Capitolo 3 - parte 2

«Bentornato», lo salutò ironico Kevin.

Si presentò dal fratello con ancora le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e la cravatta parzialmente nascosta nella camicia stessa, perché non gli desse impiccio nei lavori di pulizia. In mano reggeva un vassoio con un piatto di pasta fumante e un bicchiere d'acqua fresca.

«Che ore sono?»

Simon si portò una mano al viso, passandola stancamente sugli occhi umidi, e si rigirò su un lato per mettersi seduto.

«Sono le cinque passate», rispose l'altro, alzando lo sguardo verso l'orologio del televisore. «Quasi le sei, ormai. Hai dormito un bel po', anche se in alcuni momenti ti sei agitato.» Durante le ore nelle quali Simon era stato incosciente, Kevin si era dato da fare per cercare di rendere più vivibile la casa. «Mangia qualcosa», gli disse. Si sedette sul tavolino basso di fronte al divano, offrendo il piatto al fratello.

«Pasta»

Simon osservò il piatto aggrottando la fronte, mutando poi quell'espressione in una più delusa: la pietanza sarebbe stata invitante per chiunque, ma lui se ne scostò quasi con repulsione.

«Sai che non mi è permessa, devo mantenere il peso», si giustificò. «Domani ho un servizio fotografico.»

«Non c'è nessun lavoro che ti aspetta, domani. L'ho fatto rimandare di una settimana, non ti ricordi?»

Simon cercò di alzarsi, ma Kevin lo trattenne per le braccia, facendolo sedere di nuovo. Non dovette usare molta forza: Simon appariva piuttosto cedevole.

«Non sei in condizione di lavorare, per il momento. Ora mangia per favore. E fallo qui davanti a me, perché io non mi muoverò da qui finché non avrai terminato questo piatto.»

La voce di Kevin, nonostante le parole, non era affatto dura. Era preoccupata. Una profonda tristezza gli riempiva il cuore e la cosa che gli procurava maggior timore era la nuova ossessione di Simon per il proprio peso. Negli anni – e fino a poco tempo prima – entrambi avevano scherzato su quell'argomento: Simon si sfogava con lui perché Regina lo teneva sotto stretto controllo e, nei periodi in cui era in città, si rifugiava furtivamente da lui per potersi concedere un piccolo sgarro.

Ora invece era tutto così diverso, desolante.

Con riluttanza Simon accettò il piatto che Kevin gli stava mettendo sotto il naso. Cominciò a mangiare i primi bocconi, masticando con una lentezza esasperante.

«Prima di tornare a casa, sono riuscito a passare in ospedale. Hanno detto che c'è stata una piccola emergenza, che ha avuto qualche problema, ma è tutto risolto e lei adesso sta bene.» Kevin gli posò una mano sul ginocchio e Simon rispose allo stimolo alzando la testa dal piatto, guardandolo quasi come se non capisse di cosa parlava. «Fra qualche giorno possiamo portarla a casa.»

Anche se quel discorso non aveva trovato seguito, per Kevin era comunque un piccolo segnale positivo constatare come Simon stesse reagendo. Vedendo che la situazione stava procedendo in modo tranquillo, decise di lasciargli un po' di respiro.

Si alzò, gli sistemò il plaid sulle spalle e si allontanò per chiudere le finestre. Con la sera che stava iniziando a fare capolino, anche all'interno della casa cominciavano a sentirsi il freddo e l'umidità.

Simon sospirò pesantemente, posando il piatto sulle gambe. La mano, che stringeva ancora la forchetta, riposava stanca lì vicina.

«Ne hai mangiata appena la metà», disse Kevin, quando tornò. In realtà il piatto era quasi intonso. «È proprio così cattiva, oppure non ti va più?»

«È buona, solo... sono pieno, mi dispiace», rispose Simon, abbozzando un sorriso di ringraziamento.

«Non fa niente, va bene così. Forse sono io che ho preteso troppo.» Riprendendo il piatto, Kevin gli passò il bicchiere d'acqua, mettendogli in mano anche due pastiglie di antidepressivo.

Simon le soppesò per un attimo, stringendole nel pugno e facendo un sospiro faticoso, prima di buttarle giù. Quindi si sistemò meglio la coperta che gli stava scivolando di lato e si rannicchiò sul divano.

Kevin prese posto accanto a lui, agguantando il telecomando e accendendo sul primo canale che era capitato. Stavano così, in silenzio, l'uno accanto all'altro. Mentre faceva zapping per trovare qualcosa di interessante, Kevin lanciò un'occhiata a Simon, rasserenandosi intimamente nel vederlo tranquillo, rapito dalla televisione. Decise allora di alzarsi e di tornare in cucina: doveva lavare le pentole e preparare qualcosa anche per sé. Del resto, non aveva ancora messo nulla nello stomaco da colazione.

