Padre

È strano, sono appena arrivata all'università in ritardo apposta per stare dietro agli orari di Taiki che non arriva mai puntuale perché volevo vederlo, ma non c'è. Non ho nemmeno lezione oggi, ma dopo la continua segreteria telefonica sul suo cellulare mi sono un po' preoccupata. La mia preoccupazione aumenta, vedendo arrivare i suoi compagni senza di lui.

— Ciao, scusate, sapete perché Taiki non c'è?

Chiedo, al gruppetto di ragazzi con cui l'ho sempre visto, compreso il suo coinquilino.

— È andato via, ieri sera, anche con una certa fretta.

Andato? Dov'è andato?

— Sapevi dove andava?
— A casa sua.
— Ah, capisco.

Li lascio andare, salutandoli e ringraziandoli. Non capisco quest'improvvisa partenza di Taiki, se almeno mi avesse lasciato un messaggio o, forse, ci ha ripensato ed è scappato? Non so cosa pensare. Prendo fra le mani il cellulare con l'intenzione di scrivergli, ma poi ci ripenso. Ho paura, ho come un brutto presentimento.
Taiki ha radici nobili nella sua famiglia e i suoi genitori sono sempre stati molto rigidi riguardo la sua edicazione. Quando il loro unico figlio ha detto di avere una ragazza, una fidanzata, gli hanno risposto che sarebbe stata una cotta passeggera e che si sarebbe reso conto molto presto del compito che gli spettava: ereditare il nome della famiglia. Tuttavia continuava a stare con me, anche se in segreto. Mi odiavano, l'hanno sempre fatto. Sono venuti persino a casa mia una volta, a prendersi gioco di me davanti alla mia famiglia che, giustamente, mi ha difeso.

Come si permette una ragazzina qualunque a mettere gli occhi su nostro figlio?

Mi dissero furiosi.
Dopo quella scenata mi era venuta in testa l'idea di lasciare Taiki. Avendo i suoi genitori contro non avremmo di certo avuto un futuro, pensai. Però, proprio sul punto di farlo, Taiki mi si inginocchiò davanti, implorandomi di non farlo.

L'amore che provo per te non lo proverei mai per una ragazza dell'alta società, tu mi doni freschezza e semplicità tutti i giorni. Quelle, invece, vogliono solo più vizi e attenzioni di cui andare fiere. Non è quello che cerco, io voglio te. Non mi lasciare! Il rumore dei tuoi passi è una risata per me, quando sei difronte a me vedo un futuro felice davanti ai miei occhi, non obbligato, ti prego, non farlo Hana!

A quelle parole così sincere e piene d'amore, zittii completamente la testa e mi lasciai trasportare dal cuore. Quella notte, a quindici anni, abbiamo fatto l'amore per la prima volta. Entrò dalla finestra di camera mia di nascosto, era scappato di casa dopo un altro litigio, e si intrufolò nel mio letto.

🌸🌸🌸

Cosa devo pensare adesso? È stato chiamato dai suoi genitori? Hanno saputo della bambina? Come e in che modo? I suoi genitori mi stavano addosso come un'ossessione, ero sempre sotto i loro occhi ovunque fossi. Anche adesso? Mi tremano le gambe al solo pensiero che sappiano di Aika, devo proteggere la mia piccolina.
Corro a nascondermi nei bagni dove sfogo tutto il mio nervosismo vomitando. Il presentimento di rivivere questo incubo mi capovolge lo stomaco. Era come se fra me e Taiki ci fosse una clessidra e mentre i granelli di sabbia seppellivano il nostro amore, io e lui combattevamo per farlo riemergere. Ma dopo tutti quegli anni di sforzi finiti per vani, tutto ciò che ci univa si era indebolito: l'amore resisteva, ma le ferite continuavano a riaprirsi e, come un cerotto, la speranza si è strappata dal nostro cuore provocando tutto il dolore di questi mesi. Ci avevano obbligati.
Mi sciacquo la bocca al lavandino, ma quando rigiro la manopola del rubinetto sento dei singhiozzi provenire dalla cabina dietro di me. La porta è socchiusa, decido di aprirla lentamente e trovo Miku, rannicchiata sulla tazza. Alza lo sguardo vedendomi e scoppia in in pianto isterico.

— Miku, cosa succede?

Mi avvicino a lei cercando di abbracciarla, ma lei si irrigidisce e con le braccia mi sposta via. Io e questa ragazza abbiamo iniziato col piede sbagliato, ma in fin dei conti le voglio anche bene.

— Miku, dai, non fare così.
— Che cosa vuoi?

Mi chiede, a voce alta, fra i singhiozzi.

