Capitolo 10 - Il dottor Goethe (R)



Milano - 24 marzo 2026
Kephas.

La stanza del dottor Goethe era ovale: sottili travi nere si intrecciavano in anelli sopra il soffitto, che si affacciava al cielo attraverso una sezione laterale della cupola del grattacielo, e giravano attorno alle pareti rivestite da vetrate cristalline. Il pavimento rosso lucido somigliava a uno specchio d'acqua inondato di sangue, e rifletteva di continuo i colori chiari e raggianti che giungevano dal cielo. Lo studio del dottor Goethe sembrava toccare la volta celeste.

Le pareti, a destra e a sinistra, erano ricoperte di schermi di videosorveglianza che inquadravano il corridoio dell'ultimo piano e le stanze viste dall'interno: una camera da letto maschile, una femminile, una zona relax, un angolo ricreativo, una sala da pranzo, una biblioteca, una sala attrezzi e un'infermeria. Non essendoci finestre, l'aerazione era garantita da un sistema di ventilazione le cui otto bocchette si aprivano sui muri, poco sotto l'altezza del soffitto. Al centro della stanza vi era un tavolo imponente, dai piedi grossi come le zampe di un elefante, ricoperto da una lastra di vetro. Sopra questa vi erano numerosi libri e fogli raggruppati in fascicoli.

"Benarrivato nel luogo della rinascita, Kephas!" esclamò Goethe, attraverso il suo ologramma. "Benarrivati nel luogo della speranza, fratelli e sorelle di Kephas."

L'ologramma dello scienziato si trovava dietro al tavolo di vetro, sparato da un proiettore agganciato al soffitto dirimpetto, e ritraeva un uomo anziano, alto quasi due metri, con indosso un camice bianco. Lisci capelli candidi solleticavano le guance, e folte sopracciglia brizzolate d'argento incorniciavano uno sguardo felice e sicuro. Spessi baffi ricoprivano le labbra sottili, e un lungo e compatto pizzetto scendeva fino al collo.

"È un onore per noi essere qui oggi" risposi. "Abbiamo percorso un lungo viaggio e, nonostante ci sembri tutto così familiare e meraviglioso, sono ancora molti i dubbi che invadono la mia mente."

Alle spalle dell'ologramma, nella parete dirimpetto all'ingresso, l'unica dipinta di nero opaco, vi era una grossa teca di cristallo piena d'acqua, che conteneva un cervello umano. Questa era sostenuta da un altro contenitore dello stesso materiale, ma più alto e stretto, pieno di filamenti rivestiti d'oro che sbucavano dal pavimento attraverso fori circolari. Un cavo spesso e intrecciato da centinaia di fili di colori diversi collegava la teca a un computer, il cui schermo trasmetteva a video le parole dello scienziato, il suo ologramma e le relative funzioni vitali. Il suono della voce del dottore, caldo e possente, usciva da due altoparlanti collegati al computer, e un filo massiccio percorreva il soffitto da una parete all'altra, collegando il terminale al proiettore.

"Non capisco" proferì Goethe. "Sono passati circa tre anni dall'origine dell'epidemia, eppure vi sorprendete ancora? Secondo i miei calcoli, certe emozioni come lo stupore, la paura e l'allegria si sarebbero dovute dissipare col tempo."

"Potrei addirittura confermarle il contrario, dottor Goethe" risposi.

"Oh, ti prego!" disse lui. "Dammi del tu e chiamami solo Goethe. Stavi dicendo?"

"Come preferisci!" replicai. "Dicevo che, per quanto mi riguarda, le emozioni a cui fai riferimento hanno acquisito più valore in questi ultimi anni."

"Tutto avrei pensato tranne che questo, Kephas. La scienza può tutto su tutto, tranne che per la coscienza umana, invalicabile creazione di un Essere superiore."

"Non sono uno scienziato, Goethe, ma credo che la tua teoria sia più che giusta. Tuttavia non riesco a capire perché io, perché ora, perché in questo luogo e per quale motivo tutto questo."

