CAPITOLO 6 - COME UNA FAMIGLIA
Meg
Ce l'avevamo fatta, non sapevo più neppure io come, ma eravamo riusciti ad arrivare sani e salvi a destinazione.
Dopo il disastro della macchina, Henry era venuto a prenderci ridendosela bellamente, mentre io lo avevo guardato storto sin da subito, chiedendogli tacitamente di non fare commenti in merito. Stranamente mi aveva dato retta e, durante tutta l'ora di viaggio in auto, eravamo rimasti in silenzio, con solo la musica trasmessa dalla radio in sottofondo.
Non riuscivo ancora a digerire la mia disfatta in quella scommessa. Odiavo perdere, ma, soprattutto, detestavo il fatto che ora avesse lui il coltello dalla parte del manico con cui ricattarmi; ero partita con l'intento di stargli il più alla larga possibile, e mi ero ritrovata con l'obbligo di doverci trascorrere per forza del tempo insieme da soli.
Ricacciai indietro quel pensiero, tornandomi a concentrare su Trisha, la ragazza di Ry, che mi stava raccontando del loro primo burrascoso incontro, ma che in fondo aveva un che di romantico.
«E così, dopo averlo quasi messo sotto con la mia vespa, al termine del suo turno di lavoro, si è offerto di riaccompagnarmi a casa. Dovevi vedere quanto era carino tutto rosso in viso per l'imbarazzo mentre me lo chiedeva.»
Sorrisi a quegli occhi scuri che brillavano d'amore al solo parlare del suo Bubu, come lo chiamava lei. Avevo da subito trovato una grande affinità con quella ragazza. Il suo modo di fare spigliato e alla mano mi aveva da subito messa a mio agio; l'avremmo presto convinta a far parte della combriccola mia di Ollie ed Henry.
«E tu invece? Come hai conosciuto Matt?» a quella domanda mi accigliai.
"Che c'entravamo io e Matt, se stavamo parlando di coppie?"
Stavo per chiarirle il fatto che io e quel Don Giovanni non stavamo insieme, ma da bravo cane da tartufi quale era, Matt si fece avanti, cingendomi le spalle con un braccio dall'alto, mentre io me ne stavo seduta su uno degli sgabelli della penisola, intervenendo al posto mio con una delle sue solite cavolate.
«Vedi, Trisha, era una piovosa sera di fine Marzo, quando incontrai questa principessa in difficoltà che vagava per le strade della città in cerca di un riparo. Ed io, da bravo cavaliere quale sono, non potevo lasciarla lì sotto le intemperie.»
Ovviamente Patrizia rise divertita da quel racconto palesemente inventato, mentre io alzai la testa per intimare al ragazzo dagli occhi blu, che mi fissava dall'alto con fare innocente, di togliermi immediatamente le sue zampe di dosso, ma il suono del campanello della porta, richiamò l'attenzione di tutti.
Mi schiusi in un enorme sorriso e, anticipando l'armadio umano che mi stava sovrastando, balzai giù dal mio posto, schizzando come una saetta in direzione di quella lastra di legno scuro, al di là della quale sapevo esserci la persona che più mi era mancata in quei mesi.
Abbassai la maniglia di metallo senza indugio, spalancando la porta che mi stava intralciando dal poter rincontrare gli occhi ambrati della mia migliore amica, nonché l'unico posto in cui io mi sentissi sempre a casa.
«Meg!»
«Ollie!»
I convenevoli erano sprecati per noi due, mi tuffai tra le sue braccia, facendomi avvolgere dal suo profumo floreale e da quel calore che solo la presenza di quella che per me era più di una sorella, poteva donarmi.
Non mi misi neppure a fare commenti sul suo nuovo acquisto animalier, ovvero un bizzarro cappellino lavorato a maglia, bianco, con la faccia di un orso polare ricamato in nero sopra, corredato da orecchiette rotonde sporgenti; se dovevo scegliere, trovavo più accettabile quei cosi che i pigiamoni.
«Mi sei mancata tanto!» dissi con la faccia premuta sulla sua spalla.
