CAPITOLO 3 - LA REGOLA DELLO SCIACQUONE

«Ahahahahahahhahhahaha»

Se state pensando che mi sia venuto un esaurimento nervoso dopo la serata del giorno prima la risposta era: NO. La pazza che non riusciva a smettere di ridere da un quarto d'ora, con tanto di lacrime agli occhi, era la mia cara migliore amica che, a quanto pare, aveva trovato le mie disavventure della sera precedente a dir poco esilaranti; almeno qualcuno aveva tratto divertimento da tutto ciò.

«Meg, per piacere, concentrati! Sono stata assalita da un pazzo che ha sicuramente confermato la teoria evoluzionistica di Darwin, dopo le sue prodezze atletiche» le rammentai, cercando di riportarla all'ordine.

«Scusami, Ollie, ma non riesco a smettere di ridere. Ma veramente si è gettato ai tuoi piedi?» tentò inutilmente di asciugarsi le lacrime e contenere un'altra risata, anche se con scarsi risultati.

«Sì, te l'ho detto, la mia pelle diafana deve aver confuso quel poveretto, inducendolo a scambiarmi per una divinità. So che in certe culture è simbolo di vicinanza agli Dei, forse lui ha le medesime credenze, altrimenti l'unica spiegazione plausibile è che abbiamo un pazzo a piede libero!» Afferrai la mia tazzina di caffè in ceramica, con una faccina dall'espressione addormentata dipintavi sopra, dalla scrivania e iniziai a sorseggiarla.

Ah, caffeina, il nettare degli dei. Avevo un amore profondo e viscerale per quella bevanda, e sì, lo ammettevo, forse anche una certa dipendenza, ma che ci volete fare, ero una studentessa!

«Oh, Ollie, solo tu potevi uscire dopo mesi e mesi di reclusione e farti succedere una cosa simile. Mi mancavano i racconti delle tue avventure assurde, non ce la facevo più con i tuoi: "sono stata a casa, ho visto un film, ho mangiato dei biscotti e sono andata a dormire", ci voleva finalmente un po' di ritorno di pepe nella tua vita.»

La mia amica era proprio felicissima di quanto capitatomi, io decisamente no, ma si stava divertendo talmente tanto che preferii lasciarla fare.

«Punto primo: io non mi sono fatta succedere proprio nulla! Lo sai bene che gli eventi imbarazzanti, assurdi, o ridicoli mi cadono addosso come se piovesse. Punto secondo: avrei preferito farti il mio solito rapporto standard che prevedeva me, il mio letto e una bella puntata sul mio pc al caldo e, soprattutto, al sicuro, tra le mura di casa mia.»

«Ma non dire scemenze! Almeno hai passato una serata piacevole e hai conosciuto nuove persone. È un ottimo inizio! Comunque non mi hai ancora descritto il soggetto in questione. Com'è? È carino?» I suoi occhi speranzosi mi osservarono attraverso lo schermo del mio computer, attendendo una risposta; sapevo già che nella sua testa il pazzo aveva realizzato quel teatrino solo per provarci con me, ma le era proprio sfuggito l'elemento basilare: ovvero che era pazzo e che tutto ciò che era successo non era stato assolutamente un tentativo di attirare la mia attenzione da parte di un ragazzo, ma solo la follia di una scimmietta a cui non avevano dato la sua dose giornaliera di goccine calmanti.

«Ah, no, guarda mi dispiace, Meg, ma era proprio inguardabile! Uno di quelli oggettivamente brutti! Quindi non far partire la fantasia.»

Storse lievemente la bocca a quella notizia che non collimava con le sue aspettative, ma il suo entusiasmo si rianimò immediatamente. «Ok, lui quindi non era assolutamente papabile, ma che mi dici degli altri ragazzi della serata di cui mi hai parlato? Matt mi è parso provarci apertamente dal tuo racconto, ma mi hai detto poco su questo Andrew. E di Ry invece che mi dici?»

Bene, era entrata in modalità agente investigativo, ora avrei dovuto fornire una descrizione degli indiziati e dei motivi per cui non li ritenevo dei candidati.

«Matt è il più carino ed è anche molto simpatico, ma uno che ci prova con me utilizzando la parola "bellissima" perde ogni chance in partenza; lo sai che io queste scemenze non le reggo. Ry è un amico, non mi interessa in nessun altro modo. Andrew è nella norma, forse tendente al carino, ma onestamente non mi ha fatto né caldo né freddo.» Coincisa, pragmatica e chiara. Con Meg non potevo dare spazio a speranze con gli uomini, altrimenti mi arrivava addosso come un carro armato.

«Ho capito, quindi solo la tua scimmietta ha destato il tuo interesse ieri sera» sospirò affranta, poggiando il mento sulla mano del braccio puntato sulla superficie della sua scrivania bianca.

