CAPITOLO 27 - IL DONO PIU' PREZIOSO

Il mattino seguente mi svegliai ancora intorpidita. Un leggero brivido fece formicolare la mia pelle, portandomi ad avvolgermi ancora di più nel piumone.

Quando però un familiare odore dolciastro, proveniente dalle lenzuola in cui ero stesa, mi invase le narici, mi ridestai dal mio dolce sonno e, schiudendo leggermente gli occhi, ricordai gli eventi della sera precedente. Difficile dimenticarli, visto che ero ancora nuda nel letto di Luke.

Allungai una mano alla mia destra in cerca di lui, ritrovandomi però a tastare il suo lato del materasso vuoto. Sollevai le palpebre, alzandomi contemporaneamente di scatto, pensando di essere rimasta da sola, invece lo trovai ai piedi del letto che mi dava le spalle, con una parte del lenzuolo blu navy avvolto intorno alla vita e una sigaretta in una mano. Era tutto concentrato a scrivere qualcosa sul muro davanti a sé, quindi non si accorse del mio appropinquarmi a lui di soppiatto, gattonando come un felino verso la sua preda, per poi ghermirlo da dietro in un abbraccio che lo fece sussultare leggermente. Il calore della sua ampia schiena contro il mio petto mi ammantò completamente, riportandomi alla mente dolci e peccaminosi ricordi della notte appena trascorsa.

«Buongiorno» lo salutai, con le labbra premute contro la sua scapola.

La sua massa di ricci più scompigliati del solito si spostarono, cedendo il posto al suo profilo adornato da un dolce sorriso non appena mi scorse da sopra la spalla.

«Buongiorno anche a te, topino. Dormito bene?»

Non ebbi il tempo di rispondergli, che si era già voltato completamente verso di me per prendermi in braccio e stamparmi un bacio sulle labbra.

"Oh, sì, questo è decisamente un buongiorno come si deve!"

«Benissimo, e ora è anche un ottimo risveglio, scimmietta!»

«Anche per me!» affermò ancora sulle mie labbra, incurvando le sue in un altro di quei suoi rari sorrisi genuini.

"Dio, ne sarei potuta diventare dipendente."

In quel momento, però, tralasciando il suo corpo contro il mio, che era una grande distrazione, mi resi conto che la posa in cui mi aveva costretta era un palese tentativo di non farmi vedere cosa stesse scrivendo, costringendomi con le sue braccia a dare le spalle al muro.

Cercai di liberarmi dalla sua stretta per poter leggere ciò che con tanto impegno cercava di occultarmi, anche se, dovevo ammettere, con scarsi risultati.

«Che cosa stai scrivendo?» Provai ancora una volta a sporgermi ma lui rinsaldò la presa.

«Nulla, è solo una scemenza.»

Al mio ennesimo tentativo di divincolarmi da lui, finalmente, riuscii nel mio intento, o per meglio dire, lui me lo concesse con un sospiro rassegnato.

Roteai il busto, mentre mi cingeva la vita con entrambe le braccia, pressandomi contro il suo petto.

Rimasi in contemplazione di quel muro intonacato di bianco, il cui candore era stato intaccato dal nero dell'inchiostro arricciato in parole che sembravano rivolgersi a me.

"Questo è il tenue contatto che si instaura

tra un'anima perduta

e un sogno senza fine." (*)

Non riuscii a voltarmi verso di lui, tanto ero presa nel rileggere più volte quella frase, percependo tuttavia la sua fronte che andava a nascondersi nell'incavo del mio collo, in un gesto di palese imbarazzo.

«È bellissima, Luke... ma di chi è»

Sfregò la punta del suo naso sulla mia pelle, facendomi rabbrividire, prima di rispondermi sommessamente. «Mia...»

Tutta l'aria che avevo nei polmoni sembrò evaporare insieme a quell'unica parola, mentre con dita tremanti tracciavo i contorni delle lettere ancora fresche dinanzi a me.