«Anche tu, Meg... anche tu!» contraccambiò, stringendomi ancora più forte a sé.
Tuttavia avvertii qualcosa di strano, specialmente quando un intenso profumo di dopobarba, a me familiare, non invase le mie narici, insieme al mio spazio vitale. Spostai la testa dalla mia amica al ragazzo biondo che ci aveva appena cinte entrambe in un abbraccio non richiesto.
«Matt, che diamine stai facendo?» gli domandai irosa, ottenendo però in cambio solo un grande sorriso da parte sua.
«Realizzo in parte la mia richiesta a Babbo Natale. Vi avrei volute entrambe nel mio letto, ma mi accontento di avervi entrambe tra le mie braccia, sono un tipo senza troppe pretese», illustrò il suo punto di vista a dir poco discutibile, senza tuttavia mollare la presa.
Ero esasperata dalle sue uscite, a differenza di Ollie che si mise a ridere, sciogliendo le braccia intorno al mio corpo, per gettarsi in quelle del ragazzo che ci aveva prese per un'offerta del supermercato prendi due paghi una.
«Ciao, ragazzone, mi sei mancato!»
«Bentornata a casa, principessa, anche tu mi sei mancata da morire!»
Nell' osservare le labbra di entrambi aperte in un sorriso genuino, l'una sul suo petto e l'altro tra i suoi capelli, non potei che esserne contagiata anche non volendo; quando lo vedevo in quelle vesti, il mio cuore vacillava sempre di più.
Il suono di qualcuno che si schiariva la voce richiamò l'attenzione su di sé. Presi tutti dal momento, avevamo dimenticato degli ospiti in più che ci sarebbero stati quella sera. Nina, Marcel e Ale infatti, stavano attendendo ancora all'esterno per essere invitati ad entrare.
Il gruppo di amici londinesi di Ollie avrebbe partecipato a quella nostra cena di Natale anticipata, visto che avevano deciso di fermarsi un paio di giorni prima delle feste qui per visitare l'Italia, per poi ripartire ciascuno per la propria patria, anche se ci saremmo rivisti tutti per capodanno a Madrid da Marcel, il quale ci aveva gentilmente invitati.
«Scusate, ragazzi, mi sono fatta trascinare dalla nostalgia. Entrare che vi presento tutti.» I tre fecero un passo avanti, richiudendo il portone alle loro spalle, prima che la nostra amica comune procedesse alle presentazioni.
«Ale lo conoscete già tutti. Lei invece è Nina, la mia amica polacca – la quale fece un profondo inchino in stile ballerina classica – ed infine lui è Marcel.» quest'ultimo, tuttavia, non optò per un saluto composto come la ragazza mora al suo fianco, preferendo elargire un ampio sorriso a tutti, per poi puntare i suoi occhi scuri su di me.
Avanzò a braccia spalancate nella mia direzione, stritolandomi al suo petto come il ragazzo che era il suo esatto opposto in termini di tratti somatici, ma che indubbiamente era la sua copia carbone a livello caratteriale.
«Princesa, como estas?»
"Fantastico, ora ne avevamo due di Matt! Anche se andava detto che Marcel scherzava con tutto il genere femminile, ma era indiscutibilmente fedele alla sua ragazza."
Ricambia l'abbraccio, incurante dei due topazi che ci stavano trapassando da parte a parte con astio, ed il cui proprietario non rimase con le mani in mano ad osservare quel saluto che in realtà era privo di malizia, afferrandomi per un braccio e facendomi andare a scontrare contro di lui, al punto da dovermi aggrappare al suo maglione, a causa dell' eccessiva irruenza di quel gesto.
«Non toccarla! Ma, soprattutto, non osare chiamarla principessa! Solo io posso chiamarla così!» ringhiò, Matt, in direzione del ragazzo latino che cambiò la sua espressione da inizialmente sbigottita a divertita.
«Coraggio, amigo, era solo un modo carino per appellarla, non prendertela. Lo faccio anche con Ollie.»
"Non lo avesse mai detto!"
