostri corpi da una parete all'altra senza controllo.
Delle possenti grida gutturali, seguite da profondi tonfi, echeggiarono tutt'intorno, e un urto improvviso capovolse di lato la piattaforma, e poi ancora e ancora, fino a farla ritornare all'assetto di partenza. Di punto in bianco mi ritrovai disteso sul pavimento, con la vista offuscata e la testa pesante. Le mani erano piene di tagli, le spalle e le guance pulsavano dal dolore. Uno strano formicolio mi solleticò la fronte, poi serpeggiò sulle tempie. Vi passai una mano e la osservai: era sangue.
Nonostante la terra continuasse a tremare, vittima dei rimasugli delle scosse precedenti, strinsi i denti e mi avvicinai all'oblò più vicino, strisciando sul pavimento. Dunque mi aggrappai alla parete e mi sollevai in piedi. Pensando che stessi sognando, mi diedi uno schiaffo in faccia, ma lo scenario rimase immutato. Allora socchiusi le palpebre per mettere a fuoco le sagome che svanivano all'orizzonte sotto le stelle, e in quell'istante tremai dalla paura. Il viaggio, anche se istantaneo, era durato centinaia di milioni di anni.
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