Capitolo 0.13 - Il Male soffoca l'anima (R)



Palermo - 24 febbraio 2024
Kephas.

"Da quando l'amuleto è fuori uso," si lamentò Lux "stai sempre davanti a questa finestra... a fare la guardia."

Il mio sguardo era rivolto all'orizzonte.

"Sono circa 6 mesi" risposi "che Bartolomeo e Matteo provano a crearne uno nuovo, invano. Il virus ha alterato i sensi dei cannibali, l'udito in particolare. Ogni dispositivo elettronico risulta inefficace..."

Mi interruppe.

"Restare in allerta è l'unico modo per proteggere questa dimora, bla, bla, bla..." continuò Lux, cantilenando.

Scossi la testa, divertito. Fuori era buio; le nuvole scure coprivano la luna piena e le stelle. Ogni tanto lo schiaffo del vento lasciava intravedere la sfera pallida della notte, contornata da un bagliore chiaro che illuminava le punte degli alberi. Quando il vento si calmava, tutto taceva nella campagna. Lux poggiò una mano sulla mia schiena, volgendo lo sguardo all'orizzonte.

"Ciò non toglie che debba stare di guardia sempre tu. A meno che..."

La guardai con la coda dell'occhio.

"A meno che... cosa?"

"A meno che tu non mi nasconda qualcosa..." Lux mostrò un ghigno diabolico. "E sai che questo non è possibile, vero?" La sua mano salì fino al mio collo e lo strinse. Le dita erano gelide. Un brivido di freddo mi scosse da capo a piedi.

"Quello che sento non ha importanza" risposi, con la testa piegata all'indietro. "Non voglio creare allarmismi."

"Quindi confermi di sentire qualcosa di strano?" domandò Lux, con un'aria improvvisamente inquieta.

"Te l'ho detto!" replicai. "Non voglio creare allarmismi. Questa casa ci ha protetti già in passato, e ci proteggerà anche in futuro."

Lux mi lanciò un'occhiata di sbieco, poi tornò a fissare il panorama oltre la finestra, slegando la mano dal mio collo, che poté dunque assumere una postura naturale.

"È una semplice casa di campagna, Kephas, circondata da un muro di pietra intorno a circa dieci acri di terreno. L'elemento più bislacco è quella strana torretta fuori che spicca dalla scala a chiocciola."

Annuii più volte, condividendo il suo pensiero.

"Se non fosse che fuori ci sono due gradi, sarei lì in questo momento."

Nel frattempo, alle mie spalle, si udivano rumori provenienti dalla cucina. Una scia profumata giunse nella sala da pranzo e aleggiò fin sotto il mio naso, inebriando i sensi. Inspirai a pieni polmoni chiudendo gli occhi, mentre quel profumo si andava depositando in ogni fibra del mio corpo.

"La cioccolata è pronta!" esclamò a gran voce Andrea.

Un attimo dopo Lux mi afferrò per le orecchie e mi trascinò al tavolo della sala da pranzo, lì dove il resto del gruppo era già seduto e batteva le mani sul tavolo, in attesa di riscaldare e deliziare il proprio palato.

"Andrea! Andrea! Andrea!" esultava Tommaso.

"Sofia! Sofia! Sofia!" replicava Alessio, trionfante.

Sofia sbucò dalla porta della cucina seguita da Andrea: entrambe, con indosso un grembiule celeste con ricami floreali, sostenevano due vassoi con sopra delle tazze di ceramica fumanti. Quando poggiarono i due vassoi sul tavolo, sul quale era stata stesa una tovaglia bianca da Federico, anch'essa con dei ricami floreali, i miei occhi brillarono dallo stupore e lo stomaco brontolò.

"Che meraviglia!" dissi, a bocca aperta.