«Non ti permettere di farlo neppure con Ollie allora, loro sono le mie due principesse, nessuno le deve toccare, sono stato chiaro?» continuò a sbraitare il ragazzo che mi teneva stretta a sé, rinsaldando la presa, al punto da farmi sentire compressa come in una scatola di sardine.
«Calma, ragazzi! Come si dice di solito, "fate l'amore, non fate la guerra", anche se io in questo caso opterei per un "facciamoci un bicchiere di vodka non la guerra"», proruppe dal nulla, Nina, alzando in aria due bottiglie del liquore appena citato, con un fiocco rosso legatovi intorno.
Tutta l'attenzione della stanza venne calamitata sulla ragazza dagli occhi e capelli scuri, con addosso ancora lo spolverino grigio cenere e la sciarpa abbinata intorno al collo, che stava dispensando un sorriso a tutti i presenti, i quali, però, la guardavano sgomenti, ad eccezione di Andrew, il quale emise una risata bassa e sommessa.
Quel leggero suono profondo e sussultorio attirò l'attenzione della donna della vodka, la quale, una volta squadratolo da capo a piedi il nostro ingegnere, gli si avvicinò con una delle sue falcate sensuali che non lasciavano scampo a nessun uomo sulla faccia della terra, accompagnando quella movenza sinuosa con un ghigno malizioso in volto.
«Con te, se vuoi, però, posso fare un'eccezione ed optare per entrambe», gli sussurrò roca ad un orecchio a cui assestò anche un piccolo morso al lobo, che fece scattare il povero ragazzo dagli occhi verde bottiglia, e sconcertò ancora di più i suoi coinquilini, mentre noi che conoscevamo i modi di fare di Nina ci limitammo a scuotere la testa.
"Quella ragazza era inarrestabile, e da quando si era lasciata con il suo ragazzo non la tenevamo buona neppure legandola."
Lo shock semi-collettivo, venne spazzato via dal rumore della serratura della porta che scattava, lasciando entrare l'ultimo tassello mancante di quella serata.
«Scusate, lo so che sono in ritardo, ma a lavoro mi...» Ed il probabile mi hanno trattenuto di Luke non venne mai alla luce.
Rimase immobile come una statua, con quelle sue ossidiane puntate sulla mia migliore amica, la quale stava facendo altrettanto, con la differenza che il dono della parola in lei era ancora intatto.
«Ciao, Luke...»
Deglutì una volta, prima di risponderle. «Ciao, Ollie...»
"No, decisamente la capacità di articolare frasi di senso compiuto non era attiva in nessuno dei due."
Ma se a parole non riuscivano ad esprimersi, forse con le azioni sarebbe andata meglio.
Ollie avanzò con un timido sorriso da donare al ragazzo che stava aspettando da mesi, sotto lo sguardo reverenziale di tutti noi, per poi allacciare le sue braccia intorno al busto di Luke e nascondere il suo viso, forse un po' rosso per l'imbarazzo, nell'incavo del suo collo, prima di tornare ad esprimersi. «Sono tornata.»
Il ragazzo che teneva stretto a sé sembrò quasi tremare quando i loro corpi entrarono in contatto e, dopo un attimo di tentennamento, ricambiò l'abbraccio, rilasciandole ad occhi chiusi un casto bacio tra i capelli. «Ben tornata.»
E noi restammo lì, come degli allocchi, a fissare suddetta scena. Quella classica campana di vetro che vedevo circondarli ogni qualvolta quei due si vedevano, ridiscese sopra di loro, escludendo noi poveri spettatori da una conversazione non udibile al mondo esterno, ma che per loro due erano come parole trasmesse ad alto volume.
Con la coda dell'occhio scrutai il ragazzo francese alla mia destra, che stava fissando i due al centro della stanza con un sincero sorriso in volto. Ale teneva alla mia amica in un modo a me molto familiare. Il suo affetto era molto simile per certi aspetti a ciò che nutrivo io nei confronti di Ollie, e lo aveva dimostrato restandole al suo fianco nonostante ciò che aveva apertamente espresso provare per lei.
Ripristinai la mia attenzione sulla coppia-non coppia della stanza, la quale si sussurrò reciprocamente qualcosa all'orecchio prima di staccarsi, togliendo dal disagio generale i presenti.