«Sì, ma non per i motivi che vorresti tu. Comunque ora mia cara tocca a te. Insomma, questa offerta 2x1 era conveniente? Mi sa che devo cambiare supermercato, il tuo mi pare faccia offerte più vantaggiose» domandai, rivolgendole un ghigno allusivo che la fece scoppiare a ridere.

«No, alla fine ho preferito concentrarmi su un prodotto solo, non volevo sacrificare la qualità per la quantità. A parte gli scherzi, ho chiacchierato la sera con questo tipo, Nicola, lui si capiva che ci stava provando con me, e per carità era anche molto bello, ma quando mi ha riaccompagnata gli ho dato la buonanotte con un bacio sulla guancia e sono andata a dormire. Mi sono divertita e mi è piaciuto chiacchierare per un po' con un ragazzo, ma sinceramente non sono pronta a rimettermi in gioco. Questa volta voglio qualcuno che mi desideri davvero, che mi tratti bene e mi faccia fare la parte della donna nella coppia, perché ti assicuro che io ho anche controllato là sotto e non c'è nulla che faccia pensare diversamente.»

«Ti capisco, Meg, ti capisco perfettamente. Il nostro problema credo che talvolta sia proprio la troppa sicurezza in noi stesse, che ci porta alla fine ad assumere il ruolo dell'uomo nella coppia» dissi con un filo di stanchezza, ripensando al passato.

«Sì, ma il problema è che poi ci ritroviamo con un cuore spezzato, lacrime da versare e tutte quelle scemenze là da affogare in un bicchiere di vino e in un mare di cioccolato. Bello schifo! No, questa volta mi prendo tempo. Uscirò con dei ragazzi, ma non voglio una relazione né nulla di più finché non sarà il momento giusto.»

«Concordo e approvo al cento per cento, amica mia. E vediamo di ricordarci la regola dello sciacquone, questa volta.»

La così detta "Regola dello sciacquone" era un diktat inventato da me e lei moltissimi anni prima per i nostri rispettivi ex ragazzi, il quale prevedeva che: "una donna poteva buttare la sua dignità nel cesso per un uomo, e tirare la catenina, non più di 3 volte. Poi doveva mollare." Bellissima regola, se l'avessimo anche rispettata sarebbe stato ancora meglio! Ma da povere ragazzine innamorate alle prese con la loro prima relazione, quali eravamo, purtroppo non usavamo a sufficienza la testa.

«Guarda, obiettivamente, con gli stronzi che ci siamo scelte negli anni, altro che sciacquone, neanche lo sturo sarebbe bastato!» Era per questo che adoravo Meg: la sua schiettezza e una sana dose di umorismo nel ricordare le pessime scelte delle nostre vite.

«Cielo, tu mi vuoi far morire, donna!» Non riuscivo quasi più a respirare per quanto ridevo, provando anche a sventolarmi con una mano davanti alla faccia pur di quietarmi.

L'occhio mi cadde su di una nostra foto insieme posta all'angolo della mia scrivania, che ci ritraeva al mare durante l'ultimo anno del liceo. Eravamo davvero felici ai tempi. Niente sarcasmo o alcun odio profondo nei confronti degli uomini era ancora in vista.

«Ehi, Meg, te la ricordi l'ultima estate del liceo?» le domandai nostalgica.

«Come no! Te eri un ammasso informe di emozioni e sentimenti e spargevi in giro cuoricini e fiori ad ogni tuo respiro, e purtroppo io non stavo messa meglio di te.»

Già, ormai erano passati un paio di anni da allora. Il lontano tempo in cui anche una finta dura come me si era lasciata abbindolare dall'immagine idillica di un amore infinito ed eterno.

Purtroppo quando ti innamoravi per la prima volta ti sembrava tutto rose e fiori, e il tuo cervello non lavorava come avrebbe dovuto, ovvero prendendoti a calci nel sedere ogni volta che lui ti diceva che eri bellissima, con te che sospiravi estasiata, pensando già ai nomi che avreste dato ai vostri pargoletti, e intanto lui ti cornificava tranquillamente alle spalle con una tipa conosciuta in giro una sera con i suoi amici, come nel mio caso, o con una sua compagna di classe, come nel caso di Meg.

Ebbene sì, signori e signore, ve lo avevo detto che noi siamo compagne di sventure in tutti i sensi, e fosse mai che la sorte ci avesse voluto risparmiare un bel paio di corna da portare insieme.

«Te lo dico io, Meg, è tutta colpa della Disney e delle favole che ci hanno propinato da piccole. Troppe aspettative! Io poi ci credo che una prende le mazzate se si aspetta che ti arrivi uno su un cavallo bianco o su un tappeto volante a dichiararti il suo amore eterno. Che scemenze! E poi ne vogliamo parlare della fantomatica prima notte insieme alla tua dolce metà?!?»