"Sono dubbi più che legittimi, Kephas. Che sciocco, ora che ci penso non mi sono neppure presentato e, seppur io conosca già ognuno di voi, non è così dal vostro canto."

"Scusami se ti interrompo, ma questa prerogativa pone un altro dubbio: come fai a conoscere tutti noi?"

"Semplici calcoli matematici, Kephas, nulla di più. Ogni abitante della nazione è registrato in un database, di cui io ho accesso illimitato. Mi è bastato scannerizzare i vostri corpi all'ingresso del grattacielo, per accedere a tutte le informazioni esistenti sul vostro conto. Per esempio, so che tu gestivi uno studio di registrazione a Palermo, avevi una moglie incinta di nome Marie e un bambino di nome Ettore, prima dell'epidemia."

Di colpo il silenzio scese nella stanza e il mio sguardo rimase paralizzato sull'ologramma. Le labbra strette in preda allo sconforto.

"Direi che come prova può bastare!" esclamò Kariot, ponendo fine alla mia interruzione. "Se devo essere sincero, tutto questo va ben oltre i miei gusti: un grattacielo invisibile e visibile, una voce metallica dal nome ambiguo, un dottore che parla attraverso il suo cervello e un futuro ancora più incerto di prima. Credo di parlare a nome di tutti quando dico a te, dottor Goethe, di volere delle risposte su questo posto e sul perché ci hai portati qui."

Lo scienziato rimase in silenzio. L'acqua che riempieva la teca contenente il suo cervello ribollì sul fondo per un istante, e piccole bollicine levitarono verso l'alto, per poi sfaldarsi una volta toccata la superficie di cristallo. Lo schermo del computer, con lo sfondo nero e le scritte verde brillante, fece apparire e scorrere una serie di caratteri alfanumerici.

"R.E. deriva da Red Evil" pronunciò Goethe "ed è semplicemente un'intelligenza artificiale, un sistema di difesa da me ideato per la sicurezza di questa struttura. Lascerò a lui compito di spiegarvi chi sono."

Alzai gli occhi al cielo, in attesa. Kariot aveva saputo esporre meglio di me i dubbi che turbavano tutti noi; a distanza di anni il mio coinvolgimento emotivo mi impediva ancora di interagire senza che i pensieri volassero altrove.

"Salve sopravvissuti," disse R.E. con la sua voce metallica "non ho potuto fare a meno di ascoltare le parole esposte finora... anche perché sono un'intelligenza artificiale e non dispongo di molti svaghi. Ma tornando a noi... cercherò di sfumare i vostri dubbi fin dove i miei ricordi me lo permetteranno."

Si schiarì la sua voce robotica con un fastidioso lamento acuto, e dunque riprese a parlare.

"Il dottor Goethe fu il più grande scienziato alle dipendenze del Governo italiano, una risorsa molto importante e ambita dal mondo intero. Quando scoprì che la nostra nazione aveva stipulato un accordo segreto con le più grandi Forze mondiali, il cui scopo era quello di annientare la specie terrestre, costruì questa base e mi diede la vita. Nel frattempo sviluppò delle teorie controcorrente, che trascrisse in progetti ambiziosi, per contrastare un'apocalisse imminente. Poco prima che i suoi progetti potessero trasformarsi in realtà, il governo smascherò i suoi sotterfugi, emanando un mandato di cattura internazionale. Solo un mese più tardi, venne decapitato."

Le parole dell'intelligenza artificiale mi lasciarono a bocca aperta. Seppur conoscevo, in parte, gli accordi tra il governo e le forze armate, questo frammento della storia mi era estraneo.

"Che tipo di teorie?" domandò Simone, con uno sguardo piuttosto serio.

"La risposta la troverete sul mio tavolo" rispose Goethe, mostrando un sorriso. "Tuttavia solo alcuni di voi riusciranno a comprendere i miei progetti."

Con fare curioso ci avvicinammo al tavolo posto al centro della stanza, davanti all'ologramma dello scienziato. Bartolomeo acchiappò un grosso libro dalla copertina rigida, ed esaminandolo fece presente che trattava argomenti come la meccanica quantistica e le relatività einsteiniane.