Nei vassoi, oltre alle tazze fumanti di cioccolata calda, vi erano dei piattini di ceramica bianchi, con i bordi disegnati da ghirlande di orchidee, colmi di biscotti al cacao fatti in casa, che nel trasporto avevano lasciato una scia sublime. Un sonoro applauso si alzò a giro come un'onda attorno al tavolo, e le nostre due cuoche fecero più inchini agitando le braccia. Poi, a turno, ognuno afferrò una tazza con dei biscotti, e i miei occhi furono attratti dai gesti sofisticati di Andrea.

La cioccolata era bollente; il fumo che saliva dalla tazza scontornava i lineamenti tesi del suo volto, facendolo apparire più pallido del solito. I suoi occhi acquistavano una sfumatura argentea e brillavano intensi nel bagliore soffuso della dimora, sostenuto dal fuoco ardente del camino. La luce rossa delle fiamme rendeva l'atmosfera suggestiva, e dava alla sua espressione una grande profondità.

"È successo qualcosa, Andrea?" domandai, sorseggiando la cioccolata, amara e densa.

"Nulla di che" rispose, alzando le spalle, con lo sguardo fisso sul fumo che saliva dalla tazza. "Sono solo un po' malinconica oggi." Tenne le mani strette intorno alla tazza e non mosse più alcun muscolo della faccia.

"Dobbiamo farti ridere, allora!" propose Federico, con una striscia di cioccolata che rigava il suo labbro superiore, e un'espressione raggiante. "Chi di voi conosce una barzelletta?"

"Io ne conosco una bellissima!" urlò Alessio, poggiando la sua tazza sul tavolo e schiarendosi la voce. "Un carabiniere entra in caserma con un'enorme cacca in mano e dice ai suoi colleghi: Ragazzi, guardate cosa stavo per calpestare!"

Un sorriso increspò le mie guance, poi sfociò in una risata goliardica. Nel mentre Simone scuoteva la testa, con aria rassegnata, e Andrea tratteneva le risate con le mani alla bocca. Il resto dei presenti sembrava aver apprezzato; le tazze, infatti, riposavano sulla tovaglia, poiché le mani potessero muoversi in totale libertà e aggregarsi agli strepiti vocali.

"Ne ho una anche io!" disse Tommaso a voce alta, per attirare a sé l'attenzione, che di fatto cadde su di lui dopo pochi attimi.

Il silenzio scese sulla stanza, in attesa della sua performance.

"Chi era il Dio mitologico dei mari?" domandò. "Nettuno!" Tommaso si guardò intorno, sorrise, e terminò la frase: "Impottibile, qualcuno doveva pur ettere".

Il pro-gamer si mise a sghignazzare battendo i pugni sul tavolo, mentre con gli occhi socchiusi lo guardavo con amarezza, scuotendo la testa. Il resto dei presenti sembrava condividere la mia stessa espressione, a parte Alessio; egli seguiva Tommaso nei suoi eccessivi ridacchi, agitando le mani davanti alla faccia.

"Che ne dite se parliamo di serie tv?" chiesi allora, per smorzare l'atmosfera amara che si era venuta a creare. Tommaso e Alessio smisero all'istante di sghignazzare, ritornando a bere dalla loro tazza come se niente fosse. Tommaso prese un biscotto e lo sgranocchiò.

"Buoni! Davvero ottimi."

"Anche la cioccolata" proseguì Alessio. "Ben fatto, gemelle."

"Vi ringrazio!" esclamò Andrea, inarcando un sopracciglio. Poi volse lo sguardo su di me, sorridendo. "Comunque, per me la migliore è 'Pretty Little Liars'."

"Anche per me!" continuò Sofia annuendo, con lo sguardo basso sulla cioccolata.

"Io, invece, sono un fan sfegatato di 'The Walking Dead'" disse Giacomino, afferrando un biscotto.

"Molto bella quella serie tv" concordò Federico, facendo più cenni con la testa. "Anche se non mi è piaciuto il finale."

"Ragazzi! 'Once upon a time' in assoluto!" esternò Matteo a bassa voce, come fosse un segreto.