«Allora, dato che il solito ritardatario è arrivato, che dite? Iniziamo a mangiare?» propose Ollie a capo chino, e con le guance un filo scarlatte.
Tutti quanti accettammo di buon grado l'idea, anche se prima vi fu la presentazione dell'ultimo arrivato alle new entry della serata.
Ci fu un altro piccolo momento di tensione, quando Luke e Ale si salutarono con una stretta di mano, fissandosi con gli occhi ridotti a due fessure, mentre si scambiavano minacce reciproche in silenzio, che potevano essere tradotte in un solo modo:
"Ti tengo d'occhio!"
"Toccala e sei un uomo morto!"
Alla termine di quel momento da maschi alfa per il predominio del territorio, prendemmo posto intorno al tavolo già apparecchiato con una tovaglia rossa ricamata con degli alberelli di natale e dei fiocchi di neve, i soliti piatti e bicchieri di plastica del medesimo colore della stoffa su cui erano adagiati, ed un centrotavola realizzato un po' grossolanamente con del vischio attorcigliato intono ad un fil di ferro piantato su di una base in legno, ma che ritenevo ugualmente apprezzabile, visto lo sforzo compiuto dai ragazzi.
Le pizze ancora fumanti, fatte in casa dallo chef Ry, vennero servite, e così potemmo dare il via a quella nostra serata. La cena trascorse tranquilla e distesa, ad eccezione di qualche occhiataccia da parte di Luke verso Ale se solo chiedeva ad Ollie di passargli il vino, il quale contraccambiava quelle minacce silenti, mentre, la ragazza oggetto della loro disputa, aveva l'espressione di una che si sarebbe voluta volentieri sfracassare la testa contro il muro alle sue spalle, piuttosto che trovarsi in mezzo a quel fuoco incrociato. Per il resto tutto procedette come al solito, tra chiacchiere, racconti e risate, fino a quando...
«Ops, mi è caduta la forchetta!» esclamò Nina, abbassandosi sotto il tavolo per recuperare l'oggetto smarrito.
Fin lì non ci fu nulla di strano, sembrava una cosa che sarebbe potuta capitare a chiunque, finché non vedemmo Andrew, il quale era seduto al suo fianco, tirarsi di colpo indietro sullo schienale della sedia, lasciando scivolare il bicchiere di vino rosso sulla tovaglia.
La testa della ragazza che era andata in avanscoperta fece nuovamente la sua comparsa, accompagnata da un sorrisetto soddisfatto, che ci fece intendere chiaramente che non era andata propriamente alla ricerca della posata dispersa, come poi spiegò anche lei stessa senza pudore. «Non mi guardate così! Stavo cercando la mia forchetta e sono incappata in un coltello.»
I quattro padroni di casa la fissarono basiti, soprattutto il ragazzo oggetto delle sue molestie, mentre noi altri ridemmo, tenendoci la testa tra le mani, rassegnati all'arrivo dell'uragano Nina.
«E dimmi, Nina, che genere di coltello da cucina era? Uno da pesce, da carne, o per tagliare il pane?» domandò senza ritegno, Henry, il quale era seduto alla destra della donna delle posate.
L'informatrice del mio amico incurvò la bocca in sorriso che già preannunciava la risposta che stava per dare, e che sapevo avrebbe lasciato attoniti in molti. «Be', io direi che più che di un semplice coltello, stiamo parlando di una mannaia.»
E fu così che tutta l'acqua che Andrew aveva appena bevuto per riprendersi dallo shock, finì quasi addosso a Ry che gli era seduto davanti, quando la sputò di colpo.
"Mi dispiace, collega, questa sera sei il suo nuovo obiettivo. Arrenditi immediatamente a lei e forse ne uscirai vivo!"
«Che ne dite se procediamo allo scambio dei regali, così Andrew riprende un attimo vita?» propose Ollie, per frenare la sua amica polacca, che tuttavia non si sarebbe potuta tenere buona neppure legata ed imbavagliata.
«Io saprei come fargli riprendere vita in un modo molto divertente, non è vero, occhi belli?»
