SETTE

Proprio come la sera precedente, i due uomini trovarono la strada in cui si affacciava il vicolo in cui avevano soccorso Andy, stracolmo di gente, auto e caos. Sembrava che la città si trovasse in pieno fermento, che quella non fosse una domenica che ormai contava gli ultimi minuti alla propria conclusione, né che l'indomani tutta la gente che si affollava lì dovesse ridare il via alla propria routine settimanale. C'era sì la possibilità che qualcuno di quegli individui non avesse degli impegni mattutini, ma la confusione che trovarono era comunque spropositata, seppure rientrasse nella normalità della loro città.

Si districarono tra la folla che riempiva il marciapiede, oltrepassando un gruppetto di giovani appollaiati sui gradini d'ingresso di uno stabile, altri fermi davanti a un minimarket ancora aperto. Dopo avere rallentato un po' il passo per non finire addosso a una coppia intenta a camminare piano – strascicando i piedi –, si trovarono a un paio di metri di distanza dal vicolo. Vince prese Patrick per mano, accelerando di nuovo il passo, superando la coppia, e furono all'interno della stretta stradina senza uscita nel giro di pochi secondi.

Subito dopo, una volta lì dentro, senza dire una parola, si separarono e iniziarono a guardarsi intorno, facendosi luce con le torce dei cellulari. Erano stati davvero fortunati tanto da arrivare sul luogo prima degli amici di Johnny Boy, proprio come si erano augurati che accadesse.

«Non c'è!» sbottò Patrick dopo avere percorso il suo lato del vicolo per ben tre volte, riuscendo a spaventare un gatto randagio, rischiando di scivolare su un qualcosa di non meglio identificato, fino a sentire le narici iniziare a bruciare a causa dell'odore nauseabondo di pesce marcio che appestava il vicolo.

«Niente anche qui.» disse Vince, assumendo un tono di voce che mise in allerta il suo compagno.

«Che c'è?» chiese Patrick e l'altro si strinse nelle spalle, alzando la testa e prestando attenzione ai rumori della notte. Si toccò un orecchio con un dito.

«Polizia.» disse soltanto e il suo amante annuì.

«Meglio andare. Vero che sono amici di tuo fratello, ma incomincerebbero a farci domande se ci trovassero qui.»

Vince annuì e lo spinse gentilmente verso il fondo del vicolo.

«L'uscita è dall'altra parte.» disse stupito Patrick e l'altro poggiò una mano contro la parete di fondo e quella cedette in parte, producendo un suono stridulo, svelando una specie di porta che si apriva sul lato opposto. L'uomo aggrottò la fronte. «Non mi piace.»

«Stai tranquillo. Me ne sono accorto mentre guardavo qui, poco fa. Magari porta direttamente...»

«Verso un covo di tossici? Un giardino fatato di unicorni? Siamo a New York! Perché vuoi rischiare di impicciarci in cose così tanto pericolose?»

«Chi ti dice che sia pericoloso?»

«Chi ti dice che non lo sia?»

Vince sospirò. «C'è il campo da basket, qui dietro. Non sapevo della porta, chiamiamola così. Ma la zona la conosco bene, lo sai. C'ho passato tanto tempo anche da piccolo...»

«E io ti ho detto di sì, quando mi hai proposto di venire a vivere in zona, proprio per questo motivo!» lo interruppe Patrick. «Ma...!»

«Ma! Andiamo, tagliamo dal campo. Magari prima che arrivi la polizia.» disse Vince, indicando con un dito l'ingresso del vicolo, mentre le sirene si facevano più vicine e acute, annunciando l'imminente arrivo dei poliziotti.

Patrick cedette alle insistenze del compagno. Gli strinse con forza un gomito e lo seguì, sbucando direttamente sul campo da basket. «Comunque, non è che abbiamo nulla da nascondere.» borbottò, stringendosi maggiormente al suo braccio.

«Mi scoccia che comincino a chiederci per quale motivo abbiamo finto di non partecipare alle ricerche del ragazzo. Potrebbero pensare chissà ché.»

«Capisco...»

«No. Però lo sai come funziona.» disse Vince, fermandosi a pochi metri di distanza da un lampione, mentre la luce artificiale gli illuminava debolmente il volto, rendendo il suo sguardo cupo e intenso.

Patrick rabbrividì e poi sospirò, scuotendo piano la testa. «Sono amici di tuo fratello.»

«Sono sempre poliziotti e io un ex membro di una gang. Senior e J.B. si sono fatti il culo per tirarmi fuori da lì, non voglio farmi fregare dagli sbirri e dare loro un pretesto per sbattermi dentro.»

«Stai esagerando. E, poi, stai parlando di cose che sono successe quando avevi quindici, diciassette anni. Adesso ne hai trentaquattro. Non vedo come le due cose possano finire per essere collegate tra di loro.»

«Lo sai benissimo come.» ribatté Vince, riprendendo a camminare, guardandosi attorno in quella porzione del quartiere in cui loro stessi vivevano, ma raramente praticavano.