«Luke, ma... ma è stupenda! Sono davvero senza parole, non sapevo che scrivessi.»

Sbuffò, solleticandomi il collo. «È una sciocchezza, un hobby come leggere libri, nulla di che. Te l'ho detto, non sono neppure bravo a scrivere, lo faccio più per la sensazione di leggerezza che mi procura.»

Finalmente mi decisi a girarmi, appuntando due dita sotto il suo mento, invitandolo a riportare i suoi occhi nei miei, che erano rimasti lontani a causa del capo che teneva ancora chino, incitandolo così a leggere per mezzo delle mie iridi la sincerità di ciò che gli avevo appena detto.

«È meravigliosa invece, e non lo dico perché l'hai scritta tu, l'ho pensato appena ho finito di leggerla. È così concreta e allo stesso tempo astratta. So che suonerà megalomane, ma è come se fosse stata scritta apposta per descrivere la notte appena trascorsa.»

«Ed infatti è così!»

La sua risposta mi spiazzò. Non era stata una semplice sensazione. Quelle parole erano davvero per me, per noi, per quella notte in cui ci eravamo concessi totalmente l'uno all'altra. Era il dono più prezioso che mi avessero mai fatto, perché in quel modo mi aveva appena consegnato l'accesso a un piccolo angolo di quel suo mondo fatto di emozioni in versi.

«Io... non so che dire... solo che tu riesci sempre a sorprendermi.»

«In qualche modo devo pur essere riuscito a conquistarti!» Mi strinse ancora più forte a sé, rilasciando un inconsistente bacio tra i miei capelli, e intrecciando le sue dita alle mie.

Tornai a indugiare con lo sguardo su quelle parole, temendo che se mi fossi voltata per un solo secondo sarebbero potute svanire in un battito di ciglia.

«È perfetta. Anche se tra i due non so chi sia l'anima perduta ed il sogno senza fine» rivelai fievole.

Il gorgoglio della sua risata attutita dà i miei capelli, dove ancora teneva premute le labbra, si profuse in tutto il mio corpo. «Mi sembra abbastanza scontato chi sia tra i due il sogno che si è catapultato dal soffitto di casa mia ieri sera.»

Io invece non ero del tutto convinta di quella sua affermazione, perché quella notte, tra le sue braccia, mi ero sentita davvero come un'anima che aveva smarrito la via ed era stata ricondotta nel suo corpo dopo tanto peregrinare. E, sempre tra quelle braccia, anche in quel preciso istante, percepivo di aver trovato un altro piccolo tassello di me.

«Oh, ma tu guarda, questo ieri notte con la foga del momento me lo devo essere proprio perso!»

Avevo già capito a cosa si riferisse, perché mi stava accarezzando lentamente con le sue grandi mani la spina dorsale, provocandomi un brivido che percepii fino alla base del collo.

Era il mio tatuaggio.

Uno dei miei gesti da ribelle che avevo commesso a diciotto anni e di cui non mi ero mai pentita. Era un omaggio alla mia grande passione e alla donna che per me era tutta la mia famiglia, ovvero mia nonna.

Al centro della mia schiena, esattamente in corrispondenza della spina dorsale, vi erano disegnati tre obiettivi in sequenza uno dietro l'altro: prima l'immagine dell'obiettivo di una macchina fotografica quando è completamente aperto, poi sotto un altro che rappresentava l'stante in cui comincia a chiudersi prima di scattare, ed infine un terzo in cui l'obiettivo è del tutto chiuso.