"Ecco, appunto."
Tuttavia non avevamo tenuto conto di una cosa, ovvero che, sì, l'ingegnere di casa era un tipo abbastanza serioso, ma restava pur sempre il compagno di frecciatine di Ollie contro Matt; gli serviva solo un po' di tempo per prendere confidenza.
Stese un braccio dietro lo schienale della ragazza che fino a quel momento lo aveva messo in difficoltà, passando al contrattacco. «A tuo rischio e pericolo, io non scherzerei con un ingegnere chimico, le reazioni sono imprevedibili.»
La ragazza mora ad un millimetro dal suo naso si morse il labbro inferiore, apprezzando lo slancio della risposta da parte dell'oggetto del suo interesse, anche se noi che conoscevamo Andrew sapevamo che stava giocando; era troppo un bravo ragazzo.
Ci alzammo tutti, iniziando a sparecchiare e a risistemare l'appartamento, facendo partire un po' di musica dalle casse poste vicino al televisore a schermo piatto, per tenerci un po' compagnia, ed iniziando a ballare e a cantare come dei cretini intorno al tavolo mentre spazzavamo il pavimento; eravamo indubbiamente particolari, ma trovavo bellissimo il fatto che qualunque nostra azione, anche la più banale, riuscissimo a tramutarla in qualcosa con cui divertirci tutti insieme.
Una volta calmatici, ci spostammo di qualche metro nella zona salotto, vicino al divano ad L. Quell'anno avevamo deciso di cambiare; niente più amico segreto, bensì regali di gruppo. In pratica ci eravamo divisi in due squadre: io, Ollie, Henry e Trisha da una lato, e i quattro moschettieri dall'altro. Ogni team doveva ideare insieme un dono collettivo, qualcosa che poteva anche essere singolo, ma che riguardasse tutti i presenti.
I primi a procedere fummo noi, consegnando quattro pacchetti identici, rivestiti con una carta rossa con delle stelle di Natale stampate sopra, corredati da un fiocchetto di colore diverso per riconoscere a chi fossero destinati.
I ragazzi scartarono i loro regali e ciò che si trovarono tra le mani li fece scoppiare a ridere come premeditato. Ciascuno di loro aveva ricevuto una maglietta nera, con scritto sopra in bianco i vari ruoli che ricoprivano all'interno della casa. Per Matt avevamo scelto Il padre, più per non starci a sorbire discorsi sulla sua virilità che altro. Ry era La madre, visto che era lui che si occupava di non far morire di fame tutti noi. Ad Andrew era toccato il ruolo di Figlio di cui vantarsi, e a Luke quello di Figlio ribelle.
Ma non ci eravamo fermati lì, in fondo ormai eravamo una sorta di famiglia, quindi mostrammo con fierezza anche le magliette che avevamo realizzato per noi stessi. Io ed Ollie eravamo le Figlie scappate di casa, dal momento che entrambe vivevamo lontane, Henry aveva fatto scrivere sulla sua maglia La zia pettegola, ed infine Patrizia aveva scelto il ruolo Cugina molesta. L'ilarità divenne generale; forse non erano i regali che uno si aspettava di ricevere, ma ormai lo avevo capito anche io dopo anni che con quei ragazzi la normalità era sopravvalutata.
Terminato il primo step, passammo al secondo. Questa volta furono gli uomini a farsi avanti, rilasciando tra le nostre mani quattro sacchetti identici rossi, chiusi con un piccolo nastro di nylon del medesimo colore. Iniziai ad aprire il mio, seguendo l'esempio dei miei compagni, e questa volta non ci furono risate da parte di nessuno. Sollevammo tutti e quattro il capo, guardando dubbiosi i fautori di quel regalo, che provvederono a darci una spiegazione per mezzo di Ry, che fece da portavoce.
«Come ci avete fatto intendere anche voi, dopo anni, siamo come una famiglia. Quelle sono quattro copie delle chiavi di casa nostra, perché possiamo anche vivere tutti lontani, ma quando siamo riuniti sotto questo tetto torniamo ad essere sempre gli stessi. Casa nostra è casa vostra, ragazzi!»