Bartolomeo fece un cenno con la testa, approvando.

"E se invece,"chiesi con enfasi "al di là dei vostri gusti personali, doveste scegliere la migliore serie tv in assoluto?"

"In quel caso," replicò Giovanni, sbattendo un pugno sul tavolo e alzandosi in piedi con aria solenne, "la migliore serie tv di tutti i tempi è... 'Il Trono di Spade'."

Filippo sputò di getto la cioccolata sul tavolo e strisciò la sedia all'indietro, facendo stridere il pavimento di legno.

"Cosa?" sbottò sconvolto. Lentamente puntò l'indice contro Giovanni, facendolo tremare. "'Lost' è la migliore serie tv di tutti i tempi! Tu mi parli di una trovata commerciale, io di qualità, caro amico."

"'Lost'?" controbatté Giovanni, facendosi una grassa risata con le mani sulla pancia gonfia e rotonda.

Lo sguardo di Filippo divenne scontroso e l'indice si piegò nella mano, adesso stretta in un pugno di ferro. "Dimmi cosa ti è rimasto del 'Trono', se ne sei capace."

Giovanni si ricompose, schiarì la voce e con smoderata sicurezza, disse: "La trama articolata, gli intrighi, il sesso, gli omicidi, l'ambientazione, i tradimenti, i punti di vista dei vari personaggi, le pulsioni primitive, la lotta tra luce e ombre, l'odio, l'amore, la fratellanza, la conquista del potere e la guerra."

Filippo esplose in una risata fragorosa e i suoi occhi divennero lucidi.

"Giovanni, ti ho chiesto cosa ti è rimasto, non di elencarmi la lista della spesa."

La frase suscitò l'ilarità generale; ridevamo così tanto da trattenere a stento le lacrime. Giovanni si ritrovò a subire lo scherno senza poter reagire. Le sue parole confuse e balbettanti venivano surclassate dalle nostre risate, quindi alzò le spalle, fece un gesto con la mano e si allontanò in disparte, davanti al camino ardente.

"Non capisco perché vi scaldate tanto" osservò Lux, quando il trambusto era ormai scemato. "Io non avevo il tempo di guardare serie tv." L'archeologa sporse il mento in avanti, con gli occhi chiusi e un'aria saccente. "La mia vita piena di impegni lavorativi me lo ha sempre impedito."

Filippo la fissò con stupore.

"Non hai mai visto 'Lost'?"

"No!" rispose lei. "So soltanto che un elicottero cade su un'isola..."

"Era un aereo..." replicò Filippo, sorridendo, "abbastanza grande, tra l'altro..."

"Va beh..." obiettò lei, alzando le spalle. "Il succo è lo stesso."

All'improvviso le finestre della casa iniziarono a tremare e, in lontananza, si udì un brusio ronzante. Le lacrime di gioia rimasero ancorate a dei volti non più sorridenti.

"Lo sentite anche voi?" domandò Lux, fissando le vetrate della dimora. "Sembra l'elicottero di 'Lost'!"

"Quello era un aereo!" urlò Taddeo, agitandosi.

Con un balzo afferrai il binocolo e mi avvicinai alla finestra, accostandomi all'estremità sinistra, e guardai fuori. Nello stesso istante Simone si accostò all'altra estremità, con un binocolo tra le dita e un fucile già carico con il colpo in canna. Il resto dei presenti rimase alle nostre spalle. Non più un sussurro echeggiò nella dimora. Un elicottero scuro con i fari spenti si avvicinò a grande velocità; il ronzio delle eliche sembrava quello di uno stormo di calabroni.