Io lo adoravo, i miei genitori molto meno, specie perché loro detestavano tutto ciò che andava fuori dall'ordinario, e certamente una cosa simile non rientrava nell'immagine di brava ragazza che avrebbero voluto affibbiarmi. Ricordavo ancora lo stato di shock di mia madre quando lo vide la prima volta mentre mi stavo cambiando in camera mia. E pensare che ci avevano messo più di un anno e mezzo per scoprirlo, dal momento che ero stata sempre molto attenta, ma quel giorno la mia cara madre aveva deciso che una porta chiusa non implicasse chiedere il permesso prima di entrare, e così eccola lì la sorpresa. Per un attimo avevo temuto che stramazzasse al suolo.

«È molto bello, mi piace moltissimo!» così dicendo, Luke, cominciò a posare tre casti e lenti baci in corrispondenza di ciascuno dei disegni, provocandomi una nuova scarica di puro piacere che mi fece inarcare la schiena.

«E non hai visto l'altro» lo provocai, mentre staccava le sue morbide labbra dalla mia pelle per poi arricciarle in un sorriso.

«E allora che aspetti a mostrarmelo?»

Piegai la gamba di lato, mettendo in mostra la caviglia destra, dove vi era rappresentato un piccolo tassello di un puzzle al cui interno vi era incisa la lettera "M". Prese con naturalezza anche la mia caviglia e le rivolse il medesimo trattamento che pocanzi aveva offerto alla mia schiena, regalandogli un tenue contatto con le sue labbra.

«Immagino, e spero, che la "M" non sia il nome di qualche ragazzo» chiese con un sopracciglio inarcato. Io scoppiai a ridere divertita al solo pensiero; ribelle lo ero, ma non ero di certo pazza!

«No, mio caro, ma è molto peggio, visto che è un omaggio alla mia anima gemella, nonché donna della mia vita: Meghan. Lo abbiamo fatto insieme l'anno scorso. Lei ne ha uno sulla caviglia sinistra il cui pezzo si incastra perfettamente con il mio se li avviciniamo, e ovviamente sul suo c'è incisa la lettera "O". Perché... semplicemente perché lei è davvero un pezzo di me, la parte migliore di me.»

Mi accarezzò dolcemente i capelli, portando una ciocca ribelle che avevo davanti al viso dietro l'orecchio e regalandomi un sorriso leggero senza aggiungere altro, ma che fu sufficiente per farmi comprendere che lui aveva capito quello che voleva dire per me quel simbolo e, in parte, anche la profondità del legame che mi univa alla mia migliore amica.

In quel momento, però, anche io notai che c'era qualcosa che nella passione della notte avevo tralasciato.

«Ma tu guarda, qui non sono la sola tatuata!»

Distinguevo sul suo corpo tre scritte: una sull'avambraccio sinistro, una sul pettorale dello stesso lato e una sul costato destro. Non mi sorprese il fatto che avesse trasformato il suo corpo in una tela bianca su cui scrivere, come aveva fatto con le pareti di camera sua.

Iniziai leggendo quella sull'avambraccio:

"La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha"

La frase terminava con il disegno di un piccolo aeroplano di carta, che mi fece intuire immediatamente a chi potesse essere dedicato, ma aspettai ugualmente che fosse lui a spiegarmelo, mentre con i polpastrelli tracciavo i contorni di quelle lettere nere incise sulla sua pelle.

«È una frase di Oscar Wilde e in questi termini è un omaggio a mio nonno, dal momento che è il suo scrittore preferito, mentre il senso della frase mi ricorda molto quello che mi disse mia nonna da piccolo.»

Posai anche io un lieve bacio su quelle parole che erano un omaggio ai suoi nonni per poi spostare la mia attenzione sulla scritta che si trovava sul pettorale:

"Saremo felici o saremo tristi, che importa?

Saremo l'uno accanto all'altra.

E questo deve essere, questo è l'essenziale."

Non capii a chi fossero dedicate, ma notai il particolare di due corde che partivano da entrambi i lati della scritta e scendeva elegantemente sotto la frase per chiudersi in un nodo da marinaio.