«Oh, cielo, ti prego, no!» la mia amica si era già messa le mani tra i capelli, sapendo esattamente dove stavo per andare a parare.

«Dai, Meg, cavolo! Tutte a dire che la prima volta che lo fai con l'uomo che ami è un'esperienza stupenda, che è come unirsi a lui anima e corpo, e stupidaggini simili. E invece nessuna, e dico nessuna, che ti dica le cose come stanno: la prima volta fa schifo! È un'esperienza terribile e fa un male cane, e se ci metti per di più che siete entrambi vergini, Dio vi salvi! Io ho pregato per tutto il tempo che quell' agonia finisse e mi sono anche domandata per quale assurda ragione al mondo gli esseri umani esaltassero così tanto il sesso!» terminai la mia arringa, facendo finta di sbattere il pugno sulla scrivania per enfatizzare le mie parole.

«Lo sai che sono perfettamente d'accordo con te, ma non puoi neppure negare che poi, fortunatamente, le volte dopo va decisamente molto meglio» controbatté, incurvando verso l'alto il lato destro della bocca in un sorrisetto d'intesa.

«No, no, questo non lo nego assolutamente! E non do neppure la colpa a quel pover'uomo che si trova a compiere suddetta impresa. Io ce l'ho contro le altre donne che non hanno voluto dire le cose come stanno! Giuro, un giorno farò firmare una petizione affinché tutte le ragazze del mondo siano informate correttamente in merito, e che sia vietato loro di vedere cartoni con principi, principesse, geni, gatti, o che so io! Qui ci vuole una buona e sana dose di cinismo per tutti!» Meg scosse la testa divertita dal mio sproloquio; stavo cominciando a pensare che il contatto ravvicinato con il folle del giorno prima mi avesse contagiata.

«E dimmi, mia cara donna di ghiaccio, cosa vorrebbe il tuo algido cuore da un uomo?» mi domandò la mia amica, sorseggiando il suo tè.

"Ribadisco: chi ha detto che con la distanza non si può prendere un tè o un caffè insieme si sbaglia, noi ne siamo la prova vivente. Grazie Niklas Zennstrom e Janus Friis."

«Guarda, se mi arrivasse un tipo e mi dicesse: "sono uno stronzo di prima categoria" io lo apprezzerei! Viva la sincerità! E comunque lo sai, diciamo e scherziamo tanto in fatto di ragazzi, ma non ce l'ho con loro. Ora come ora non sono in grado di gestire una relazione perché non sono in grado di gestire me stessa. E, tralasciando la bastardata fattaci rispettivamente dai nostri ex, io so di non essere una persona facile, quindi meglio starmene da sola e salvare il genere maschile dalla mia cattiveria innata.» E lo pensavo davvero. Avevo moltissime cose per la testa in quel periodo, e finché non le avessi chiarite non sarei mai riuscita ad avere qualcuno al mio fianco.

«Prima devi saper ballare da sola per poi poter ballare in coppia. È la prima regola della Salsa» dichiarò, Meg, con solennità.

«Non ci furono mai parole più giuste, mia cara!» concordai.

Controllai l'orologio: erano le 17:15 ed era giunto il momento di iniziare a fare qualcosa; purtroppo dovevo chiudere la chiamata.

«Love, mi sa che è il caso che mi metta a studiare. Devo anche pulire la camera e fare una lavatrice» sospirai, non avendone la benché minima voglia in quel momento, ma il dovere chiamava.

«Sì, ti stavo per dire la stessa cosa. Domani si ricomincia con le lezioni e ho Tecnica delle Costruzioni alle prime due ore. Mi voglio suicidare al solo pensiero» la vidi massaggiarsi l'attaccatura del naso, come se solo nominare quella materia le procurasse già una terribile emicrania.

Quando Meg parlava dei suoi studi universitari, o cercava di spiegarmi qualcosa d'Ingegneria Civile, la mia testa diventava un palloncino vuoto. Mi avrebbe potuto anche dire che i maiali volavano e io le avrei creduto.

«Non so assolutamente di cosa si tratti, ma ha un nome pomposo, e i nomi pomposi fanno paura.»

«E fai bene! Mi terrorizzo io al solo pensiero di dover aprire il libro, ogni volta passo ore con le mani tra i capelli!» Se lei era messa così per quella materia, nonostante fosse una studentessa modello, non osavo neppure immaginare gli altri comuni mortali come se la cavassero con quell'esame.