"Non avevo mai letto nulla di simile!" esclamò il matematico. "Queste teorie sono state implementate da te, Goethe?"

"Sì!" rispose secco lo scienziato.

A seguire Matteo prese uno spesso fascicolo rilegato con una copertina porpora, sfogliò qualche pagina e fece sapere ai presenti che analizzava in maniera approfondita teorie sulla velocità della luce, campi gravitazionali e cunicoli spazio-temporali.

"Pazzesco!" urlò il fisico. "Non vorrei sbilanciarmi più di tanto, ma con queste informazioni si potrebbe addirittura provare a viaggiare nel tempo."

Seguì un attimo di silenzio arricchito da uno stupore paralizzante.

"Cosa?" domandò Lux, incredula. "Ma questa è fantascienza. Non è possibile. Avete visto troppi film che hanno turbato e alterato la vostra concezione della realtà."

"Ti dico che è così!" ripeté Matteo, e subito dopo confermò Bartolomeo.

"Voi siete pazzi!" ribadì l'archeologa, agitando le mani con uno sguardo inorridito. "Dopo tutto quello che abbiamo vissuto, ci mancavano solo i viaggi nel tempo."

"Viaggi nel tempo?" ripeté Filippo. "Ma è una cosa fantastica."

"Mah!" meditò Giovanni. "Per me sono tutte fandonie."

"Ma se anche fosse..." considerò Alessio "avremo bisogno di un'astronave, o sbaglio?"

"Se solo fosse vero" strillò Sofia, scuotendo per le braccia la sorella, "in futuro potremmo dire di aver viaggiato nel tempo con il corpo e con la mente."

"Non ti gasare troppo," rifletté Andrea "Matteo e Bartolomeo hanno solo fatto un'ipotesi."

"Ipotesi o meno," analizzò Taddeo "c'è il rischio di smaterializzarci o, ancora peggio, finire in chissà quale epoca del passato."

Lux cominciò a fare avanti e indietro nella stanza, sbuffando e brontolando di continuo. Alessio si avvicinò a lei e le accarezzò i capelli come per confortarla, ma ricevette uno schiaffo sulla faccia. Il militare, sconvolto da una simile reazione, rimase immobile e senza parole, mentre l'archeologa, dopo avergli lanciato un'occhiataccia, riprese a camminare da una parete all'altra, sbuffando e brontolando qualcosa. Kariot, che aveva assistito alla scena sin dall'inizio, approfittò di quel momento per avvicinarsi a Lux e braccarla da dietro.

"Questa scenata non ti si addice!" le sussurrò all'orecchio. "Adesso sentiremo ciò che avrà da dire lo scienziato e tu lo ascolterai, con calma, insieme a me."

L'archeologa tentò di divincolarsi con tutte le sue forze, ma Kariot la stringeva forte dalle spalle, avvolgendole il bacino con le sue grandi mani.

"Sei un burbero!" urlò lei, prima di fasciare le mani di Kariot e arrendersi alla sua forza. "Questa me la paghi."

Kariot la sollevò da dietro, le fece compiere un girotondo di centottanta gradi, per poi farla atterrare di fronte all'ologramma del dottore.

"Bene!" esclamò Goethe. "Adesso che ho l'attenzione di tutti, vi comunico che le vostre ipotesi sono più che veritiere. La parola che accomuna i miei lavori è solo una: viaggio nel tempo."

Nonostante Matteo e Bartolomeo ci avessero già predisposto a un tale avvenimento, il silenzio calò nella stanza tra lo stupore e l'incredulità generale.

"Cosa succede?" chiese Goethe, non aspettandosi una simile reazione. "Pensate che io sia pazzo?"

"No!" risposi secco, guardandomi intorno. "Ci serve solo un attimo per metabolizzare le tue parole. Mi sarei aspettato di tutto dalla vita... tutto tranne questo, probabilmente."

"Se posso permettermi," suggerì Goethe "dovreste tenere a bada il vostro stupore, almeno fin quando non vi avrò detto in cosa consiste il lavoro."