Alzai gli occhi verso Luke in attesa del suo racconto. Lo vidi prendere un respiro profondo prima di cominciare, cercando di trarre dall'aria intorno a noi la forza necessaria per svelarmi i retroscena di una storia che sapevo aver attecchito dentro di lui al punto tale da condizionarne la sua stessa vita.

«Non te l'ho mai detto, ma mio padre e mia madre erano due docenti universitari, entrambi insegnanti di letteratura. A quanto pare è una passione ereditaria che ci tramandiamo di generazione in generazione in famiglia, come piace dire a mia nonna. Comunque, quando si sono conosciuti, si scontravano spesso su varie tematiche letterarie: autori, poesie e così via, ma sembra che ci fosse un solo scrittore e poeta al mondo che riuscisse a mettere d'accordo sempre entrambi, ovvero Gabriele D'Annunzio. Mio Nonno mi raccontò che questa frase mio padre la pronunciò il giorno in cui chiese la mano di mia madre e che quando lei rispose di sì ci tenne a precisare che aveva acconsentito solo perché erano state usate le parole del Vate, facendo così ridere tutti i presenti.»

Anche lui cominciò a ridere leggermente, ma il suo era un sorriso triste, un po' amaro, di quelli che non arrivavano agli occhi, ma che si perdevano a metà strada inciampando in ricordi dolorosi. A quel punto il significato del nodo fu chiaro: ovunque loro fossero erano uniti, per sempre.

Mi aveva concesso un altro piccolo spiraglio sul suo universo costellato di insicurezze. Ma io, quelle piccole stelle che non riuscivano più a brillare, perdendosi nell'oscurità delle sue paure, le vedevo più come delle nane bianche che, espellendo i loro strati più esterni, invece di morire e spegnersi per sempre tramutandosi in nane nere, potevano tornare al loro stadio iniziale, ricominciando a vivere.

Allungai una mano nella sua direzione, posando il mio palmo sul suo viso e iniziando ad accarezzargli con il pollice lo zigomo, come a voler raccogliere e asciugare lacrime invisibili ad occhio nudo, ma che io sapevo in cuor mio non aver mai smesso di scorrere. Strabuzzò gli occhi, non aspettandosi un gesto simile da parte mia. Mi avvicinai lentamente, unendo le mie labbra alle sue in bacio che aveva l'intento di far fluire la mia luce interiore dentro di lui, riattivando così quei piccoli astri che non avevano avuto mai modo di splendere sotto il peso del suo passato.

Con riluttanza mi staccai da lui, incrociando le sue ossidiane leggermente lucide, prima di depositare un altro bacio all'altezza del cuore, proprio in corrispondenza del tatuaggio, cercando di cauterizzare per come potevo quella ferita rimasta aperta da sempre. Le sue braccia rinsaldarono la loro presa sul mio corpo e questa volta, risollevando il capo, trovai ad attendermi un sorriso sincero che ricambiai.

Giunsi finalmente alla terza e ultima scritta, quella sul costato, che recitava:

"E il Poeta, che è avvezzo alle tempeste e ride dell'arciere, assomiglia in tutto e per tutto al principe delle nubi: esiliato in terra, fra gli scherni, non può per le sue ali di gigante avanzare di un passo."

Anche questa citazione terminava con un disegno: una penna d'oca poggiata alla base della frase.

«Quello invece sono io. Baudelaire è sicuramente il mio poeta preferito. E quell'estratto, che proviene dall' Albatro, mi rispecchia come scrittore dilettante. Ognuno di questi tatuaggi è un omaggio alle uniche persone davvero importanti nella mia vita. Un po' come i tuoi d'altronde.»

Dopo quella sua ultima spiegazione pensai a quanto gli pesasse aver scelto un percorso universitario che non gli appartenesse, come dovesse sentirsi a non seguire il suo sogno, e forse, come i marinai infastidivano l'albatro, anche lui si sentiva così tra le persone: non compreso.
Ma io lo capivo e, soprattutto, credevo in lui e nella sua capacità di convertire le emozioni e le sensazioni in versi, rendendo ciò che era il suo mondo interiore comprensibile a tutti. Un altro bacio a ghermire un altro tassello di lui, mentre ripensavo alle bellissime parole che aveva scritto pocanzi per noi due e per la nostra notte trascorsa insieme.