— Io voglio aiutarti.
— Non puoi!
— Miku, calmati, ti sentiranno dal corridoio se urli così, dai, alzati.

Non mi ascolta, continua a restare con le ginocchia al petto sopra al gabinetto.
Prendo dalla borsa il mio fazzoletto di stoffa e lo inumidisco, per poi pulire il viso di Miku dalle lacrime che continuano a sgorgare dai suoi occhi rossi.

— Miku, andiamo a casa mia. Aika è fuori con la babysitter, possiamo fare tutto quello che vuoi senza che nessuno ci senta o ci veda. Ho anche del vino, se ti può convincere ad alzarti da qui.

Miku mi guarda e si calma, per poi alzarsi lentamente.

— Andiamo?

Le chiedo, con un piccolo sorriso.

— Sì.

🌸🌸🌸

Appena entrate in casa, Miku si butta sul divano mentre io verso il prosecco in due bicchieri. Mi avvicino a lei e gliene porgo uno. Mi guarda con gli occhi socchiusi e lo afferra, per poi berne un sorso.

— Prosecco alle 10 di mattina, che benessere.

Dice.

— Allora, cosa c'è che non va?
— E me lo chiedi anche? Il ragazzo che amo ama un'altra, questa ragazza, che poi saresti tu, ha partorito sua figlia e si sono riuniti come in una famiglia felice.

Non so bene come rispondere, qualsiasi cosa non andrebbe bene.

— Però non è solo questo, ho problemi più importanti. Mi fanno le interviste chiedendomi sempre la stessa cosa. Che palle le interviste, non possono farsi i cazzi loro? A furia di rispondere a ognuno in modo diverso, ormai non so più cosa rispondere a me stessa.

Miku svuota la testa dai pensieri che la preoccupano, coprendosi gli occhi con le braccia. Poco dopo si alza dal divano e si avvicina al mio piano. Lo tocca, quasi lo accarezza con le dita, senza aprirlo.

Perché suoni? Mi chiedono, ma io ormai non lo so più.
— Non ti rende felice?
— Non lo so, so che devo continuare a suonare perché ho trascorso tutta la mia vita a farlo. Se smettessi, non mi rimarrebbe nulla. Ma ormai, cosa mi è rimasto?

Si avvicina il bicchiere alla bocca.

— Miku, io mi sento in colpa con te, vorrei fare qualcosa per vederti felice.

Le dico.

— Tu hai già troppo problemi per pensare anche ai miei.
— Sì, ma a volte vorrei distrarmi dai miei problemi e magari provare a risolvere quelli degli altri.
— Sei proprio un pezzo di pane, ma purtroppo con me non puoi fare niente.
— Perché dici così?
— Perché, mi chiedi? Be', è una storia un po' lunga.
— Se vuoi liberarti, abbiamo tutto il tempo.
— D'accordo, ma tanto non serve a nulla.

Sospira.

— Mio padre mi ha avvicinato alla musica da bambina, lui suonava il piano per passione, non per lavoro. Un primario che trova anche il tempo per i suoi hobby, non è incredibile? Per le sue figlie, per sua moglie, è sempre stato presente, in qualsiasi momento. Alle mie esibizioni, ai saggi di danza di Satsuki, ai pranzi di domenica in cui eravamo tutti e quattro riuniti. Faceva l'impossibile per trovare il tempo da passare con noi. Era mia madre quella a cui piaceva ascoltare la musica, ma lei non c'è più da quattro anni e mio padre ha abolito la musica in casa nostra. È morta dopo che un deficiente ubriacone l'ha investita, mio padre fece di tutto per rianimarla: l'ha portata subito in sala operatoria con urgenza, ma quando ha aperto il suo corpo aveva già perso troppo sangue e non ce l'ha fatta. Da quel giorno è cambiato, non si perdona il fatto di non essere riuscito a salvarla. Quando gli ho detto che volevo fare la pianista, pensando di farlo contento, lui mi ha detto che non ero abbastanza brava. Mi sono impegnata, sono migliorata dopo pochi anni, anche se non veniva più a sentirmi ho vinto tutte le competizioni e poi ho fatto quell'esame d'ammissione alla Towa. Sono tornata a casa contentissima di essere arrivata prima, ma lui non voleva mandarmi. Dopo avergli detto che ci sarei andata comunque, mi ha risposto che se uscivo di casa per studiare musica non avrei mai potuto rientrarci. Infatti durante le vacanze di Natale tornai e, immettendo la chiave nella porta, la serratura era bloccata. Anche mia sorella ha intrapreso la sua strada e lui è solo ormai, pensarlo abbandonato a se stesso mi rende molto triste. Continuo a cercarlo per telefono, per posta, ma non mi risponde mai.