Portai il binocolo agli occhi e mi parve di vedere una mitragliatrice al suo interno, così mi gettai di lato, e lo stesso fece Simone, probabilmente vittima della stessa visione. I nostri sguardi si incrociarono, allarmati, e il fiato si spense in gola. Poi, lentamente, strisciai le mani sul muro e inclinai la testa di lato, lasciando sbucare una pupilla dalla finestra. L'elicottero sorvolò gli acri della nostra terra, fece piegare la cima degli alberi e oltrepassò la casa, facendo tremare le imposte.

"Ascoltatemi bene!" urlò Simone, voltandosi verso il tavolo. "Hanno una mitragliatrice. Dobbiamo muoverci alla svelta. Prendete le armi e tenetevi pronti a sparpagliarvi, ognuno in una direzione diversa. Una volta fuori, sdraiatevi per terra, puntate le eliche e scaricate i vostri caricatori. Se le cose dovessero mettersi male, ci ritroveremo lungo la strada che porta alla città."

L'elicottero fece il giro e riapparve addosso alla finestra; diminuì la velocità e scese di quota, spingendosi fino a cento passi dalla dimora, in una zona verde e pianeggiante.

"Vuoi abbatterlo subito?" domandai a Simone.

"Sappiamo cosa vogliono, Kephas. Più veloce è anche più indolore."

La coltre buia della notte, resa più nera dal cielo nuvoloso, regnava sovrana. Alle mie spalle, ognuno si dava da fare per recuperare le proprie armi. Dunque afferrai il mio fucile, la mia pistola e varcai la porta, seguito dal resto del gruppo. Ci sparpagliammo in fretta sull'erba umida, a distanza di cinque metri l'uno dall'altro. Le eliche dell'elicottero ronzavano con un frastuono assordante.

I nostri passi non si udivano nemmeno, e l'aria gelida sferzava i nostri corpi. Mi gettai per terra, nascondendomi dietro a un albero di pioppo. Afferrai il fucile, caricai il colpo in canna e presi la mira. Tutt'a un tratto i fari dell'elicottero si accesero e squarciarono l'oscurità: il bagliore di luce era talmente intenso da accecare la vista, così fui costretto a distogliere lo sguardo altrove.

"Abbassate le armi!" annunciò la voce di un uomo al megafono. "Abbiamo un messaggio da consegnarvi."

Le eliche dell'elicottero, ormai abbassatosi quasi a terra, tagliavano l'aria come maceti e le folate di vento, generate da tale impeto, facevano sì che le foglie, dormienti al suolo, schizzassero da terra per alzarsi in volo. Con le mani cercai di farmi spazio tra i rami del pioppo, sollevai lo sguardo ma il faro mi accecò di nuovo la vista. Quando abbassai gli occhi, ancora annebbiati, mi parve di vedere la sagoma di un uomo correre verso di noi.

"Sta arrivando una persona!" urlò Lux, nascosta dietro un'aiuola.

"Non sparate!" continuò Federico. "Sembra disarmato." Il suo corpo massiccio era ben coperto da un albero di pino.

All'improvviso sentii i passi distanti dell'uomo che correva, calpestando l'erba veloce come un ghepardo. La sua corsa sfrenata sembrava condurlo a me. Quando quei passi echeggiarono vicino alla mia postazione, allungai la gamba facendolo inciampare e cadere per terra. Poi lo afferrai per il bavero del cappotto e lo trascinai dietro l'albero di pioppo, controllandolo dalla testa ai piedi.

"Non uccidermi!" disse lui, ansimando e aprendo le mani in segno di pace. "Io non c'entro niente con loro."

Strinsi il suo collo con una mano e lo guardai con aria di sfida. L'uomo era disarmato e non aveva alcun tatuaggio sui polsi. Dunque decisi di liberarlo dalla mia presa; forse non mentiva. In un baleno tutti i presenti si avvicinarono, mantenendo la guardia alta. Alcuni si nascosero dietro l'albero insieme a me, altri in qualche aiuola o albero vicino.

"Se non sei uno di loro," domandai, allora chi sei e cosa vuoi da noi?"