«So che potrei sembrare invadente e pertanto ti autorizzo a dirmi di no senza farti problemi. Ma mi piacerebbe davvero tanto leggere qualcos'altro di tuo.»

Avrei voluto passare ore intere a leggere terzine, o quartine che mi svelassero altro sul suo conto e su ciò che provasse, ma non volevo essere indiscreta o insistente, doveva farlo solo quando si sarebbe sentito pronto.

Si grattò il mento pensieroso e ancora in imbarazzo. Non era solito lasciare che gli altri leggessero i suoi scritti, e questo era un qualcosa che comprendevo molto bene, perché era la stessa cosa che facevo io con le mie foto. Quando le mostravo era come se concedessi agli altri la chiave di accesso a ciò che io vedevo e percepivo; era un qualcosa di davvero molto personale.

«D'accordo, ma non oggi. Piuttosto ti propongo di fare una cosa per me, topino!» Stava palesemente cercando di smorzare l'aria pesante che si era venuta a creare mentre percorrevamo il sentiero dei ricordi e della scoperta reciproca, quindi decisi di assecondarlo, perché mi aveva già donato tantissimo quella mattina.

«Dimmi tutto, scimmietta!»

Mi porse una matita e mi indicò l'altro lato del muro dove era accostato il letto. «Scrivici una frase tu. Puoi sceglierla da uno dei miei libri di poesie se vuoi, così anche quando partirai a luglio avrò un qualcosa di te con me in questa camera.»

"Oh, santo cielo, Londra!"

Non ci avevo minimamente pensato che di lì a qualche mese ci saremmo dovuti separare. Certo che iniziare una nuova relazione discutendo di una futura distanza non era il massimo, ma un argomento simile in una storia andava trattato immediatamente, o per lo meno questo era il mio pensiero.

«Luke, cosa ne pensi del fatto che sto per partire? Cioè, a te sta bene aspettarmi?»

Lui non esitò neppure un secondo a rispondere, mentre in me l'ansia cresceva sempre di più. «Ehi, topino, non essere triste. Ci siamo appena incontrati e tu stai già pensando a luglio? Io sono uno che vive il momento, lo sai, quindi per ora non ci sto riflettendo, voglio solo viverti per il tempo che abbiamo da trascorrere qui. Poi la risposta arriverà quando deve.»

Ok, non era proprio la frase che mi auguravo di sentire in quel frangente, perché di certo non aiutava il mio stato d'animo inquieto, ma non potevo fargliene una colpa, lui era fatto così: non guardava mai troppo in là nel futuro.

«D'accordo, però ti prego di meditarci. So che ti sembrerò una piattola, ma vorrei sapere le cose come stanno. Sono una un po' all'antica per certi aspetti di una relazione.»

Posò la sua mano sulle mie che avevano iniziato a martoriarsi le dita tra di loro, frenando quel gesto convulso che non era altro che l'esternazione della mia inquietudine.

«Va bene, te ne parlerò quanto prima, promesso! Ora però mi faresti contento e scriveresti qualcosa per me?»

Lo assecondai, anche per distrarmi da pensieri poco piacevoli e, sfogliando le pagine dei vari libri che mi porse, ripensando alla sera precedente e alla mia dichiarazione a cuore aperto, trovai una frase che ritenni perfetta. Era ovviamente del suo amato Bukowski, un estratto dell'opera intitolata "Le Parole"

"Le parole non hanno occhi né gambe,

non hanno bocca né braccia,

non hanno visceri

e spesso nemmeno cuore,

o ne hanno assai poco.