Poco dopo, si alzò anche Simon, allontanandosi senza fare rumore, lasciando lì la coperta e la televisione accesa.

Kevin vide un'ombra muoversi e passare di fronte alla porta della cucina.

«Dove stai andando?» domandò, mentre stava addentando un sandwich al tonno.

«Voglio solo darmi una rinfrescata in bagno e mettermi qualcosa addosso», gli rispose il fratello.

Simon si chiuse in bagno e si fermò a osservare la sua figura riflessa. Nonostante quelle ore di riposo, non era cambiata per nulla: era stanca e sciupata. Il bagliore che emanava l'anello alla luce della specchiera appariva ingombrante in quel momento, e lui, per la seconda volta in quella giornata, lo strinse forte. Se Regina fosse stata lì, in quel bagno con lui, di certo non avrebbe approvato.

Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si diede una veloce sciacquata al viso, indugiando con la mano sulla manopola per chiuderla. Invece la lasciò aperta. Con frenesia cominciò ad aprire le ante e i cassetti di tutti i mobiletti lì presenti, frugando fra bottigliette e flaconi, controllando anche in mezzo agli asciugamani. Ne ricavò solo delle bustine di plastica e confezioni di medicinali vuoti. Frustrato, si appoggiò con le mani al bordo del lavabo.

«Te l'ho promesso allora e te lo prometto anche adesso: non commetterò più lo stesso sbaglio, non arriverò mai più a quel punto.»

«Sarà meglio per te, perché non ti voglio più vedere con un tubo in gola per un lavanda gastrica d'urgenza», gli aveva risposto Regina, con le lacrime agli occhi, mentre gli accarezzava una guancia.

«Quella volta è successo perché ero troppo giovane. Però qualcosa di positivo ne ho ricavato da un'esperienza del genere: davanti a tutti hai detto che mi amavi.» Simon le aveva preso le mani e ne aveva baciato con devozione i palmi. Stringendola poi in un abbraccio, aveva appoggiato la fronte a quella di lei. «Con te al mio fianco tutto andrà bene, tutto sarà sempre perfetto. Con te al mio fianco.»

Si guardò allo specchio ancora una volta, la vista appannata dalle lacrime che traboccavano dagli occhi. Si avvicinò al water abbassando lo sguardo. Deglutì con sforzo, immaginando quello che sarebbe avvenuto di lì a pochi attimi. La porta del bagno ben chiusa e l'acqua che continuava a scrosciare avrebbero coperto il rumore. In quel momento, cercava in sé la stessa forza e la stessa rabbia che aveva avuto quella mattina, quando aveva scacciato quella donna. Ne avrebbe avuto bisogno per resistere a ciò che stava per compiere; invece, dentro di sé si stava facendo largo la soluzione più facile.

Si inginocchiò, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Poi avvicinò la mano alla bocca e spinse due dita in gola.

*

Raggomitolato a terra, in un angolo, gli ci vollero alcuni minuti per riprendersi. Si sciacquò di nuovo il viso, passandosi le mani bagnate anche sul collo e sulla gola. Prima di chiudere il rubinetto, con la mano si portò un sorso d'acqua alla bocca, mandandolo giù a fatica. Si passò quindi le mani anche fra i capelli, per risistemarli e rimettersi in ordine, prima di accingersi a uscire.

«Kevin!»

Simon sgranò gli occhi per la sorpresa, nel ritrovarsi il gemello ad attenderlo fuori dalla porta del bagno. Poi, contraendo la mascella, lo scrutò con sospetto, ma rilassò subito il viso, notando che invece il fratello gli sorrideva tranquillo.

«Visto che stavo andando a cambiarmi, ho pensato di prenderti una felpa.» Kevin gliela mise in mano. «Vorrei che passassimo la serata insieme.»

Simon abbassò lo sguardo e dopo un attimo di incertezza annuì.

Kevin scrutò furtivamente nel bagno da sopra la spalla di Simon. Fu solo un'occhiata veloce, ma sufficiente per confermare la brutta sensazione che gli attanagliava lo stomaco. Abbozzò un sorriso e gli lasciò strada, seguendone poi il cammino lungo il corridoio fin quando non sparì dalla sua vista. Si appoggiò alla parete mettendosi una mano sugli occhi e trattenendosi a stento dal piangere, trovando come sfogo il battere il pugno alla parete e pregando che si fosse trattato solo di un episodio isolato.

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