Si trovavano alle spalle di una delle maggiori strade di ritrovo del loro isolato, piena di locali e attività commerciali di ogni tipo che rimanevano aperti anche fino a tarda sera. Tuttavia, proprio nella sua parallela, lì dove loro due si stavano muovendo in cerca di Andy, si respirava un'aria strana. Sembrava di trovarsi dentro un enorme parcheggio, con qualche sporadico alberello sparso qua e là. Pochi lampioni funzionanti, diverse auto abbandonate. Le abitazione sembravano tutte vuote, disabitate e silenziose.

Patrick incominciò a percepire un principio di panico e abbassò gli occhi sull'asfalto, piantando le dita di entrambe le mani nel braccio del compagno, con tanta forza da fare sì che Vince ne sentisse la pressione oltre lo spesso tessuto della giacca e della felpa che indossava.

«È solo un posto povero. Ci vive gente disperata. Non tutti sono criminali.» disse l'uomo, assumendo un tono di voce atono, così privo di ogni emozione da far rabbrividire ancora di più l'altro.

«Lo so.» mormorò Patrick. «Non mettere nel sacco anche me.» aggiunse con amarezza.

Vince si fermò in mezzo alla strada, voltandosi nella sua direzione. «Non lo sto facendo.»

«Sì, invece. Quando tocchiamo argomenti come questi, anche se solo di sfuggita, ti arrabbi subito. E incominci a vedere tutti come potenziali nemici, me compreso.» sussurrò l'altro, tornando ad abbassare lo sguardo al suolo.

Vince trasse un profondo respiro, cercando di calmarsi. «Mi dispiace.» disse, con un po' di imbarazzo, e il suo compagno scrollò le spalle, tornando a fissarlo negli occhi scuri.

«Io ti amo. Stiamo insieme da anni. Mi dà fastidio quando incominci uno dei tuoi comizi e ci butti dentro pure me. Soprattutto, me. Lo sai che ti do sempre ragione su tutto. Io mi fido di te e dei tuoi pensieri, più dei miei. Non vedo perché se tocchiamo discorsi del tuo passato, degli errori che hai commesso e di cui ti sei pentito, poi finisce che, per riflesso, la colpa debba essere anche mia.»

«Pat, ma che stai dicendo...»

«Io non ho pregiudizi riguardo la tua storia.» Vince trasalì. «La conosco bene e l'accetto. Sembrerà assurdo, però non potrei mai condannarla perché ti ha aiutato a diventare l'uomo che sei. L'uomo che io amo.»

«Hai ragione e mi dispiace. Scatto in automatico. È un meccanismo di difesa, lo sai. Finisco sempre per sentirmi attaccato...»

«Da me, pure?» lo interruppe Patrick, con voce acuta e Vince, finalmente, riuscì a sorridere, divertito dal tono che aveva assunto il suo compagno.

«No. Tu sei il mio amore. Hai ragione. Io mi vergogno ancora del mio passato, seppure, appunto, è ormai una cosa lontana da quello che sono oggi. Quando prendiamo questo argomento finisco per guardarmi attraverso i tuoi occhi, ma con lo stesso sguardo mio. Non so se ha molto senso... È vero. Ho dei pregiudizi e mi dispiace che ti facciano soffrire così. Ho solo paura che tu possa stare male a causa mia, che tu possa odiarmi.»

«Non soffro. E soprattutto non ti odio. Ci rimango male, ma poi mi chiedi scusa e passa tutto subito. Lo sai. Ho pazienza, Vince, abbastanza per entrambi. E aspetterò con te il giorno in cui la smetterai di vergognarti di te stesso e farò di tutto per aiutarti ad arrivarci.» mormorò Patrick, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.

Vince tornò ad annuire, troppo emozionato per aggiungere altro. Gli circondò le spalle con un braccio e gli baciò la fronte. «Si sta facendo tardi.» sussurrò contro la sua pelle. «Torniamo a casa?» domandò.

Patrick spalancò gli occhi. «E Andy?»

«Ci penseranno J.B. e la polizia. So che, anche per te, questa volta è stata diversa. L'ho capito, te l'ho letto negli occhi.» disse, accarezzandogli una guancia. «Forse perché ci siamo trovati in prima persona in una situazione come questa? Di solito siamo di supporto. Con Andy, invece, abbiamo innescato il meccanismo. E poi è praticamente nostro coetaneo. Però... più di questo, amore? So che vorresti fare di più, ma credo che per stasera sia meglio tornare a casa. Siamo stanchi. È tardi e domani entrambi dobbiamo lavorare. Se avranno bisogno di noi ci contatteranno. Sai che mio fratello non ci penserà su due volte a farlo, se lo riterrà necessario.»

Patrick sospirò mestamente, poggiando la fronte contro il petto del compagno. D'improvviso sentì tutta la stanchezza – a cui l'altro aveva appena fatto riferimento – investirlo di colpo, facendogli percepire i muscoli pesanti, la testa confusa dai troppi pensieri, gli occhi desiderosi di chiudersi e lasciarsi andare a un sonno ristoratore. «Va bene.» disse alla fine, anche se continuava a sentirsi in colpa nei confronti di Andy.