Non puoi chiedere alle parole

di accenderti una sigaretta

ma possono renderti più piacevole il vino.

E certo non puoi costringere le parole

a fare qualcosa che non vogliono fare.

Non puoi sovraccaricarle.

E non puoi svegliarle quando decidono di dormire.

A volte le parole ti tratteranno bene,

a seconda di quel che gli chiedi di fare.

Altre volte, ti tratteranno male,

qualunque cosa tu gli chieda di fare.

Le parole vanno e vengono.

Qualche volta di tocca

di aspettare a lungo.

Qualche volta non tornano

più indietro"

Una volta finito di scrivere, Luke mi riprese tra le sue braccia per concedermi un altro lungo bacio; ormai avevo perso il conto. Ma come ogni bel momento che si rispetti, venimmo interrotti dagli schiamazzi dei ragazzi al piano di sotto. Ci staccammo, mettendoci entrambi in ascolto: quello che udimmo furono per lo più rumori di padelle, tazze e le voci di tutti che ridevano e scherzavano tra di loro.

"È giunto il momento di levare le tende."

Mi alzai, rivestendomi velocemente. «Devo andare prima che qualcuno salga qua su a cercarti. Non vorrei che scoprissero di noi in questa maniera.»

Sicuramente io non volevo che lo venissero a sapere con un Matt che entrava nella stanza e mi trovava mezza nuda.

Si grattò la testa con fare pensoso. «Mi dispiace. Risolveremo questa faccenda quanto prima, promesso, topino! Dammi solo qualche giorno.»

In parte lo capivo, perché neppure io avevo la più pallida idea di come si facesse a dare una notizia del genere e il suo imbarazzo, ancora evidente sulle sue guance, mi fece desistere dal continuare all'insistere.

Una volta pronta Luke si alzò in piedi e mi tirò a sé per darmi l'ennesimo bacio di quella mattina. Non che mi lamentassi, per carità, meglio abundare quam deficere.

Mi issai verso il lucernario per arrivare all'esterno. La neve della notte precedente non aveva fatto presa, sciogliendosi come noi due tra le braccia dell'altro.

Mi voltai verso di lui che era rimasto dentro la sua stanza per potergli fare un cenno con la mano ed andar via, ma mi fermò iniziando a parlare.
«Ollie, domani sera c'è una festa qui da noi... ecco... tu vieni, vero»

Sapevo già della festa, mi avevano invitata in settimana gli altri, ma il fatto che lo avesse fatto lui per la prima volta aveva un peso notevole. Mi dimostrava che stavamo cominciando quella storia, la nostra storia, sul serio.

«Sì, ci sarò, scimmietta. Allora a domani!»

E con quell'ultimo saluto, ridiscesi l'ormai familiare scala per dirigermi verso casa con un sorriso stampato in faccia che nessuno mi avrebbe potuto togliere.

(*) Abbiate pietà di me, questa è una parte di una cosa che ho scritto io all'età di 17 anni, quando ancora il romanticismo scorreva in me. Ho sempre e solo scritto poesie in passato, ma capite anche che ero molto piccola, quindi siate magnanimi anche se è una schifezza!

Ed eccoci nuovamente qui! Questo era un capitolo per raccontarvi un po' di più su alcuni aspetti del passato di Ollie e Luke e su come ora che stanno insieme si aprano più facilmente tra di loro. Nel prossimo capitolo torneremo da Meg per una delle sue conversazioni su skype insieme ad Ollie. Mi iniziava già a mancare troppo! :) Come vi avevo già annunciato risponderò a tutti i commenti una volta che si saranno accumulati in serata, perché in questi giorni sono impegnata! Prima di salutarvi vorrei ringraziare @Monik1997 per aver realizzato la bandiera di Lukelandia, io la adoooooroooo, voi non trovate che sia perfetta? <3

Ed ora i consueti saluti! Oggi tocca al Catalano...

A LA SEGüENTS PIJAMES!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top