Ammutolimmo tutti, continuando a rimirare quei due oggetti in metallo lucido che erano una via di accesso ad uno dei pochi luoghi al mondo in cui io mi fossi mai sentita ben voluta. Accarezzai con il polpastrello del pollice il portachiavi appesovi: una coroncina da principessa argentea. Sapevo già chi avesse scelto quell'ornamento per me, il nomignolo con cui mi appellava in continuazione mi rendeva impossibile sbagliarmi. Spostai lo sguardo verso gli altri tre alla mia destra, notando che ciascuno di loro aveva un portachiavi personalizzato come il mio: quello di Henry era una corona con sotto attaccata la scritta Gossip, Trisha, neppure a dirlo, lo aveva a forma di testa di orsetto, ed Ollie... lei stava quasi tremando mentre fissava sul palmo della sua mano quello che rappresentava minuscolo aeroplanino di carta.
Fu lei stessa la prima a muoversi, andando incontro al ragazzo moro, che sapevamo tutti essere stato il fautore di quel dono, per abbracciarlo, e che la stava aspettando con un sorriso amorevole in volto. Seguimmo anche noi il suo esempio, andando a ringraziare quei quattro ragazzi che senza spendere molto erano invece riusciti a regalarci un qualcosa di inestimabile.
Terminato il momento dei ringraziamenti, era ormai giunto l'ora di avviarci verso casa di Henry, dove avremmo pernottato per quella sera, per poi ripartire ciascuno per le nostre rispettive città il giorno seguente. Recuperati i cappotti e le sciarpe che avevamo lasciato nel solito stanzino, ci scambiammo i consueti saluti ed auguri di Natale, ma qualcuno dei presenti non era disposto ad andare via senza essersi preso da sé il proprio regalo.
«È stato un piacere conoscerti. Peccato non aver potuto approfondire questa conoscenza», proruppe Nina davanti alla sua preda della serata.
«Immagino sarà per un'altra volta, alcune sostanze ci mettono tempo a fare reazione, non lo sai?!?» rispose, questa volta senza farsi prendere in contropiede, Andrew.
Ma era stato uno sciocco, perché non aveva ancora compreso che la ragazza dinanzi a lui non si faceva intimorire da niente e da nessuno, specialmente quando voleva una cosa se la prendeva da sola.
Si protese verso di lui per rilasciare quello che tutti credevamo sarebbe stato un banalissimo bacio sulla guancia, e che invece lei tramutò in un bacio alla francese prendendogli il viso tra le mani, non dandogli così via di scampo, per poi staccarsi poco dopo dicendo: «No, credo non ci sia poi bisogno di tutta questa attesa, direi che qui la chimica è innegabile, non è vero, ingegnere?»
Andrew, ovviamente, la stava fissando senza fiato con tanto d'occhi, mentre lei gli accarezzava il volto che teneva ancora tra le mani.
Risi sommessamente a quella scena, fino a quando una voce profonda non si frappose tra i miei pensieri. «Ricordati della scommessa che devo riscuotere, principessa.»
Sbuffai con aria di superiorità per quella insistenza. «Stai tranquillo, Matt, io mantengo sempre la parola data!»
Ed ora come ora, credo che quelle parole fossero state pronunciate con troppa superficialità da parte mia, perché non mi ero resa conto che lo sguardo divertito e belligerante da parte del ragazzo che aveva segnato la mia disfatta quel giorno, in realtà non preannunciava nulla di buono.
Ed eccoci qui. Felici di aver potuto rivedere il vostro topino e la vostra scimmietta?!? Ultimamente mi sento talmente buona che mi sa vi concederò anche nel prossimo capitolo un momento in cui potrete rivederli insieme. Anche oggi mi sono divertita a realizzare un immagine in onore dei due protagonisti, ma nella mia particolare visione. Ve la lascio qui sotto, augurandovi una buona serata.
Ed ora i saluti... prendetemi una bombola d'ossigeno o morirò prima o poi...
AL PROSSIMO MARIANGELO FETICISTA DEI PIGIAMONI FELINI DALLE LUNGHE CODE!
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