«D'accordo, allora ognuna torni alla sua sana dose di desiderio di morte giornaliero. Ci sentiamo in serata. Buono studio e ricorda: se ti serve qualunque cosa sono qui per te!» Le rammentai una verità che per era indiscutibile: mi avrebbe potuto chiamare a qualunque ora del giorno e della notte e sarei saltata sul primo treno per raggiungerla se fosse servito, e sapevo che la cosa era reciproca.

«Idem, buona giornata! Ci sentiamo dopo, Ollie! Ti voglio bene!»

«Anche io!» chiusi la chiamata, stiracchiandomi pigramente sulla sedia. L'occhio mi cadde sui moduli di domanda per il progetto Erasmus.

Era una cosa a cui stavo pensando da parecchio tempo: volevo provare a dare una svolta alla mia vita con qualcosa di nuovo, per spezzare la noiosa routine in cui ero scivolata. Non ne avevo ancora parlato con la mia famiglia, l'unica ad esserne informata era la mia amica, la sola che mi appoggiasse in ogni mia decisione. Onestamente non sapevo come l'avrebbero potuta prendere i miei, di certo non ne sarebbero stati entusiasti visto il loro vivere all'antica.

Ero la più piccola di tre fratelli, avevo una sorella più grande di me di 28 anni e un fratello maggiore di 31. Io insomma ero la piccolina di casa e, da quando entrambi si erano sposati, aggiungendoci il fatto che Claudio aspettasse il suo primogenito, suddetta circostanza aveva sottolineato ancora di più il mio essere l'ultima in famiglia.

Mi ero sempre sentita diversa dai miei fratelli. Loro erano legati al primo amore, si erano sposati e avevano deciso di vivere nella città in cui eravamo nati. A me, invece, l'idea del matrimonio faceva letteralmente accapponare la pelle. Non capivo davvero la necessità di legarsi per sempre a qualcuno tramite la firma su di un pezzo di carta e una festa. Per non parlare dell'ipotesi di tornare a vivere nella mia cittadina di origine, il cui solo pensiero mi faceva salire l'ansia in modo esponenziale. No, se immaginavo il mio futuro, allora mi vedevo all'estero con un lavoro che mi avrebbe condotta a girare il mondo.

Il problema purtroppo, però, era proprio quello: i miei familiari erano molto legati tra di loro, e anche estremamente rigidi sotto molti punti di vista. Amavano tutto ciò che era nella norma, che rispecchiasse i canoni tradizionali, di conseguenza io ero la pecora nera della famiglia a cui piaceva stare per conto suo, che faceva scelte sbagliate e aveva una visione del mondo per loro inammissibile, tanto da portare i miei genitori a pregare notte e giorno affinché rinsavissi con gli anni e che facessi ritorno a casa una volta terminata l'università, come il figliol prodigo.

Di conseguenza, con quella mia decisione, se mai l'avessi compiuta, avrei fatto crollare ulteriormente le loro speranze e, sinceramente, per quanto me ne fregassi di tutto e tutti, cercavo sempre di non deluderli più di quanto non avessi già fatto con il tempo, cosa che mi aveva condotta praticamente a nascondermi dietro un muro di finzione in alcune circostanze.

Mi alzai dalla sedia, interrompendo quel flusso di pensieri poco gradevoli. Voltandomi vidi la felpa di Luke appesa a una gruccia sull'anta dell'armadio in rovere.

Ripensai per un attimo alla serata trascorsa e a come, per quanto mi scocciasse ammetterlo, dopo tanto tempo qualcuno era riuscito a destare la mia attenzione e a scuotermi da quell'apatia che ormai era diventata come una seconda pelle, per quanto si trattasse ugualmente di un pazzo in vena di mettere su un teatrino con me come protagonista.

Sospirai, dirigendomi verso la cesta dei panni posizionata all'angolo proprio accanto al guardaroba. Era ora di darsi da fare e iniziare con una lavatrice invece di perdersi in futili congetture.

Tuttavia, mentre mi stavo dirigendo verso la porta della stanza, passai davanti alla felpa incriminata. La tolsi dalla gruccia e pensai che fosse il caso di lavarla prima di restituirgliela, anche se l'avevo indossata per pochi minuti. Prendendola quel classico odore dolciastro mi invase di nuovo le narici; mi augurai che non gli dispiacesse se mettendola in lavatrice gli avrei tolto quell'odore... diciamo caratteristico.

Scrollai le spalle. Erano considerazioni davvero inutili.
La mia mente doveva ancora essere fuori uso a causa della serata precedente e comunque non c'era motivo per cui preoccuparmene, tanto non lo avrei mai più incontrato.

In questo momento maledico quel pensiero, perché se fossi stata più accorta mi sarei ricordata che io sono una calamita per i guai, e Luke era il più grosso che fosse mai entrato nella mia vita.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top