Egli rimase disteso per terra, poi si sollevò su un gomito, respirando con affanno. Era un uomo massiccio con corti capelli arancio rossastro, una fronte spaziosa e sottili sopracciglia chiare. Il naso affilato era ben pronunciato e dritto, benché con un accenno di ingobbamento al centro, e la mascella sembrava dura come il marmo e liscia come il ghiaccio. Folti baffi, dello stesso colore dei capelli, sormontavano labbra sottili e scendevano fino al mento. I suoi occhi verdi e trasparenti... mi sembrava di averli già visti.

"Mi chiamo Giacomo!" rispose. "Sono... ero un ingegnere meccanico a Belluno. È inutile aggiungere altro. Mi hanno fatto scendere dall'elicottero per dirvi che vogliono consegnato un certo Kephas."

Alzai gli occhi su Simone, che nel mentre fissava l'elicottero con rabbia.

"Stupidi babbei!" esclamò, stringendo i pugni. Poi volse lo sguardo sull'uomo. "Perché mai dovremmo consegnarglielo?"

Giacomo abbassò lo sguardo, adesso gelido e inespressivo.

"Sono degli assassini... uccideranno le persone che hanno a bordo. Compresi donne e bambini."

Passai una mano sulla fronte umida, poi la strofinai sui capelli. Le eliche dell'elicottero continuavano a ronzare, con un frastuono che copriva per metà le nostre voci.

"Quante persone ci sono su quell'elicottero?" domandai. "Chi mi vuole?"

L'uomo sollevò lo sguardo, e un brivido lo scosse dalla testa ai piedi.

"Sono tre uomini. Si fanno chiamare i 'Guardiani della Terra'. Tengono in ostaggio una famiglia e una donna."

I miei occhi erano spalancati sul volto dell'uomo che tremava, forse per il freddo, forse per la paura. Sentivo le mie forze mancare, le gambe deboli, un senso di timore che bruciava nello stomaco.

"Giacomo..." dissi, con un po' di esitazione. "Che giorno sei arrivato a Palermo?"

"Il 6 gennaio" rispose, increspando le sopracciglia. "Perché?"

"Ci sono altre persone su quell'elicottero che, come te, sono arrivate il 6 gennaio?"

L'uomo mi fissò con aria pensierosa, sbattendo le palpebre più volte.

"Che io sappia no."

"Nei sei sicuro? Riflettici un attimo."

L'uomo meditò per qualche secondo. "No! Non credo."

L'erba frusciò alle mie spalle e Lux mi abbrancò per le braccia, strattonandomi. "A cosa stai pensando, Kephas? Non puoi andare. Non pensarlo nemmeno."

Voltandomi, vidi i suoi occhi luccicare; le sue mani sottili e delicate imprimevano sempre più forza sulle mie braccia, tanto che le nocche erano divenute bianche. All'improvviso i nostri sguardi balzarono sulla distesa verdeggiante: stava arrivando qualcuno. Chiunque fosse, correva sul terreno con un passo felpato, quasi strisciando la suola delle scarpe sull'erba. Il respiro pesante, affannato, mugolante. Distolsi lo sguardo per terra, accecato dai fari dell'elicottero. Ognuno si piegò sulle gambe, poggiando le mani sul terreno, e i fiati si spensero in gola.

Simone si curvò sulle spalle di Giacomo e gli tappò la bocca. Quando gli ultimi passi echeggiarono vicino all'albero di pioppo, allungai la gamba: una figura scura e minuta la urtò, fece un volo in avanti, emise un verso secco di dolore e sbatté la faccia sul terreno umido, strisciando per mezzo metro. Quando la afferrai per le spalle, e la capovolsi, rimasi a bocca aperta: era un bambino di nemmeno dieci anni. Dopo un attimo di esitazione, lo controllai dalla testa ai piedi: non aveva alcun tatuaggio sui polsi, e per di più era disarmato.

"Non uccidermi, signore!" quasi balbettò il bimbo, terrorizzato.

