Capitolo 2 - parte 2

Mai nei suoi ventotto anni di età, Simon si era sentito così a pezzi come in quel momento. Era già trascorso un mese, ma a lui era sembrata un'eternità. Ormai non aveva più nemmeno la forza di disgustarsi da solo ed era arrivato al punto di accettare passivamente quello stato di cose.

Tentò a poco a poco di rialzarsi, appoggiandosi al comodino con una mano, mentre con l'altra si puntellava sul pavimento. Finalmente in piedi, si guardò attorno, confuso, passandosi una mano fra i capelli unti e spettinati: la stanza da letto era immersa nel buio, con le tende ancora chiuse. Raccolse la sveglia da terra e notò che le lancette fluorescenti segnavano mezzogiorno passato. Con stizza la lanciò sul materasso, quindi accese la luce. Si schermò gli occhi con la mano, infastidito. Fra le dita intravide il corpo nudo di una giovane donna che occupava l'altra metà del letto.

«Che diavolo ci fai ancora qui?» domandò, faticando ad articolare le parole. «Ti avevo detto di andartene.»

Simon si guardò di nuovo attorno, cercando di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Poi si chinò a raccogliere i vestiti della donna e un'improvvisa fitta alla testa lo bloccò, costringendolo a strizzare gli occhi per il dolore.

«Rimettiti i tuoi stracci e sparisci da questa casa!» gridò, lanciandole addosso i vestiti.

Sorreggendosi la testa fra le mani, anche lui nudo e scalzo, si diresse in bagno. Aveva una gran voglia di vomitare.

Si diede una veloce sciacquata al viso, passandosi le mani ancora bagnate fra i lunghi capelli corvini, pettinandoli all'indietro. Le ciocche più corte ci avevano messo poco a ricadergli sulla fronte, facendo risaltare ancora di più il pallore del viso scavato. Dalla linea della mascella, una gocciolina d'acqua scivolò giù lungo il collo, fermandosi sulla catenina di platino alla quale era appesa la fede nuziale che sarebbe dovuta essere al dito della sua amata. La strinse nella mano, mentre si guardava allo specchio, vedendo in quel riflesso il fantasma di se stesso.

«Tesoro, c'è qualcosa da mangiare per colazione?»

La sconosciuta si affacciò alla porta del bagno, suadente e zuccherosa. Era lì in piedi, appoggiata allo stipite, con i suoi tacchi dodici in una mano e con addosso un intimo viola cupo che stonava con la sua pelle d'ebano.

«Sei ancora qui?» borbottò Simon, afferrando dalla cesta del bucato un paio di jeans spiegazzati e infilandoseli come nulla fosse. Quando lei tentò di baciarlo, lui la spinse via e uscì dal bagno.

Ancora scalzo e a torso nudo, andò in cucina, tirò fuori dal frigorifero una bottiglia di birra e buttò giù due lunghe sorsate. Per qualche minuto camminò senza meta per la casa, poi si ritrovò di nuovo lei davanti.

«Ti ho detto di sparire!» ringhiò, afferrandola per un braccio e trascinandola fino all'ingresso. La sbatté contro il muro e spalancò la porta d'ingresso. Quando la luce del sole entrò in casa, una morsa alla gola gli soffocò le parole.

«Che cosa ti sei messa addosso?» domandò, osservando i gioielli che la donna stava indossando: un paio di orecchini d'oro a forma di foglia di Acanto che avvolgeva il lobo, con una piccola pietra di ametista racchiusa in un'altra foglia, a formare un pendente. «Dove li hai trovati?»

«Non ti dispiace se mi prendo un souvenir dopo la nottata passata assieme, vero tesoro? Fanno anche pendant con il mio completino!» La donna si portò una mano all'orecchio, con una spavalda incoscienza e una civetteria fuori luogo. «Come mi stanno?»

«Non chiamarmi tesoro», sibilò Simon con rabbia, afferrandola per i capelli e avvicinandola al suo viso. «Tu non sei nient'altro che una puttana senza nome, una che mi sono sbattuto nel cesso di quella bettola la notte scorsa! Non so neanche perché poi ti ho fatto entrare in casa.»

Il volto di Simon, che fino a quel momento aveva mostrato rabbia e disprezzo, parve addolcirsi senza motivo. Accarezzò la guancia della donna, fino a che le dita non raggiunsero il lobo del suo orecchio sinistro. La mano si strinse attorno all'orecchino e diede uno strattone improvviso.

La donna rimase attonita, mentre l'orecchio cominciava a sanguinare. Solo dopo qualche secondo si sentì il suo urlo di dolore. Lasciò cadere la pochette e le scarpe e si portò una mano all'orecchio ferito. Rimase così, incollata al muro, tremante e sotto choc, mentre fissava con sgomento Simon, che invece sembrava non mostrare emozioni. Quello sguardo freddo le faceva paura. Con mani tremanti si tolse l'altro orecchino e lo gettò per terra.

Simon la spintonò fuori dalla soglia e poi oltre, fino a farla cadere sulla pietra irregolare del vialetto. Per qualche secondo rimase a guardarla lì a terra, con le gambe aperte, in una posa scomposta e volgare. Infine si voltò e rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.

*

Il mal di testa si ripresentò più forte di prima.

Da giorni le finestre non venivano aperte e si respirava un'aria pesante e viziata. Simon barcollava. Il respiro a volte diventava affannoso e un'oppressione al petto gli rendeva difficile prendere fiato.

A stento arrivò sino al divano del salotto. Ne tastò la morbida imbottitura, coperta da un tessuto di alcantara nelle sfumature dell'ocra: uno dei colori preferiti di Regina. Abbozzò un passo, camminando incerto nello spazio esiguo fra il divano stesso e il tavolinetto. Quindi si lasciò cadere a peso morto, appoggiando la testa oltre il bordo dello schienale e chiudendo gli occhi. La sua coscienza fluttuava di nuovo fra la realtà distorta che viveva e il sogno rassicurante nel quale voleva rifugiarsi.

Un momento di pace, forse.

Le sue braccia erano abbandonate lungo i fianchi, inermi. E stretto nella mano, ancora quell'orecchino, rotto a metà.

«Regina...» mormorò in un lamento.

Forse stava dormendo, forse stava perdendo ancora una volta i sensi.

Immerso com'era in quel senso di abbandono e di distacco dalla realtà, spesso le due cose erano sovrapponibili. Anche se la sua mente non voleva più reagire, rifugiandosi in quegli sprazzi di paradiso, il suo corpo sembrava cercare ancora un modo per rimanere aggrappato a quella vita. Una lacrima solcò il suo viso scavato, confondendosi con il sudore.

Un sorriso stanco si formò sulle sue labbra secche, quando sentì il rumore della porta di casa e poi la solita sequela di lamentele di una voce fin troppo familiare.

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