"Lavoro?" chiesi, inarcando le sopracciglia. "Che tipo di lavoro?"

"Bene, adesso sì che andiamo d'accordo!" esclamò lui. "È vero che viaggerete nel tempo, ma è anche vero che non esiste nulla, ad oggi, che permetta di farlo. Innanzitutto, Matteo e Bartolomeo dovranno fondere le loro conoscenze, studiare i miei progetti e comprenderli. Dopodiché Giovanni, sotto le loro direttive, costruirà le componenti elettroniche relative ai miei disegni, mentre Filippo si occuperà della parte software, creando un sistema capace di far comunicare le varie componenti fisiche. Infine, Kariot e Giacomo penseranno ad assemblare ciò che sarà il risultato finale del lavoro di Giovanni e Filippo."

"È il mio ruolo quale sarà?" domandai, con un po' di scetticismo.

"Kephas!" disse lo scienziato con tono solenne. "Sarai tu a dirigere i lavori e a mantenere accesa la speranza. Per la prima volta nella storia della Terra, sarete coloro che viaggeranno nel tempo per offrire una seconda chance all'umanità."

"E coloro che non hai nominato?" chiese Lux, imbronciata. "Loro che faranno nel frattempo?"

"Troverò il modo di impegnare il loro tempo, puoi starne certa. Nessuno ozierà all'interno di questo grattacielo."

In quell'istante mi girai verso i miei compagni d'avventura; li scrutai uno a uno per leggere i loro pensieri attraverso lo sguardo. I loro occhi erano sbigottiti, turbati, appassionati e perplessi. Non credevo ancora alle mie orecchie: ero eccitato all'idea di costruire una piattaforma temporale, di riabbracciare mia moglie, mio figlio e di sventare la minaccia del governo, ma allo stesso tempo impaurito al pensiero di fallire miseramente. Tuttavia il dottor Goethe sembrava piuttosto fiducioso, e questo mi incoraggiava a non abbattermi ed elargire ottimismo e fiducia ai miei amici.

"Mi sorge un dubbio" proferì Giovanni, chinando il volto e spingendo i suoi occhiali sul naso. "Dove troveremo l'occorrente per costruire la navicella temporale?"

"Aspettavo con ansia questa domanda" ridacchiò Goethe. "Non esiste nulla in questo universo che non sia in equilibrio; come il giorno e la notte, la luce e le tenebre, il male e il bene. Pertanto dovete sapere che, circa tre anni fa, alcune delle persone più importanti al mondo diedero vita alla 'Resistenza', una fazione formata da fisici, matematici, filosofi, ingegneri e ancora e ancora. La Resistenza raccolse la mia testa dopo la decapitazione, la portò in questo grattacielo poco prima dell'origine epidemica e, sotto i miei ordini, occultò il meglio della tecnologia moderna nei sotterranei di Palazzo Montecitorio."

"Palazzo Montecitorio hai detto?" domandai, stringendo le sopracciglia e la mascella. "Ma si trova a Roma... e noi siamo appena arrivati da Palermo."

"Resistenza?" chiese Simone a seguire. "Che fine ha fatto? Perché non li hai protetti qui dentro?"

"Quante domande!" rispose lo scienziato, innervosendosi. "Sarete trasportati a Roma con delle capsule antigravitazionali monoposto. Se la memoria non mi inganna, dovrebbero bastare per il gruppo selezionato per la missione. Per quanto riguarda la Resistenza, invece, sono tutti morti. Dopo aver sistemato il mio cervello in questa teca, si recarono nei sotterranei di Palazzo Montecitorio per nascondere una copia dei miei progetti, ma prima di poter scappare con le capsule antigravitazionali, furono assassinati."

Un brivido solcò la mia pelle e per un momento mi fermai a pensare. Goethe aveva perso la vita pur di salvare il mondo, e insieme a lui le persone che avevano cercato di proteggerlo. Dopodiché si era messo a cercare con insistenza qualcuno che potesse portare a termine il suo operato, e adesso era giunto quel giorno.

