Capitolo 16 - I Nuovi Redentori (R)
Roma - 6 giugno 2026
Kariot.
Un flash mi accecò la mente. Il frinio delle cicale si amalgamava al cinguettio degli uccellini. Il rumore di terra asciutta e compatta, velata da granelli di ghiaia, veniva calpestata alle mie spalle. I polsi bruciarono; ero stato rapito. Spalancai le palpebre: i raggi del sole mi ferirono e così le richiusi un attimo dopo.
Ero seduto per terra, le gambe distese sopra un terreno raso a macchie verdi, marroni e grigie. La schiena era poggiata su un oggetto duro, probabilmente un albero. Le braccia tirate dietro al dorso e avvinghiate al tronco, e i polsi legati da qualcosa, forse una corda. Davanti a me mi era sembrato di vedere un'enorme struttura, simile a un castello.
"Sta' tranquillo" aveva sussurrato un uomo al mio orecchio, dopo avermi bendato. "Kephas sta bene, e se deciderai di collaborare, lo vedrai presto."
Il sole era cocente, la gola asciutta, i vestiti madidi di sudore. La benda nera era sparita così come la mia pistola. Allargai di nuovo le palpebre per riprendere il controllo della vista e, a poco a poco, mi abituai allo scintillio dei raggi solari. Davanti a me vi era un castello, le cui mura erano spoglie, umide e scrostate e, in alcuni tratti, ricoperte di muffa. Tutt'intorno vi erano alberi stretti e lunghi, con un fogliame verde scuro, denso e copioso, e alti lampioni grigi spenti più in là.
All'improvviso alcuni passi si fecero sempre più vicini, fino a quando un'ombra coprì il nucleo del sole, ergendosi davanti ai miei piedi. Alzai gli occhi al cielo, a fatica. Era un uomo giovane, con indosso una tunica nera e un turbante dello stesso colore. Una catenina d'oro con un crocifisso appeso gli scendeva sul petto. Le guance erano senza un filo di barba, gli occhi di un castano molto scuro, e degli strani orecchini di cristallo, a forma di clessidra, pendevano dalle orecchie per oltre cinque centimetri.
"Chi sei tu?" domandai, con un filo di voce.
La gola era secca, a tal punto che la saliva sembrava procurarmi dei tagli sul palato. I polsi, stretti da una corda fibrosa e ruvida, scottavano sotto un sole che era già giunto a metà del suo cammino. L'uomo mi fissò con un ghigno deforme.
"Finalmente sei sveglio!" disse con una voce sottile e acuta. "Clemente V sarà felice di fare la tua conoscenza."
L'aria sembrò fermarsi per un istante. Lo stupore mi pervase il viso.
"Chi?" sospirai.
L'uomo mostrò un ghigno. Poi agitò una bottiglia d'acqua che teneva nella mano destra e la gettò tra le mie gambe.
"Bevi!" esclamò. "Non fare domande... e non aprire quella bocca." Portò una mano sulla testa e si grattò il turbante. "Anzi, mi rettifico. Aprila soltanto quando avrai il permesso dei Nuovi Redentori, ed in particolare quello di Clemente V."
Feci per acchiappare la bottiglia, ma i polsi urlarono dal dolore, bruciando. Le braccia, tirate dietro al dorso e avvinghiate al tronco, erano indolenzite.
"Le mie mani..." dissi.
"Ah!" borbottò l'uomo. "Me l'ero dimenticato. Stai fermo."
Infilò la mano in una tasca laterale della tunica e tirò fuori un coltellaccio. Con fare indisponente, anziché girare attorno al tronco e tagliare la corda da lì, si sporse in avanti appiccicando la sua tunica sudata alla mia faccia e, per mantenere l'equilibrio, mi spinse la nuca contro il tronco, con l'ascella calda e maleodorante.
"Buon Dio!" strepitai, scuotendo le spalle come per scansarmi. "Ma cosa fai?"
L'uomo agitò le mani su e giù e, l'energia espressa dal movimento, mi fece sbattere più volte contro il fusto liscio e spigoloso dell'albero.
"Ehi!" urlai, con la voce soffocata dal tessuto della tunica. "Razza di idiota! Smettila subito!"
La corda si spezzò subito dopo.
"Adesso sei libero!" disse l'uomo, con voce allegra.
Poi fece qualche passo indietro, con la corda in una mano e il coltellaccio nell'altra.
"Sì!" esclamai con disgusto, massaggiando i polsi. "Grazie tante. La prossima volta che devi tagliare una corda, fallo da dietro." Afferrai la bottiglia d'acqua e la bevvi in un baleno.
"Se vuoi possiamo rifarlo" ribatté lui.
Rigurgitai l'ultimo sorso d'acqua, e con una mano asciugai le labbra.
