Capitolo 1 - Il sogno premonitore (R)
Palermo - 21 marzo 2026
Kephas.
Il canto del gallo segnò che le tenebre stessero per far posto alla luce, ancora troppo lieve per riuscire a temperare i cuori infreddoliti dalla notte. Da qualche minuto mi ero svegliato di soprassalto dopo un bizzarro sogno, l'ennesimo nell'ultimo periodo. Immagini limpide e colorate scorrevano ancora davanti ai miei occhi, come se questa mattina, stranamente, non volessero abbandonarmi. Forse era un segno della mia volontà di sperare ancora, di agire in continuazione, a dispetto di ogni futuro, per quanto oscuro e ineluttabile.
Forse stavo solo diventando pazzo.
Il canto del gallo risuonò nell'aria un'altra volta, poi svanì come se la nebbia mattutina lo avesse inghiottito. Mi sollevai da terra e preparai lo zaino, pronto per una nuova escursione. La maggior parte dei miei amici si stava per svegliare; alcuni stropicciavano gli occhi, altri sgranchivano le loro ossa. Colui che sarebbe dovuto venire in missione con me stava ancora dormendo beato.
"Kariot!" esclamai, picchiettando il calcio del fucile contro la sua gamba.
Kariot aprì gli occhi di soprassalto. Lo sguardo intontito e le mani a coprire le palpebre assalite dai primi raggi del sole.
"Sono sveglio, sono sveglio!" si lamentò.
Con un balzo si alzò in piedi e stropicciò gli occhi ancora assonnati.
"Chi me l'ha fatto fare," sospirò "quella vigilia di natale, a fidarmi di te."
Mostrai un sorriso: lo sguardo imbronciato di Kariot era un toccasana per cominciare bene la giornata.
"Lascialo in pace, Kephas!" disse Lux, sbadigliando. "Finirete per litigare uno di questi giorni."
"Sei sempre la solita impicciona" risposi. "Quando deciderete di sposarvi, lo lascerò in pace."
Lux scosse la testa e si voltò dall'altra parte, senza controbattere. Kariot mi diede un pugno sulla spalla e strabuzzò gli occhi, facendomi segno di finirla. Un istante dopo l'eco di versi animaleschi fece tornare tutti sull'attenti.
"Perlustreremo il sentiero che si estende lungo il fiume" dissi. "Dopodiché, prima che faccia buio, andremo in città in cerca di cibo e bevande. Una volta finito il rifornimento, torneremo all'accampamento."
Il mio fido compagno d'avventura si chinò verso l'ingresso della sua tenda e afferrò l'occorrente per il viaggio. Dunque allacciò un coltello e una pistola alla cintura dei jeans, e strinse nella mano un fucile di precisione. A tracolla fissò lo zaino, riempito con una bottiglia d'acqua e un kit di pronto soccorso, e intorno al collo sistemò il binocolo.
"Sono pronto!" esclamò Kariot. Mi diede una pacca sulla spalla e, con un lieve sorriso all'angolo della bocca, fece qualche passo in direzione del fiume Oreto. "Forza Kephas, non farmi aspettare."
Portai le braccia ai fianchi e lo osservai arricciando le labbra.
"Ci vediamo per cena" disse Lux. "Nel frattempo metterò a punto un'idea che vi lascerà a bocca aperta."
Mi grattai la nuca, mostrando un risolino forzato.
"Non preoccuparti, Kephas" rispose Alessio, stringendo Lux dalle spalle in un abbraccio scherzoso. "Ci penserò io a far sì che il mondo sopravviva alle sue idee."
Lux gli diede una gomitata e tentò di scollarselo di dosso e, non appena vi riuscì, fece partire uno schiaffo sul suo viso; poi agitò la mano verso di noi in segno di saluto. Con un cenno della testa feci segno a Kariot di procedere.
"A stasera!" esclamai.
"A più tardi!" rispose Lux.
Era una giornata tranquilla: il vento mi solleticava dolcemente le orecchie e in lontananza udivo il canto degli uccellini. Le foglie si trascinavano lente in mezzo alla terra e al pietrisco. Lungo il tragitto Kariot rimase in silenzio; negli ultimi mesi aveva imparato a conoscere tutto di me, i miei pensieri, le mie paure, le mie sofferenze e i miei rimpianti. Il rimorso di non essere stato in grado di salvare mia moglie, e di non essere riuscito a dare un futuro ai miei due figli.
"Stai ancora pensando a loro?" mi domandò all'improvviso, guardandomi con la coda dell'occhio.