"E che ne sarà delle persone che non lavoreranno alla navicella?" chiese Lux, con aria perplessa.

"Rimarranno insieme a me" confermò Goethe. "Non ci sono abbastanza navicelle per trasportare tutti a Montecitorio, ma non preoccupatevi. Ognuno verrà specializzato in un settore diverso, in base alle proprie potenzialità."

"Verremo quindi divisi in due gruppi..." dissi a bassa voce, preoccupato.

"Sì, Kephas" proferì lo scienziato. "Non si può fare altrimenti. A ogni modo, separarvi è la soluzione migliore per accelerare i tempi di costruzione."

"E quanto ci vorrà per costruire la navicella?" domandai.

"Un paio di mesi al massimo" rispose.

"E cosa accadrà dopo? In che anno verremo trasportati? Cosa dovremo fare?"

"A questo penseremo dopo."

Mi voltai nuovamente verso il resto dei presenti, scrutando uno alla volta i loro sguardi. L'idea di immergermi in questa avventura mi eccitava a tal punto di non avere dubbi; ognuno avrebbe avuto il suo compito e la sua importanza all'interno del gruppo. Se fosse caduto un tassello, sarebbero caduti anche tutti gli altri. Se fossi riuscito a tenerli tutti in piedi, saremmo tornati indietro nel tempo. L'unico turbamento era scaturito dall'idea di dividere il gruppo a metà, evento che non si era mai presentato finora. Avrei dovuto dare fiducia a un ologramma? D'altronde non avevo altra scelta.

"Il sole è ancora giovane" disse Goethe. "Se siete tutti d'accordo, farei atterrare adesso le capsule antigravitazionali davanti al grattacielo. Ci tengo a precisare, inoltre, che nei sotterranei di Palazzo Montecitorio avrete modo di darvi una rinfrescata, indossare abiti puliti e mangiare cibo vero."

Distesi le braccia lontane dal bacino, perpendicolari al pavimento, guardando negli occhi i miei amici.

"Che dite?" domandai con aria pensierosa. "Non mi piace l'idea di separarci, ma non vedo alternative. E voi?" Guardai Lux negli occhi. "Mi riferisco soprattutto a quelli che rimarranno qui nel grattacielo."

"Per me" disse Lux, slacciandosi dalla presa di Kariot ormai lenta, "va più che bene. Non posso contribuire in alcun modo nella costruzione della navicella, quindi sfrutterò il mio tempo nella biblioteca del dottore."

"Io sono contentissima così" manifestò Sofia. "Avrò modo di rilassarmi nella zona relax."

"Mi mancherai, Kephas" dichiarò Andrea. "Non metterci troppo."

"Vedo un angolo ricreativo nelle telecamere di Goethe" ridacchiò Alessio. "Noi maschi avremo sicuramente modo di occupare il nostro tempo."

Con un sorriso mi avvicinai a Simone, strinsi la sua spalla con una mano e dissi: "La responsabilità adesso è tua, vecchio mio. Non sgridarli troppo!".

Egli ricambiò il sorriso e fece un cenno con la testa, così come gli altri uomini che sarebbero rimasti all'interno del grattacielo. Kariot, a pochi passi da Lux, le chiese: "Come farai senza di me? Riuscirai a dormire la notte?".

Il suo volto nascondeva un lieve sorriso di scherno. Lux chiuse le palpebre e piegò la testa di lato, mettendo le braccia conserte.

"Farò sogni tranquilli, puoi starne certo." Poi lo fissò con la coda dell'occhio e distese le braccia lungo il bacino. "E tu non bere troppo!"

Kariot mostrò un sorriso e fece un cenno con la testa. A quel punto mi voltai verso Goethe, strinsi i pugni e dissi: "Così sia! Ma dovrai fornirci il modo di comunicare tra noi. In ogni momento della giornata dovrò avere la possibilità di parlare con Lux, Simone o chicchessia".

Tutt'a un tratto sette fulmini scesero dal cielo, lasciandosi alle spalle delle corpose scie grigio muschio che si depositarono nell'aria come un arcobaleno in bianco e nero. Corsi verso la parete vetrata di sinistra e vidi le capsule di Goethe turbinare intorno al grattacielo, diminuire di velocità e scomparire sull'asfalto.