"Ti ringrazio, ma non è necessario."
Gettai la bottiglietta vuota per terra e mi sollevai in piedi con un balzo. La testa mi sembrò leggera e ruotò su se stessa, e la vista si annebbiò per un momento. D'istinto afferrai un ramo dell'albero per riprendere l'equilibrio. L'uomo si avvicinò al mio orecchio mostrando un sorriso deforme e, con un bisbiglio, disse: "La prossima volta che io ti chiedo una cosa, dì di sì".
Con uno scatto allontanai il mio volto dal suo; la sua voce e le sue strane espressioni mi davano il voltastomaco.
"Sì, signore!" risposi, sputando per terra. "La mia pistola?"
L'uomo girò attorno a me con gli occhi accigliati e le labbra semiaperte in un risolino sinistro, poi accarezzò l'albero e si distese al suolo, con la schiena poggiata al tronco e le gambe stese e incrociate in avanti. Lo sguardo fiero rivolto a una dozzina di persone che sbucarono da più parti del giardino.
"Vostra Maestà Clemente V!" esclamò con gioia l'uomo. "La recluta è tutta vostra."
Spalancai le palpebre, mentre un senso di stupore mi avvolgeva dalla testa ai piedi. Gli uomini apparsi all'improvviso, adesso disposti uno accanto all'altro di fronte all'albero, vestivano tutti allo stesso modo, e sembravano avere la medesima età dell'uomo che mi aveva slegato i polsi. Tra questi, però, ne spiccava uno in particolare: la sua appariscente veste e l'età, di gran lunga superiore alla media, lasciava pensare che fosse il famigerato Clemente V.
"Kariot!" esclamò quest'ultimo, con voce calda e solenne. "È una fortuna aver pescato proprio te."
Inarcai le sopracciglia. Le palpebre erano tese.
"Come conosci il mio nome?"
Egli alzò la mano e agitò l'indice con fare ammonitore.
"Come conoscete il mio nome, Vostra Maestà Clemente V?"
L'uomo era un anziano con diverse rughe sul volto. Indossava una tunica rosso rubino e una corona d'oro al posto del turbante. Una catenina intarsiata di diamanti con un crocifisso appeso gli scendeva sul petto. La barba era un cespuglio grigio, gli occhi due sfere scure e profonde, e un orecchino a forma di triangolo luccicava nel lobo dell'orecchio sinistro.
"Come conosci il mio nome?" ripetei, sputando per terra. "E dove hai nascosto Kephas?"
Clemente V fece uno sbuffo ironico guardandosi intorno, alzò entrambe le mani come per placare l'ira dei suoi uomini, che d'un tratto mi guardavano con sdegno, e s'incamminò verso di me. Oltrepassò il mio fianco con lo sguardo alto e fiero e, senza neppure darmi conto, procedette verso le porte del castello.
"Seguimi!" urlò con furore. "Risolveremo la questione da uomo a uomo."
Lo fissai con la coda dell'occhio mentre i suoi uomini, fermi davanti all'albero, mi facevano segno con le mani di seguirlo, spalancando le mascelle in sorrisi sinistri. Con disgusto, mi voltai e camminai alle spalle di Clemente V. Alle porte del castello, egli arrestò i suoi passi e, di conseguenza, mi fermai al suo fianco.
"Ebbene..." dissi. "Come intendi risolvere la questione?"
Egli mi guardò di sbieco.
"In nessun modo, Cristo!" esclamò sottovoce.
Scossi la testa, perplesso.
"Eh?"
Il bizzarro anziano mi afferrò il braccio e sussurrò al mio orecchio: "Sei forse pazzo? Farmi fare certe figure davanti ai miei sudditi? Non farlo mai più! O sarò costretto a tagliarti un dito, Cristo Santo!".
Tolsi il braccio dalla sua presa e, dopo aver fatto un passo indietro, lo fissai con stupore.
"Cos'è questa messa in scena?" sbottai. "Chi siete? Cosa volete da me? Come conoscete il mio nome? Dov'è Kephas?"
Clemente V mi fece segno di parlare a bassa voce, poi, osservando le porte del castello, disse: "Siamo un gruppo di vescovi, preti e diaconi. Vivevamo in Vaticano fino a qualche tempo fa, dopo... una guerra ha rovesciato l'equilibrio all'interno di quelle mura".
"Avevo ragione, allora!" bisbigliai. "Esistono altri sopravvissuti! Continua a parlare, ti ascolto."
Clemente V scosse la testa, sogghignando.
"Non hai un'arma e fai lo sbruffone. Cosa ti rende così sicuro di te?"
Misi le braccia conserte e osservai il cielo azzurro.
"Beh, tanto per cominciare se aveste voluto uccidermi, l'avreste già fatto. Deduco, quindi, che vi servo per qualcosa."