"È così evidente?" chiesi, camminando a testa bassa.
"Sai cosa penso a proposito dei ricordi" rispose. "Se ti fai distrarre da loro, finisci per farti uccidere. E sappiamo entrambi quanto il gruppo abbia ancora bisogno di te."
Arrestai i miei passi di colpo; Kariot si voltò e così lo guardai dritto negli occhi.
"Questa volta è diverso" dissi. "Ho in mente di convincervi a compiere un grande sforzo, ma ho bisogno del tuo aiuto. Devo sapere che posso contare su di te."
Kariot mi fissò con aria incuriosita.
"Non ti ho mai visto così serio. Hai scoperto qualcosa?"
All'improvviso lo strillo di un clacson echeggiò da una zona boschiva teoricamente deserta, e svanì un attimo dopo. I miei occhi fulminarono quelli di Kariot, poi balzarono verso quel suono. Lo sguardo serio e assorto. Avevo passato l'ultimo periodo a perlustrare ogni porzione di terra confinante, e sapevo per certo che non vi fosse anima viva nei dintorni.
"Presto, andiamo a vedere che succede!" esclamò Kariot.
Con uno scatto strinsi il fucile di precisione e mi feci spazio tra i rami degli alberi. Alle mie spalle, Kariot estrasse la pistola dalla fondina e seguì i miei passi. Dopo un centinaio di metri, mi chinai dietro un cespuglio, posizionai il mio occhio nel mirino del fucile e scrutai l'orizzonte. Un piccolo abitante della foresta si trovava all'interno di un camioncino dei gelati, abbandonato lì per chissà quale motivo, e frugava frenetico alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
"È solo uno scoiattolo!" disse Kariot, con gli occhi incollati al binocolo.
Con aria delusa distolsi lo sguardo dall'animale, notando che sulla fiancata del camioncino bianco, ricoperto in parte di muffa, vi era una scritta insolita: "Ice dream".
Dopo un attimo di esitazione, spostai il mio occhio dal mirino del fucile, incredulo.
"Ice dream" pronunciò Kariot. "Che fantasia."
Un brivido mi attraversò la schiena e un silenzio spettrale avvolse l'atmosfera.
"È un segno!" esclamai.
Kariot abbassò il binocolo e mi fissò, aggrottando le sopracciglia.
"Che vuol dire è un segno?"
Mi sollevai da terra uscendo fuori dal cespuglio e, con aria pensierosa, iniziai a fare avanti e indietro tra gli alberi.
"Kephas!" urlò Kariot. "Parla, dannazione!"
Lasciai che lo sguardo scivolasse sul vasto paesaggio verdeggiante, dopodiché decisi di vuotare il sacco e confidarmi con il mio migliore amico.
"Ultimamente faccio sempre lo stesso sogno. Ha origine con un bagliore di luce intenso, pieno di colori. Apro gli occhi e mi ritrovo di fronte a un grattacielo ancora intatto, situato accanto al Duomo di Milano. Provo a entrare dalla porta principale e, a ogni mio passo, i led montati sul pavimento cominciano ad accendersi, come a formare un sentiero. Una voce profonda mi sussurra di non avere paura, che la mia famiglia sta bene e che presto la rivedrò. Mi sveglio di soprassalto, sento il cuore battere sempre più veloce e un senso di panico mi assale all'improvviso. Mi lascio rincuorare da quelle parole e mi abbandono in uno stato di trance, poi mi ritrovo in una stanza piena di macchinari elettronici, con fogli sparsi su un tavolo che descrivono progetti incomprensibili per le mie conoscenze."
Il corpo di Kariot sembrava immobile come un macigno. Lo sguardo perplesso, le sopracciglia inarcate. A un tratto scosse la testa e si girò di spalle, riponendo la pistola nella fondina.
"Sai meglio di me che potresti mettere il gruppo in pericolo. E per cosa? Per una sensazione? Per un sogno? Io sono sempre stato dalla tua parte e continuerò a esserlo fino alla fine, se pensi che questa sia la decisione più corretta da prendere. Quindi te lo chiedo come fossi un fratello... sei sicuro che sperare in un sogno sia la scelta migliore per tutti noi?"
Kariot si voltò verso di me con aria interrogativa. Mi guardò negli occhi e, attraverso quelli, lesse la mia anima. Allora sorrisi, perché sapevo già che conosceva la risposta alla sua domanda.
"Credo che sia la sensazione più bella che io abbia provato negli ultimi anni, Kariot. La speranza ha bisogno di essere alimentata."
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