In quell'attimo una morsa attanagliò il mio stomaco e le mani tremarono, balzando via dal suo corpo. I suoi occhi erano chiusi e stretti, ma non riuscivano a contenere le lacrime che bagnavano le sue guance sporche di terra e si spegnevano al suolo. Tutt'intorno si sollevarono versi di stupore, poi qualche testa sbucò alle mie spalle. Il bambino aveva dei capelli a caschetto neri, con una frangia che copriva la fronte e le orecchie. Il naso, piccolo e stretto, esaltava le sue guance paffute e rosate. La carnagione era chiara e i lineamenti asiatici.

"Atasuke!" esclamò Giacomo, liberandosi dalla presa di Simone e abbracciando il piccolo. "Cosa ci fai qui?"

"Signor Giacomo!" rispose a bassa voce il bimbo, singhiozzando e nascondendo la sua faccia dentro al cappotto dell'ingegnere meccanico. "Ho tanta paura."

In quell'attimo non riuscii più a capire cosa stesse succedendo. Passai una mano sulla fronte umida, poi la strofinai sui capelli. Le eliche dell'elicottero continuavano a ronzare con un frastuono assordante. La mia testa andava in fiamme, i pensieri erano confusi. Ammettendo che i 'Guardiani della Terra' fossero come l'anziano pirata, pensavo, perché lasciare liberi alcuni ostaggi? Perché liberare proprio loro a discapito degli altri? Perché non sparare subito dentro la dimora o sopra gli acri di questa terra, con la mitragliatrice?

"Uccideranno la mia mamma e il mio papà" disse il piccolo, stretto tra le braccia di Giacomo.

Le sue lacrime erano come schegge di vetro che trafiggevano il mio cuore. L'ingegnere meccanico accarezzò i capelli di Atasuke, poggiando il mento sopra la sua testa.

"Sta' tranquillo, i tuoi genitori non moriranno."

La testa di Giacomo si piegò di lato e il suo sguardo, crucciato, mi fissò... adesso severo e acuminato.

"Stanno giocando con noi" pensò Lux ad alta voce. "Si stanno prendendo gioco di noi."

"Che intendi dire?" chiese Simone, stralunato.

"Hanno una mitragliatrice!" rispose l'archeologa. "Avrebbero potuto ucciderci, se solo avessero voluto farlo."

Lux chinò il capo, pensierosa. Le sue labbra erano serrate, il naso corrugato così come la fronte. Simone era imprigionato in un'espressione di rabbia da troppo tempo ormai; temevo che potesse agire d'istinto, se non avessi preso una decisione alla svelta.

"La mitragliatrice è scarica!" esclamò Giacomo. "La usano solo per impensierire le persone."

Simone lo afferrò per il cappotto.

"Quindi non abbiamo a che fare con dei criminali?"

Giacomo lo fissò con le palpebre che tremavano, così come la voce.

"Gli ho visto sgozzare donne e bambini. Non sono criminali... sono bestie."

I fari dell'elicottero si spensero all'improvviso: il buio sovrastò ogni cosa. Le eliche continuarono a ronzare, il vento a soffiare. Il bambino mugolava.

"Kephas!" pronunciò una voce maschile al megafono. "Prendi il binocolo."

L'elicottero, adesso, era un'ombra scura sospesa a mezz'aria. Attorno a lui altre ombre si piegavano come per voler fuggire dalla sua potenza. Afferrai il binocolo che pendeva sul mio petto, seppure con riluttanza. Lo portai agli occhi lentamente, mentre il vento spintonava le nuvole e la luna piena tornava ad affacciarsi sull'oscurità.