"Troverai una ricetrasmittente nella tua navicella, Kephas" manifestò Goethe, con tono solenne. "Poi ne consegnerò una a Simone in modo da poter comunicare tra di voi in ogni momento. Le ho costruite io stesso e ti assicuro che saranno in grado di sopperire alla notevole distanza."

"Ti ringrazio!" esclamai, facendo un cenno con la testa. "Ho sempre pensato che ci fosse una via d'uscita da questa realtà."

Lo scienziato mostrò un sorriso e chinò il capo più volte.

"Andate adesso! Le capsule sono già state programmate per il viaggio; vi basterà accomodarvi all'interno e premere il pulsante verde che troverete nel quadro comandi."

A quel punto strinsi forte le persone che sarebbero rimaste nel grattacielo in un abbraccio affettuoso e li salutai, in vista della partenza. E così fecero anche coloro ch'erano stati incaricati di trasferirsi a Palazzo Montecitorio insieme a me. L'ascensore scese fino al piano terra: l'aria era stantia e umida, proprio come al nostro arrivo. Un passo dopo l'altro attraversai il pavimento a specchio, oltrepassai la porta girevole, e osservai quelle strane vetture. Kariot e gli altri sembravano stupiti quanto me.

Le capsule antigravitazionali erano semplici strutture sferiche bianche, somiglianti a palle da baseball grandi abbastanza da poter contenere una persona alta due metri. Mi avvicinai a una di esse con aria scrupolosa, guardando l'interno attraverso un piccolo riquadro di vetro. Di colpo le capsule emisero uno sfiato, si aprirono e permisero l'accesso alla vettura sferica. Di fatto, un pannello curvo e largo quanto le mie spalle, in cui era incastrato il riquadro di vetro, si era staccato dalla base e issato fino a puntare il cielo, attraverso dei ganci rotanti fissati sul tetto.

"È il momento!" pronunciai con enfasi, guardando i miei amici negli occhi. "Ci rivediamo a Roma."

Con dei movimenti un po' impacciati, mi sistemai sopra il sedile rosso di pelle interno, agganciato alla base della navicella. Le pareti erano rivestite da uno strato di gomma nera. Il pannello curvo che guardava il cielo si richiuse lentamente, e così premetti il pulsante verde sul quadro di comando. La vettura emise un rombo basso che mi fece tremare dalla testa ai piedi, poi schizzò in cielo alla velocità della luce, infranse la barriera del suono e, neppure un minuto dopo, quando giunse su Roma, scese in picchiata come un fulmine, anticipando lo schianto a un metro da terra.

Quindi si adagiò al suolo con delicatezza, e dopo un leggero sfiato aprì di nuovo il portello d'ingresso verso l'alto. Quando scesi sulla terraferma, la mia testa ondeggiò per un istante.

"Le montagne russe in confronto sono roba da mocciosi" giudicò Kariot, tenendosi le tempie con le mani.

"Quello strano scienziato" manifestò Giovanni "avrebbe potuto almeno avvisarci sulla velocità di queste capsule."

"Beh!" rifletté Filippo. "Però non glielo abbiamo chiesto."

"Siamo arrivati sani e salvi" precisò Giacomo. "Conta solo questo."

Matteo e Bartolomeo fecero un cenno con la testa in segno di approvazione. Alzai lo sguardo e vidi la sede di Palazzo Montecitorio davanti ai nostri corpi.

"A questo punto direi di procedere" dissi.

Con passo deciso superai l'ingresso e mi recai nei sotterranei della sede, seguito dal resto dei presenti. Giunti in un lungo corridoio, vidi una miriade di oggetti ultra tecnologici accatastata ai bordi delle pareti, che sfociava in un'enorme officina piena di strumenti elettronici, informatici e meccanici. Un sentimento di gioia apparve sul mio viso: il dottor Goethe era stato sincero.

"Rimbocchiamoci le maniche! Il passato ci attende."

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