Miku si siede sul mio seggiolino davanti al pianoforte, appoggia i gomiti su di esso e si accascia coprendosi il viso con le mani.

— Io suonavo per loro. Per vedere la mamma sorridere a ogni mio progresso e per la passione che condividevo con mio padre. Mi manca abbracciarlo, stare con lui, sentirmi prendere in giro da mio padre per scherzo. Da quando mia madre è morta si è buttato nel lavoro e non conduce più la vita di prima. Ho perso entrambi e adesso? Suono perché devo farlo, perché la musica è l'unica cosa che ho. Mi sento come se avessi sbagliato tutto nella mia vita.

Alle parole di Miku mi si è commosso il cuore, appena si volta verso di me noto i suoi occhi lucidi, le sue guance rigate dalle lacrime e un'espressione in volto che chiede aiuto.

— Adesso inizia a suonare per te.
— Per me?
— Anche a me hanno chiesto più volte il motivo per cui ho intrapreso questa strada. Io suono perché voglio raggiungere le persone con la mia musica, anche se non seguo lo sparito e alle orecchie altrui potrebbe sembrare che sto improvvisando, ma se ricevo un applauso sentito a fine esibizione significa che ci sono riuscita e che ne è valsa la pena di rischiare a mettere dentro alla melodia me stessa. La musica è libertà, mi baso su questo. Tu cosa vuoi che trasmetta la tua musica?

Le chiedo.

— Io vorrei solo riavere mio padre.
— Allora scrivi, componi, suona! Mettici il cuore, pensa a tuo padre mentre lo fai e non alle note sullo spartito. Chiudi gli occhi e lasciati guidare dalla musica per arrivare alla tua meta. Non permettere a nessuno di ostacolarti, ma se insistono a volerti monipolata dimostra a tutti che l'unica cosa da cui vuoi essere condizionata sono le tue stesse mani sulla tastiera. Se ti appoggi a qualcun altro per esprimerti, non ne uscirai mai soddisfatta al centro per cento, ma se scommetti solo su te stessa sarai libera.

Miku scoppia a piangere un'altra volta, allora la raggiungo e la abbraccio con affetto.

— Su, su! Sei una pianista bravissima, ce la farai.
— Grazie Hana, sei una vera amica.

Sorrido alle sue parole, io le voglio bene. Sono contenta di sapere che è corrisposto.
Mi vibra il telefono nella tasca dei jeans, sussulto e subito lo prendo fra la mani. Ma no, non si tratta di Taiki, è solo un messaggio promozionale.

— Tu, piuttosto, come stai? Ti ho sentito vomitare prima, non dirmi che sei di nuovo incinta?

Mi chiede Miku con una certa preoccupazione mischiata al sarcasmo, come suo solito, dopo essersi riseduta sul divano.

— Macché, ci mancherebbe solo questo! Comunque sto bene, sono solo nervosa.

Le rispondo, versandomi altro vino nel bicchiere.

— Che motivo hai per esserlo?
— Be', Taiki se n'è andato.
— Scherzi? Le prende!

Esclama sorpresa, alzandosi e risvoltandosi le maniche del maglione.

— Ma, forse, l'ha fatto per il suo bene.
— Cosa intendi?

Le spiego la situazione con la sua famiglia e rimane basita dal mio racconto.

— Sei proprio ingenua.

Poi dice.

— Perché?
— Avete una figlia! Se i suoi sono dei fissati con questa storia dell'eredità, significa che avete una possibilità.

La guardo perplessa.

— Sveglia, Hana! Tua figlia il sangue di Taiki!

Mi scuote prendendomi dalle spalle. Colgo questo punto di vista solo ora e mi si sbarrano gli occhi automaticamente, ha ragione Miku! Allora, forse, io e Taiki possiamo stare insieme!

— Perché non ci ho pensato prima!
— Sei un pochino tarda!

Ci guardiamo e scoppiano a ridere, come due bambine superficiali. Miku ama Taiki, ma vuole anche aiutarmi. Ti ringrazio, amica mia.

— Cosa devo fare?
— Aspetta che torni, se non torna entro domani lo chiamiamo.
— Chiamiamo?
— Voglio esserci quando lo chiami, così se non dovesse essere questo il motivo della sua partenza io sarò lì per insultarlo e a consolarti, ma ho un buon presentimento, non pensiamo subito al peggio.

Mi sorride e io ricambio il suo affetto con un abbraccio improvviso. Miku rimane immobile per qualche secondo per poi cingermi delicatamente la schiena con le sue braccia.
Spero solo che vada tutto bene.

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