Vidi l'ombra di una figura umana immobile e in piedi all'interno dell'elicottero, illuminata da una lanterna; dietro questa, due o tre uomini fermi come pilastri. L'eco di uno sparo esplose all'improvviso e il corpo, freddato davanti ai 'Guardiani della Terra', cadde in avanti, volteggiando al di fuori dell'elicottero, fino a schiantarsi al suolo. I fari del velivolo si attivarono un attimo dopo, accecandomi la vista. Chinai lo sguardo d'istinto, adesso paralizzato sul terreno, abbandonando la presa sul binocolo.

"Kephas!" pronunciò una voce maschile al megafono. "Le prossime vittime saranno i genitori del bambino. Tu non vuoi che muoiano, vero?"

I miei arti si irrigidirono di colpo. Gemiti di dolore si levarono al cielo ricoperto di nuvole nere. Non potete farmi questo, pensai. Giocare con la vita delle persone, attribuirmi la loro morte con un ricatto. E il bambino? Cosa ne sarebbe stato di lui? Neppure il tempo di pensarlo che Atasuke si gettò su di me, scaricando una serie di pugni interminabili contro il mio stomaco. Versi di dolore, fiumi di lacrime, palpebre arrossate e guance rigate d'argento.

"Devi andare!" mi urlava. "Perché non vai?" Perché stai fermo?"

Poggiai le mani sulla sua chioma nera, liscia e profumata, mentre continuava a colpirmi disperato. La strinsi con forza, con lo sguardo vuoto su di essa.

"Cosa stai aspettando, Kephas?" gridò Giacomo, alzandosi in piedi. "Vuoi che questo bambino rimanga orfano?"

Simone gli scagliò un pugno in piena faccia e l'ingegnere meccanico volò al suolo.

"Nessuno di noi andrà da nessuna parte!" esclamò il militare, ansimando. "Ci prenderemo cura noi del bambino."

"Cosa hai intenzione di fare, Simone?" chiese Lux, strabuzzando gli occhi.

Giacomo fece come per rialzarsi, massaggiando la mandibola. Dunque spinse le mani sul terreno e si risollevò con uno scatto.

"È uno sbaglio!" protestò, con una mano a coprire il volto indolenzito e gli occhi colmi di rabbia. "Quelle persone non scherzano."

Simone sbuffò con un ghigno amaro. "Non scherzo nemmeno io." Poi brandì la sua pistola e mirò verso l'elicottero. "È la cosa giusta da fare. Alessio, afferra la tua arma e aiutami."

I due fratelli si scambiarono uno sguardo d'intesa. Il militare più giovane annuì e afferrò la sua pistola, rivolgendo la canna davanti a sé.

"Non avrei mai pensato di essere costretto a fare una cosa simile."

Il bimbo si staccò dal mio corpo, voltandosi con la bocca aperta.

Uno dopo l'altro i colpi d'arma da fuoco esplosero dalle pistole, schizzarono in aria e si frantumarono contro le eliche dell'elicottero.

"No!" strillò Atasuke. "No! No! No!"

A seguire, Federico, Giacomino e Tommaso si aggiunsero alla sparatoria, con le braccia tese e gli sguardi assorti e severi. Le urla disperate del bambino si alzarono in cielo, stridenti. I miei occhi spenti sui fari accecanti. Lux mi strinse forte, piangendo. Il pilota tentò di divincolarsi dal nostro attacco, ma la coda del velivolo iniziò a roteare su se stessa, fuori controllo.

L'elicottero mulinava in un cerchio iniziando a perdere quota, come fosse intrappolato dentro a un tornado. Poi sembrò quasi liberarsi da quella morsa, planò per un centinaio di metri e scomparve dietro una montagna. L'esplosione mi fece trasalire. Quando abbassai gli occhi, costernato, mi accorsi che Atasuke, nel trambusto, aveva preso la pistola a qualcuno. Adesso si trovava a pochi metri da Simone, e gli puntava l'arma addosso.

"No..." dissi con un filo di voce. "Questo no..."