L'anziano dall'abito rosso rubino sorrise.
"Ricordi il suono delle campane?"
"Sì!" esclami, staccando lo sguardo dal cielo con una smorfia accigliata.
"L'ho seguito e poi siete arrivati voi, e mi avete narcotizzato."
Egli sbuffò divertito e si lisciò la barba grigia.
"Sì, beh... non erano campane vere. Abbiamo utilizzato uno stereo con delle casse molto grandi, lo stesso che abbiamo adoperato per confondere Kephas, e portarlo alle porte del Vaticano."
Inarcai le sopracciglia, stringendo i pugni dalla rabbia.
"Cosa? Ci stavate osservando? Come sta Kephas?"
"Kephas starà bene" rispose. "Vi abbiamo visto arrivare con quelle strane navicelle su Palazzo Montecitorio. Così mi sono detto: Ehi! Che fantastica coincidenza! Utilizzerò quegli uomini, a momento debito, per riprendermi il Vaticano. E così ho fatto. Anzi... vorrei fare."
Un brivido mi paralizzò gli arti.
"Cosa avete visto di preciso?"
L'anziano alzò le spalle.
"Nulla di che. Nulla che possa importarmi. Tu vuoi rivedere Kephas e io voglio riprendermi il Vaticano. Facciamo un accordo pacifico: tu mi aiuti a farmi entrare lì dentro, e io farò in modo di fare tornare te, e il tuo amico, dalla vostra combriccola. Poi ognuno andrà per la sua strada, senza rancore. Sono un uomo d'onore, mantengo sempre la parola data."
"Se le navicelle non lo hanno stupito," pensai nella mia testa "chissà cosa nascondono all'interno del Vaticano."
Protesi il braccio in avanti con la mano aperta, intento a stringere la sua per convalidare l'accordo. Clemente V spalancò gli occhi, allarmato.
"Abbassa quella mano, Cristo Santo! Ci stanno guardando."
Spingendo le labbra in fuori, riposi il braccio lungo il fianco.
"Mah! Comunque, come intendi entrare?"
Egli sospirò, chiudendo le palpebre per un istante. Poi si ricompose, lisciando con le mani la sua tunica rosso rubino.
"Dal cancello, è ovvio!" esclamò. "So come ragionano le persone lì dentro. Sono dei codardi! Avranno raccontato a Kephas tante di quelle bugie che adesso lui, di sicuro, starà cercando un modo per mettersi in contatto con te."
"Una ricetrasmittente!" pensai ad alta voce. "Non credo ci sia altra soluzione."
"Esatto!" rispose lui, strofinando le mani con un ghigno. "Avrà di sicuro richiesto una ricetrasmittente e loro, ingenui, gliela avranno data. Che io sappia ne posseggono due, entrambe con un raggio d'azione molto corto."
Strofinai il mento con il dorso dell'indice. Lo sguardo assorto.
"Quindi? Come intendi procedere?"
Clemente V si sistemò la corona d'oro sulla testa e si schiarì la voce.
"Quello che faremo è partire questa notte, quando loro dormiranno, così dovremo stare attenti solo ai soldati posizionati nella torre di guardia. Tu ti avvicinerai al cancello principale, e cercherai di metterti in contatto con Kephas. Dopodiché gli ordinerai di aprire il cancello di nascosto, senza farsi notare. Gli basterà premere un pulsante sul muro, nulla di più semplice. Quando le guardie si accorgeranno di voi, sarà già troppo tardi."
Un brivido freddo serpeggiò sulla schiena.
"Cosa ne farete delle persone che abitano lì dentro?"
Clemente V serrò le labbra e mi fissò. La sua espressione era severa. I nostri sguardi incrociati.
"Spareremo a chiunque si opporrà al nostro volere" rispose.
Gocce di sudore pressarono sulla fronte. Il battito del cuore si fece irregolare. Le mani tremarono.
"Ma così..." sussurrai. "Così moriranno tutti."
Egli aprì le braccia e alzò le spalle.
"E allora? Non li conosci nemmeno."
Scossi la testa e feci un passo indietro, chinando il volto.
"No, non posso farlo."
Clemente V si avvicinò di nuovo e mi afferrò per il bavero della maglietta. "Non puoi o non vuoi?"
Afferrai la sua mano e la strinsi.
"Ci deve essere un altro modo."
Egli fece un sorriso e aprì il palmo della mano con uno scatto, come fosse una molla. Poi mi diede una pacca sul viso.
"Andiamo, Kariot! Ti si legge negli occhi che sei un assassino... esattamente come me. È l'unico modo."
D'istinto lo spinsi con forza, facendolo indietreggiare di qualche passo.
"Tu non sai un cazzo di me!"