Seguì il compagno per il breve tragitto attraverso cui Vince lo condusse, riportandolo sulla strada principale, ma senza passare dal vicolo. Recuperarono l'auto e tornarono a casa.

Entrambi, nonostante la stanchezza, trascorsero una notte inquieta, carica di tensioni emotive. Più volte si rigirarono tra le coperte, cercando l'uno il corpo dell'altro, nel tentativo di confortarsi con un abbraccio, attraverso il contatto con la pelle calda del compagno. Quando finirono per addormentarsi era già notte fonda e la mattina arrivò troppo presto, tirandoli giù dal letto, sorprendendoli ancora abbastanza scombussolati.

«Ci vediamo per pranzo?» domandò Patrick, uscendo di casa, mentre Vince chiudeva la porta alle proprie spalle, facendo scattare più volte la chiave nella serratura.

«Purtroppo, no. Devo incontrare il rappresentante di un'azienda immobiliare, per pranzo. Cercano una persona per arricchire l'organico, ma che sia in grado di gestire la parte delle vendite che riguarda gli appartamenti di lusso. Abbiamo un paio di nomi da proporre, ma abbiamo pensato che fosse meglio organizzare prima un incontro tra di noi. Non ho intenzione di proporgli qualcuno fino a quando non sarò certo che sia la persona giusta. È un grosso affare, non ho intenzione di deludere un cliente tanto importante.»

«Capisco.» disse semplicemente Patrick, sorridendo.

In parte si sentiva orgoglioso dei risultati che il compagno stava ottenendo a livello professionale. L'agenzia per cui lavorava Vince si poneva come tramite per altre aziende, aiutandole a trovare il personale più adeguato alle loro esigenze, spulciando tra profili, presenziando a cene di gala, meeting, con l'intenzione di scovare professionisti, veri e propri assi del settore. Poteva capitare che quegli individui avessero già un lavoro, ma magari erano insoddisfatti e aspiravano a qualcosa di migliore per il proprio futuro. E anche lì entravano in gioco Vince e i suoi colleghi, cercando di convincere quelle persone a mollare le proprie sicurezze, per poi proporli come nuovi dipendenti alle agenzie che si affidavano a loro.

Vince era bravo: riusciva a scovare un buon partito, insoddisfatto, e a convincerlo a cambiare sponda, facendogli persino credere che quella scelta fosse frutto di una propria decisione e, solitamente, le agenzie di cui lui si prendeva cura rimanevano particolarmente soddisfatte dalle soluzioni che l'uomo forniva loro.

Nel giro di un paio di anni in cui lavorava per la Help, Search!, Vince era stato in grado di costruirsi un buon nome. Aveva già ricevuto due promozioni con relativo aumento dello stipendio.

E Patrick continuava a destreggiarsi all'interno del suo piccolo studio di arte, vendendo di tanto in tanto un quadro, guadagnando davvero molto poco rispetto al proprio compagno, nonostante affiancasse quella sua vocazione artistica a un altro lavoro – difatti, era anche impiegato come commesso all'interno di un supermercato.

Vince aveva cercato più volte di convincerlo a farsi seguire da lui – in poche parole, a farsi raccomandare –, ma Patrick aveva sempre rifiutato, cercando di essere autonomo. Almeno sino al sabato precedente, quando aveva scoperto che lo aveva favorito con una una Galleria d'Arte.

Quella situazione lo entusiasmava e, allo stesso tempo, lo intristiva. Lo faceva sentire come se fosse un fallito, anche se era persino più grande di Vince di tre anni. Certo – finalmente! – alla soglia dei suoi trentasette anni, forse sarebbe persino riuscito a mantenersi grazie alla sua stessa passione, ma avrebbe sempre dovuto ringraziare Vince per quell'opportunità, dato che non era stato in grado di ottenerla da solo.

Passò tutto il giorno ad arrovellarsi il cervello con quei pensieri, arrossendo spesso a causa dell'imbarazzo, sussultando quando qualcuno gli rivolgeva la parola. Arrivò all'ora di pranzo che aveva già mal di testa e si sentiva teso come la corda di un violino. Avrebbe voluto poter correre dal suo uomo, saltargli al collo, affondare il naso contro la sua pelle, inspirarne il profumo e lasciarsi coccolare un po' da lui.

Sospirò, mentre usciva dall'ascensore e si avviava all'interno del lungo corridoio del decimo piano del palazzo in cui viveva. Ripensò al maglione di Vince e imprecò ricordandosi che l'altro, la sera prima, si era deciso a metterlo nel cesto che conteneva la biancheria sporca. Fu tentato di tirarlo fuori da lì lo stesso per indossarlo e, mentre pensava a quanto sarebbe stato imbarazzante e patetico se si fosse deciso a farlo davvero, mise una mano in tasca, recuperando le chiavi di casa.

Poi alzò lo sguardo dal pavimento e, davanti la porta del loro appartamento, trovò Andy. 

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