Lux sciolse adagio le sue braccia dal mio corpo; il suo respiro era quasi assente. Il silenzio scese attorno a noi, angosciante. Simone si voltò di scatto come per rientrare a casa, con la pistola ancora fumante e probabilmente scarica, ma alla vista del bambino armato si immobilizzò di colpo, strabuzzando le palpebre.

"Io ti uccido!" esclamò Atasuke, tremando, con le lacrime incollate agli occhi. "Io ti uccido! Io ti uccido!" Respirò affannosamente. Le guance raggrinzite. "Tu! Sei una persona cattiva."

Simone sollevò lentamente le mani, con i palmi aperti e perpendicolari al terreno. Le labbra erano poggiate l'una sull'altra, asciutte e screpolate. Lo sguardo di colpo stanco e mortificato. Non una parola fuoriuscì dalla sua bocca, e neppure da quella di nessuno dei presenti. Silenzio totale, buio pesto. Il vento sferzò la trepidante attesa. Il militare chiuse gli occhi, deciso a pagare le conseguenze del suo gesto.

Ma non poteva finire così... non poteva. Sollevai la pistola, premetti il grilletto e il proiettile partì. L'istante successivo Atasuke cadde sul fianco, battendo la testa contro la terra umida e dura, che rimbalzò due volte con gli occhi aperti. Lasciai cadere la pistola. Chiusi gli occhi. Sopra di me si levarono le urla dei presenti. Presto sarà finita, pensai. Perdonami, Atasuke.

Rimasi a guardare il cadavere nella mia testa, mentre qualcuno mi strattonava e qualche altro mi urlava in faccia. Pensai al destino, che mi aveva riservato una ruvida sorpresa, costringendomi ad affrontare una mia sgradita e vecchia amica; la follia. Schiusi le palpebre e guardai la mia pistola abbandonata a terra, con la canna che quasi lambiva il sangue del bambino.

Avvertii un conato di vomito, e in quell'istante, mentre lottavo con la nausea, tutto mi parve chiaro: mi ero illuso, avevo pensato di potere essere un leader. Avevo peccato di presunzione, perché avevo creduto di essere ancora l'uomo di una volta. Ma la verità era ben diversa: da quando era morta mia moglie, e poi mio figlio, ero diventato più fragile di un fiore di mandorlo. Sarebbe bastato un alito di vento più forte del solito per spazzarmi via senza pietà.

Erano i miei stessi sogni a confermarlo, le notti intrise di sangue; talvolta avevo paura di addormentarmi perché temevo ciò che avrei potuto vedere. Sangue. Sangue a profusione. Lo stesso sangue di Marie. Lo stesso sangue di Ettore, il sangue che adesso sgorgava dal corpo di Atasuke. Non potei più trattenermi. Mi voltai di spalle e vomitai, piegando la schiena in avanti con le mani poggiate sulle gambe.

E mentre il mio corpo era scosso da violenti singulti e percorso da crampi di dolore, mentre i miei occhi lacrimavano come in preda a una profonda commozione... provai pietà per me stesso. Fu allora che sentii una voce, una voce che sembrava provenire dagli abissi della coscienza, e che invece era completamente reale.

"Complimenti, Kephas."

Il mio cuore smise di battere. Sentivo il sangue affluire verso la testa, infiammandomi le guance. La voce di Giacomo era cinica, aspra, colma di disgusto.

"Era solo un bambino."

Un rivolo di saliva mi colava dalle labbra. In un attimo mi sentii perduto.

"Un bambino che avrebbe sofferto per il resto della vita" disse Simone, porgendomi un fazzoletto.

Lo afferrai e lo strofinai sulle labbra, con le mani tremolanti.

"Comincio a pensare che loro sapessero che l'avresti fatto" sussurrò Lux, con un tono di voce triste, avvicinandosi al mio fianco. "Ecco perché non ci hanno sparato."

Mi voltai di lato, fissandola.

"Kephas!" sussultò lei. "I tuoi occhi! Per un attimo sono diventati neri."

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top