Clemente V fece uno sbuffo ironico guardando i suoi uomini, e alzò entrambe le mani per fargli sapere che fosse tutto sotto controllo. Si sistemò la corona e la tunica, poi si posizionò al mio fianco, con uno sguardo alto e fiero.
"Come mai ti alteri così tanto?" sussurrò al mio orecchio. "Hai paura di quello che dirà Kephas? Allora menti! Digli che non uccideremo nessuno! Convincilo in ogni modo! La verità sarà il nostro piccolo segreto. Abbiamo un accordo pacifico, Kariot. Non dimenticarlo."
Clemente V fece un lungo sbadiglio e congiunse le mani in preghiera.
"Vi ho visti, sai..." sussurrò ancora. "Tu e Kephas... a Palazzo Montecitorio... sotto la pioggia. Lui si confida con te, non è così? E tu? Fai lo stesso? No, non credo. I tuoi occhi trattengono i segreti più oscuri della tua esistenza. Finché non te ne libererai, non riuscirai mai ad amare qualcuno."
Ogni sua sillaba fu come un frammento di metallo che si era infilzato nel cuore. La mente era una scatola chiusa che aveva oscurato lo spazio esterno. Né un soffio di vento né un bisbiglio sottile aleggiavano nell'aria. Lo sguardo paralizzato sulle mura del castello e le gambe rigide.
"Seguimi!" urlò con furore Clemente V. "Se non vuoi che Geremia ti leghi di nuovo i polsi con una delle sue corde."
Fischiettando una melodia allegra, prese a camminare verso i suoi uomini. Scossi la testa come fossi ancora frastornato e, seppur con riluttanza, mi accodai a lui. L'uomo che mi aveva slegato i polsi, Geremia, era ancora disteso al suolo, con la schiena poggiata al tronco e le gambe stese e incrociate in avanti. Quando giunsi al suo fianco, egli si stava girando i pollici, fischiettando allegramente.
La schiera di uomini si aprì come una tenda al passaggio di Clemente V, e lasciò intravedere, sopra una panchina di marmo, un arsenale di mitragliette e pistole, tra cui la mia. L'anziano dalla tunica rosso rubino arrestò i suoi passi e, piegando la testa, mi fissò con la coda dell'occhio.
"Questa sera" disse a gran voce "non rimarrà altro che l'ennesimo brutto ricordo di questa era. Kariot obbedirà ai miei ordini e, finalmente, ci riprenderemo quello che è nostro."
I suoi uomini urlarono un grido di battaglia, agitando i pugni al cielo, dandosi pacche sulle spalle e sorridendo a trentadue denti.
"Ah, Kariot!" gridò Geremia, staccando la sua schiena dal tronco e balzando in piedi. "La tua pistola, adesso, è mia."
Le urla si placarono di colpo. Clemente V si voltò e si avvicinò al suo uomo con passo lento e sicuro. Lo fissò con i suoi occhi neri e profondi, con un disprezzo tale da farlo tremare dalla paura. Gli scaraventò una sberla sul viso e Geremia cadde per terra. L'atmosfera si fece pesante. Un uomo si diresse verso la panchina di marmo, la oltrepassò, e raccolse qualcosa da terra: una frusta. Fece la strada di ritorno e si inginocchiò davanti a Clemente V, porgendogliela. Egli la impugnò e in quell'istante Geremia gemette, rannicchiandosi con le mani sulla testa e i gomiti stretti al corpo. Clemente V mi fissò con aria severa, mentre con forza stringeva la frusta.
"L'ordine è importante, caro Kariot. L'educazione prima di tutto. Il rispetto per il nuovo. La progressione della specie. I cambiamenti dell'universo. In Vaticano non hanno capito questo, pur possedendo informazioni che vanno al di là del pensabile. Giusto o sbagliato non importa. Adesso bisogna affidare il mondo nelle mani giuste. Nelle mani dei Nuovi Redentori."
Egli agitò la frusta con un ghigno, srotolò la cinghia di cuoio e colpì Geremia con violenza, lacerando più parti del corpo, fino a squarciarle in profondità. Il sangue schizzò a fiotti dappertutto. Gli schiocchi della frusta echeggiarono tra le urla di Geremia.
Lo guardai soffrire con gli occhi spalancati e le dita tremolanti. Rabbia e paura viaggiavano sulla stessa lunghezza d'onda. Il cuore accelerò il suo battito, poi decelerò, perse qualche pulsazione. Feci per muovere le gambe, ma desistetti nello stesso secondo. Allora serrai le labbra, tesi le palpebre, chiusi le mani; soffocai la paura... poi la rabbia. Smisi di provare pietà. Clemente V si fermò solo prima che Geremia fosse morto.
"Adesso va' a lavarti" urlò, gettando la frusta per terra. "O stasera sarà la tua puzza a dare l'allarme alle sentinelle."
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